L'amore batte tutto. Quel che sostenevano i poeti ora lo afferma anche una ricerca scientifica secondo la quale il sentimento amoroso è un potente analgesico che agisce sulle stesse aree neurali su cui esplicano il loro effetto i farmaci antidolorifici; le aree 'primitive' e profonde del cervello, quelle dell'appagamento e del piacere. La tesi è il punto di approdo dello studio condotto dal professor Sean Mackey presso la Stanford University School of Medicine e pubblicato sulla rivista PLoS ONE.
Non basta però un amore qualsiasi. A quanto pare, per produrre il suo effetto analgesico, il sentimento deve essere sperimentato nel suo momento più "potente"; quel momento secondo gli studiosi è l'innamoramento nella sua fase iniziale ed è allora che il solo pensiero della persona amata riduce una sensazione di dolore.
Mackey e i suoi collaboratori si sono accontentati di un campione ridotto, arruolando di 15 studenti di entrambi i sessi e nel pieno dell'innamoramento. Per il test, è stato chiesto loro di portare con sè nel laboratorio una foto del proprio partner e un'altra di un amico da loro ritenuto attraente. I ricercatori hanno poi sottoposto il gruppo a piccoli dolori cutanei provocati da un oggetto che veniva riscaldato mentre i volontari lo tenevano in mano. Gli studenti nel frattempo guardavano le foto del partner o del conoscente. La prova è stata ripetuta senza le foto, ma distraendo i partecipanti con dei giochini cognitivi effettuati durante lo sitmolo doloroso.
Le reazioni dei volontari sono state registrate con un esame del loro cervello attraverso la risonanza magnetica funzionale e il risultato è stato univoco: la foto dell'amato riduce la sensibilità al dolore, non così la foto del conoscente. Al solo guardare il partner, nel cervello degli studenti "testati" si attivavano aree legate alle dipendenze, al piacere, all'appagamento, come il nucleo accumbens; le stesse aree "bersagliate" dai farmaci oppiacei nelle terapie anti-dolore, ma anche dalle sostanze d'abuso come droga e alcol.
Anche la distrazione agisce contro il dolore, ma lo fa, sottolineano i neurologi, agendo sulla corteccia cerebrale e quindi a una sfera più alta della cognizione. L'amore, conclude anche filosficamente la ricerca, esercita un potere più profondo, istintuale e primitivo.
(La Repubblica - 13 ottobre 2010)
Non basta però un amore qualsiasi. A quanto pare, per produrre il suo effetto analgesico, il sentimento deve essere sperimentato nel suo momento più "potente"; quel momento secondo gli studiosi è l'innamoramento nella sua fase iniziale ed è allora che il solo pensiero della persona amata riduce una sensazione di dolore.
Mackey e i suoi collaboratori si sono accontentati di un campione ridotto, arruolando di 15 studenti di entrambi i sessi e nel pieno dell'innamoramento. Per il test, è stato chiesto loro di portare con sè nel laboratorio una foto del proprio partner e un'altra di un amico da loro ritenuto attraente. I ricercatori hanno poi sottoposto il gruppo a piccoli dolori cutanei provocati da un oggetto che veniva riscaldato mentre i volontari lo tenevano in mano. Gli studenti nel frattempo guardavano le foto del partner o del conoscente. La prova è stata ripetuta senza le foto, ma distraendo i partecipanti con dei giochini cognitivi effettuati durante lo sitmolo doloroso.
Le reazioni dei volontari sono state registrate con un esame del loro cervello attraverso la risonanza magnetica funzionale e il risultato è stato univoco: la foto dell'amato riduce la sensibilità al dolore, non così la foto del conoscente. Al solo guardare il partner, nel cervello degli studenti "testati" si attivavano aree legate alle dipendenze, al piacere, all'appagamento, come il nucleo accumbens; le stesse aree "bersagliate" dai farmaci oppiacei nelle terapie anti-dolore, ma anche dalle sostanze d'abuso come droga e alcol.
Anche la distrazione agisce contro il dolore, ma lo fa, sottolineano i neurologi, agendo sulla corteccia cerebrale e quindi a una sfera più alta della cognizione. L'amore, conclude anche filosficamente la ricerca, esercita un potere più profondo, istintuale e primitivo.
(La Repubblica - 13 ottobre 2010)
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