Clamoroso al Cibali. Il molto commendevole professore Ostellino ha scoperto la Legge, con la L maiuscola. “Che va rispettata”. Il professore si riferisce ai disordini di Roma durante le dimostrazioni studentesche contro la legge Gelmini e, più in generale, per manifestare il profondissimo disagio di una generazione che sente di non avere un futuro. Il professore argomenta che ogni forma di indulgenza verso quei disordini è “irresponsabile” o, peggio, di “giustificazionismo morale e ideologico di quelle criminali violenze mal si conciliano con l’idea di democrazia liberale” e sono una versione aggiornata dei “compagni che sbagliano” e spalancano le porte al terrorismo.
Che la legge vada rispettata è fuori discussione. Solo che quando a violarla sono “lorsignori”, poniamo Berlusconi e altri esponenti del centrodestra, la legge diventa improvvisamente minuscola e la Magistratura che è chiamata ad applicarla “fa un uso politico della giustizia”.
Non so poi quanto “si conciliano con l’idea di democrazia liberale” altri fatti accaduti in questo Paese negli ultimi vent’anni. In nessuna democrazia liberale sarebbe stato permesso a un imprenditore di possedere, per tre lustri e passa, l’intero comparto televisivo privato nazionale. Perché l’oligopolio sta all’opposto di un’idea liberale e liberista della democrazia e contro l’oligopolio alcuni “padri nobili” di questo sistema, da Adam Smith a David Ricardo, hanno speso parole di fuoco perché ne abbatte il cardine principe: la libera concorrenza. In nessuna democrazia liberale si sarebbe permesso a un uomo politico, per giunta diventato presidente del Consiglio proprio grazie a questa illiberistica supremazia, di continuare a essere proprietario di tre network, quando negli Stati Uniti, sempre presi ad esempio dai professori Ostellini, Panebianchi e della Loggia, un uomo politico non può possedere nemmeno un giornale di quartiere. In nessuna democrazia liberale sarebbe stato permesso a un premier di varare leggi solo formalmente valide “erga omnes” ma sostanzialmente costruite a sua misura o dei suoi amici (le note leggi “ad personam” e “ad personas”) proprio per sottrarlo alla legge. In nessuna democrazia liberale potrebbe rimanere premier un soggetto che un Tribunale della Repubblica ha riconosciuto, sia pur in primo grado, essere un corruttore di testimoni in giudizio per salvarsi in altri processi. E fermiamoci qui.
Il professor Ostellino non solo ha sempre dimostrato una particolare “indulgenza” per queste evidenti violazioni della legge che “mal si conciliano con l’idea di democrazia liberale”, ma le ha sempre giustificate e non ha mai speso una parola contro queste illiberalità.
Si potrebbe dire che Piero Ostellino è “un liberale che sbaglia”. Ma sarebbe concedergli troppo. È semplicemente un uomo in malafede. Neanche le manifestazioni pacifiche gli vanno a sangue, se disturbano il manovratore. Poiché difendendo interessi particolari e corporativi “si precipita in un surreale pluralismo, si finisce, in sostanza, nel permanente assemblearismo di Piazza, nella negazione dell’esito delle libere elezioni, cioè nello svuotamento della volontà popolare, nel totalitarismo di una supposta ‘volontà generale’” (e qui lo pseudocolto Ostellino polemizza con Rousseau, il che non stupisce perché Rousseau è il più acuto e singolare degli Illuministi che previde con qualche secolo di anticipo i devastanti effetti della “società dello spettacolo” – Discorso sulle scienze e sulle arti). Aveva scritto Rousseau che i cittadini sono liberi solo al momento del voto e diventano schiavi subito dopo. Per la verità Rousseau si illudeva. Noi non siamo liberi nemmeno al momento del voto, pesantemente condizionato dai media, in mano ai soliti noti, che non per nulla vengono spudoratamente chiamati “gli strumenti del consenso” e, in Italia, non possiamo nemmeno scegliere, o perlomeno tentare di scegliere, i nostri rappresentanti, predeterminati da ristrettissime oligarchie di partito. Vorrei far notare al professor Ostellino, se ne valesse la pena, che nel pensiero di Stuart Mill e di Locke, altri “padri nobili” della liberaldemocrazia, i partiti non sono contemplati e che fino al 1920 nessuna Costituzione liberale nemmeno li nomina. Il perché è evidente: i partiti, le lobbies, sono la negazione in radice di quel principio dell’uguaglianza dei cittadini almeno sulla linea di partenza che è il cardine della liberaldemocrazia. Ma è pressoché inutile discutere di queste cose con un signore che ha storto il suo nobile naso anche davanti ai pacificissimi “girotondi” che non difendevano alcun interesse corporativo, ma quello collettivo dell’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge.
Nella testa di Ostellino, ammesso che ci sia qualcosa, c’è una sorta di parlamentarismo alla Cromwell in cui i cittadini una volta eletti, si fa per dire, i propri rappresentanti, devono starsene zitti e buoni fino alla tornata successiva quando riprenderanno a legittimare gli abusi, i soprusi, le violenze dei loro padroni, come l’unzione del Signore legittimava i re medievali. Perché, è un dato di fatto, esiste anche una violenza del sistema democratico.
Che è meno plateale ed evidente, più subdola di quella dei regimi totalitari, ma non meno grave e incisiva perché esclude, emargina, umilia l’uomo libero che conserva quel tanto di rispetto di se stesso per non accettare umilianti infeudamenti in questa o quella lobby, partitica o di altro tipo, e che sarebbe il cittadino ideale di una liberaldemocrazia, se esistesse davvero, e ne diventa invece la vittima designata. Infine, in un discorso di prospettiva, c’è da ricordare che le democrazie sono nate da bagni di sangue e non si capisce per quale mai ragione, per quale privilegio divino, non gli si debba, un giorno, restituire la pariglia dal momento che non rispettano nessuno dei presupposti, nessuno dei pilastri su cui affermano di basarsi. Ma, tornando al presente, è del tutto evidente che la liberaldemocrazia proposta dagli Ostellino, dai Panebianco, dai della Loggia, è la vecchia, cara, schifosa giustizia di classe. Per i delinquenti da strada c’è la Legge, per coloro che detengono il potere solo la legge.
Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano - 22 dicembre 2010)
Che la legge vada rispettata è fuori discussione. Solo che quando a violarla sono “lorsignori”, poniamo Berlusconi e altri esponenti del centrodestra, la legge diventa improvvisamente minuscola e la Magistratura che è chiamata ad applicarla “fa un uso politico della giustizia”.
Non so poi quanto “si conciliano con l’idea di democrazia liberale” altri fatti accaduti in questo Paese negli ultimi vent’anni. In nessuna democrazia liberale sarebbe stato permesso a un imprenditore di possedere, per tre lustri e passa, l’intero comparto televisivo privato nazionale. Perché l’oligopolio sta all’opposto di un’idea liberale e liberista della democrazia e contro l’oligopolio alcuni “padri nobili” di questo sistema, da Adam Smith a David Ricardo, hanno speso parole di fuoco perché ne abbatte il cardine principe: la libera concorrenza. In nessuna democrazia liberale si sarebbe permesso a un uomo politico, per giunta diventato presidente del Consiglio proprio grazie a questa illiberistica supremazia, di continuare a essere proprietario di tre network, quando negli Stati Uniti, sempre presi ad esempio dai professori Ostellini, Panebianchi e della Loggia, un uomo politico non può possedere nemmeno un giornale di quartiere. In nessuna democrazia liberale sarebbe stato permesso a un premier di varare leggi solo formalmente valide “erga omnes” ma sostanzialmente costruite a sua misura o dei suoi amici (le note leggi “ad personam” e “ad personas”) proprio per sottrarlo alla legge. In nessuna democrazia liberale potrebbe rimanere premier un soggetto che un Tribunale della Repubblica ha riconosciuto, sia pur in primo grado, essere un corruttore di testimoni in giudizio per salvarsi in altri processi. E fermiamoci qui.
Il professor Ostellino non solo ha sempre dimostrato una particolare “indulgenza” per queste evidenti violazioni della legge che “mal si conciliano con l’idea di democrazia liberale”, ma le ha sempre giustificate e non ha mai speso una parola contro queste illiberalità.
Si potrebbe dire che Piero Ostellino è “un liberale che sbaglia”. Ma sarebbe concedergli troppo. È semplicemente un uomo in malafede. Neanche le manifestazioni pacifiche gli vanno a sangue, se disturbano il manovratore. Poiché difendendo interessi particolari e corporativi “si precipita in un surreale pluralismo, si finisce, in sostanza, nel permanente assemblearismo di Piazza, nella negazione dell’esito delle libere elezioni, cioè nello svuotamento della volontà popolare, nel totalitarismo di una supposta ‘volontà generale’” (e qui lo pseudocolto Ostellino polemizza con Rousseau, il che non stupisce perché Rousseau è il più acuto e singolare degli Illuministi che previde con qualche secolo di anticipo i devastanti effetti della “società dello spettacolo” – Discorso sulle scienze e sulle arti). Aveva scritto Rousseau che i cittadini sono liberi solo al momento del voto e diventano schiavi subito dopo. Per la verità Rousseau si illudeva. Noi non siamo liberi nemmeno al momento del voto, pesantemente condizionato dai media, in mano ai soliti noti, che non per nulla vengono spudoratamente chiamati “gli strumenti del consenso” e, in Italia, non possiamo nemmeno scegliere, o perlomeno tentare di scegliere, i nostri rappresentanti, predeterminati da ristrettissime oligarchie di partito. Vorrei far notare al professor Ostellino, se ne valesse la pena, che nel pensiero di Stuart Mill e di Locke, altri “padri nobili” della liberaldemocrazia, i partiti non sono contemplati e che fino al 1920 nessuna Costituzione liberale nemmeno li nomina. Il perché è evidente: i partiti, le lobbies, sono la negazione in radice di quel principio dell’uguaglianza dei cittadini almeno sulla linea di partenza che è il cardine della liberaldemocrazia. Ma è pressoché inutile discutere di queste cose con un signore che ha storto il suo nobile naso anche davanti ai pacificissimi “girotondi” che non difendevano alcun interesse corporativo, ma quello collettivo dell’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge.
Nella testa di Ostellino, ammesso che ci sia qualcosa, c’è una sorta di parlamentarismo alla Cromwell in cui i cittadini una volta eletti, si fa per dire, i propri rappresentanti, devono starsene zitti e buoni fino alla tornata successiva quando riprenderanno a legittimare gli abusi, i soprusi, le violenze dei loro padroni, come l’unzione del Signore legittimava i re medievali. Perché, è un dato di fatto, esiste anche una violenza del sistema democratico.
Che è meno plateale ed evidente, più subdola di quella dei regimi totalitari, ma non meno grave e incisiva perché esclude, emargina, umilia l’uomo libero che conserva quel tanto di rispetto di se stesso per non accettare umilianti infeudamenti in questa o quella lobby, partitica o di altro tipo, e che sarebbe il cittadino ideale di una liberaldemocrazia, se esistesse davvero, e ne diventa invece la vittima designata. Infine, in un discorso di prospettiva, c’è da ricordare che le democrazie sono nate da bagni di sangue e non si capisce per quale mai ragione, per quale privilegio divino, non gli si debba, un giorno, restituire la pariglia dal momento che non rispettano nessuno dei presupposti, nessuno dei pilastri su cui affermano di basarsi. Ma, tornando al presente, è del tutto evidente che la liberaldemocrazia proposta dagli Ostellino, dai Panebianco, dai della Loggia, è la vecchia, cara, schifosa giustizia di classe. Per i delinquenti da strada c’è la Legge, per coloro che detengono il potere solo la legge.
Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano - 22 dicembre 2010)
Nessun commento:
Posta un commento
Tutto quanto pubblicato in questo blog è coperto da copyright. E' quindi proibito riprodurre, copiare, utilizzare le fotografie e i testi senza il consenso dell'autore.