martedì 22 febbraio 2011

Il deputato va dove lo porta la pensione

Cari amici, oggi osserveremo il parlamentare, nel suo ambiente naturale, il Palazzo. Questa razza, che ama pascolare tra il Transatlantico e la buvette, ha nel suo Dna il rito della transumanza. Da tempo, però, gli osservatori più attenti sono preoccupati perché il rito della transumanza ha assunto ritmo frenetico e proporzioni che non si erano mai riscontrate neppure in molti decenni di studio della specie. Alcuni ipotizzano addirittura sia dovuta ai cambiamenti climatici. In realtà, da una ricerca che ho condotto in prima persona, studiandone molti esemplari e raccogliendo un grandissimo numero di dati e riscontri, posso affermare con certezza che ad aver sconvolto le placide abitudini del parlamentare non sono i cambiamenti climatici, bensì i cambiamenti pensionistici.

Ora mi spiego. Dalla scorsa legislatura, in un apprezzabile quanto raro sforzo anti-privilegi, la Camera dei Deputati si è mossa nella direzione che i cittadini auspicavano da decenni, rendendo molto più stringenti le regole per ottenere la pensione di parlamentare. Mentre prima, infatti, per avere la pensione bastava maturare due anni e mezzo di permanenza alla Camera, sommati anche in più di un mandato, dalla scorsa legislatura, su iniziativa della coalizione di centrosinistra, per maturare la pensione è necessario che il parlamentare rimanga in carica per cinque anni, ovvero per l’intero corso del mandato, non essendo più possibile cumulare i cinque anni in più legislature.

Quello che non si era sufficientemente considerato è che il parlamentare, a parte il breve periodo della transumanza, è fondamentalmente uno stanziale, poco incline ai cambiamenti, soprattutto quando questi comportano il trasloco da Montecitorio. Ecco allora che di fronte alla prospettiva di una seconda legislatura, dopo quella 2006-2008, che sta per finire anzitempo e, quindi, come la precedente, senza pensione, l’istinto primario alla conservazione della specie ha portato fino ad oggi ben 120 parlamentari a zompare agili e veloci da un gruppo all’altro e da uno schieramento all’altro, a seconda di chi – bada ben, bada ben – settimana per settimana, a volte giorno per giorno, dava maggiori garanzie di portare a termine il mandato. Ecco che allora, di fronte all’ipotesi di un governo tecnico, giudicata molto probabile, Fini fa il pieno di parlamentari per il suo nuovo gruppo. Qualora il governo fosse caduto, vi sarebbero state sicuramente mandrie di parlamentari pronti a intervenire passando dal centrodestra al Terzo Polo, cementando questa nuova maggioranza e garantendole i numeri per arrivare a fine legislatura.

Vi ricordate che nei giorni in cui si parlava della probabile caduta di Berlusconi nessuno pronunciava la parola elezioni? Perché, da quando il sistema per il raggiungimento della pensione è cambiato, la parola elezioni, che a dire il vero non è mai piaciuta più di tanto al parlamentare, ora provoca delle vere e proprie epidemie allergiche, con rosacee pruriginose violente nei palazzi del potere. Fallito, dunque, questo tentativo, grazie ai quattrini di Berlusconi e agli errori del Terzo Polo, è tornato ad essere il presidente del Consiglio il cavallo sul quale puntare per mantenere in vita la legislatura. Ed ecco quindi la transumanza all’indietro, con il ritorno al pur sempre confortevole ovile berlusconiano.

La morale della favola? Più dell’amor per l’ideale pote’ il digiuno dalla pensione. Triste ma vero: il parlamentare va dove lo porta la pensione.

Massimo Donadi (Il Fatto Quotidiano - 22 febbraio 2011)


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