mercoledì 23 febbraio 2011

LO SCIENZIATO

C'era uno scienziato assai ambizioso e infelice. Era etnologo sociologo criminologo biologo psicologo etologo allologo, e vantava un notevole curriculum. Aveva ad esempio fondato l'antropocinosimmetria, scienza che studiava le somiglianze tra cane e padrone, aveva scoperto una tribù antropofagia amazzonica che si cibava solo di alluci, aveva individuato il cromosoma dell'ateismo, aveva inventato un'automobile a saliva e scoperto che Gesù aveva dodici figli. Non c'era trasmissione televisiva in cui non fosse apparso. Ma, ahimè, questo non gli era bastato per vincere il premio a cui ambiva, il SuperNobel. Allora decise che avrebbe fatto qualcosa di unico: qualcosa che solo lui poteva progettare, sperimentare e tradurre in teoria. Avrebbe scoperto l'uomo più solo del mondo. Perciò, dopo essersi a lungo documentato e preparato, partì. Si recò in un piccolo paese di montagna, abbandonato da tutti dopo un terremoto. Qui viveva da tempo immemorabile un uomo di centodue anni che si era rifiutato di lasciare la sua abitazione.
Con soddisfazione, lo scienziato guidò la jeep per chilometri di tornanti senza incontrare anima viva. Finché, tra abitazioni crollale e diroccate, vide la piccola casa del centenario. L'uomo era naturalmente solo e si stava preparando un frugale pasto a base di sofficini.
- Caro signore, - disse lo scienziato - immagino che lei sia mollo solo e non veda nessuno da molto tempo.
- Eh, proprio così - rispose l'uomo.
- Da quanto? Riesce a ricordare?
L'uomo socchiuse gli occhi in una ragnatela di rughe.
- Beh, Rai tre è arrivata il Natale scorso. Sì, prima del giornalista francese e di Mediaset. Ma sono vecchio e non ricordo bene. Però se vuole può consultare il mio sito internet, www.solosul@monte.org. Lo tiene mio nipote, ci sono tutti i filmati e le interviste sulla solitudine che ho concesso negli ultimi dieci anni.
- Porca la mamma di Newton - disse lo scienziato, e se ne andò arrabbiato.
Prese un aereo verso un'isola dove, in zona impervia, viveva un pastore. A detta di tutti, l'ultimo uomo che sopravviveva in quella solitaria landa. Lo trovò in un ovile assai rozzo, tra pecore, cani e giornali porno.
- O pastore, - gli chiese - da molto vive solo in questa bicocca?
- Molto tempo - disse il pastore.
- E le piace?
- Mica tanto. Ma non si spaventi, questa è solo la reception, serve per il folklore. Il resto dell'agriturismo è molto meglio, ho le docce e il frigo in ogni camera. Le va del porcetto arrosto per stasera?
- Porca la mamma di Galilei - disse lo scienziato.
Senza perdersi d'animo, volò nel cuore dell'Amazzonia. Qua, come risultava dai suoi studi, viveva un indigeno della tribù degli Osvaldos, unico superstite di un'etnia distrutta dalla deforestazione, dall'inquinamento e dall'abuso di fernet portato dalla civiltà.
Dopo una faticosa marcia nella giungla, aprendosi la via a colpi di machete, arrivò alla capanna dell'Osvaldo. L'uomo stava costruendo un rudimentale sassofono con un anaconda.
- Mettiamo subito le cose in chiaro, - disse lo scienziato - lei è solo qui?
- Solissimo.
- La sua tribù è stata sterminata e lei è l'ultimo esemplare?
- È così, purtroppo.
- Perfetto. Ora posso farle qualche fotografia?
- Prego - disse l'indigeno.
Ma al lampo del flash, spaventati, almeno altri venti Osvaldos, piccoli e grandi, sbucarono correndo da ogni parte.
- E questi chi sono?
- La prego, - disse l'Osvaldo piangendo - non dica che ci ha visti. In quanto unico e ultimo, sono protetto dalla legge. Ma se imparano che siamo ancora una tribù numerosa torneranno a tagliare i nostri alberi e a inquinarci l'acqua. Abbiamo finto di essere estinti per non estinguerci del tutto.
- Porca la mamma di Humboldt - disse lo scienziato.
Cambiò continente e si recò in Tibet sulle sacre montagne di Kunlun, dove viveva un uomo chiamato la Luce solitaria. Scalò la montagna fino al monastero delle Diecimila candele. Qui il guardiano dei monaci gli mostrò lo sperone di roccia dove viveva il saggio Mukpo, la Luce solitaria. Vi si accedeva solo mediante una cesta di paglia, sospesa a una corda tesa su un abisso di duemila metri.
- Il maestro Mukpo vive là da solo?
- Solissimo. Gli passiamo le provviste una volta alla settimana, con la cesta.
- Posso andare a trovarlo?
- Assolutamente no, - disse il monaco guardiano - la Luce solitaria deve meditare in silenzio e tranquillità.
- Posso pagare cinquemila dollari.
- Beh, - disse il monaco - in questo caso... Su, salga nella cesta.
Lo scienziato viaggiò dondolando nel gelo e nel vento sopra l'orrido abisso, finché giunse al nido d'aquila ove abitava la Luce solitaria. Un minuscolo tempio scavato nella parete di roccia a strapiombo. Entrò. La Luce solitaria meditava su un tappeto rosso, circondato da migliaia di moccoli.
- O saggio Mukpo, - disse lo scienziato - lei è solo?
- L'uomo saggio è sempre solo - rispose il monaco.
- Certo. Ma voglio dire, non vede nessuno da molto tempo?
- Qui, come lei ha verificato, è assai difficile arrivare...
- Credo proprio di aver trovato ciò che cercavo. Posso farle una foto?
- Certo. Dopo la lezione di meditazione, però.
- La lezione?
Una porta del tempietto si aprì ed entrarono sei hippy americani, un ex manager pentito, due giapponesi ed Elvis Presley molto invecchiato.
- Ma che ci fanno costoro qui? - disse lo scienziato sorpreso.
- Lei crede di essere il solo a poter spendere cinquemila dollari?
- disse la Luce solitaria.
- Porca la mamma di Edison - disse lo scienziato.
Scese dalle vette tibetane e dopo lungo viaggio arrivò nei pressi
dell'Isola Fardeall, detta l'isola delle bufere. Qua, in mezzo a un
mare tempestoso e ostile, vigilava il faro più isolato del mondo. Chi poteva essere più solo del suo guardiano? La nave fece naufragio, lo scienziato lottò contro i flutti e stremato raggiunse la riva. Camminò fino alla cima della scogliera.
Sulla porta del faro c'erano un telefono e una scritta: Gentile naufrago. Questo faro è a elevato grado di automatizzazione ed è comandato a distanza. In caso di cattivo funzionamento chiami il 32444432 di Aberdeen, Centro assistenza fari solitari, una nostra barca arriverà a ripararlo entro una settimana.
- Porca la mamma di Cousteau - disse lo scienziato.
Dopo una settimana di cozze e diarrea, fu recuperato e riportato in patria. Ma non si diede per vinto. Aveva in serbo l'arma segreta, l'ultimo tentativo.
Sapeva che un suo compagno di Università, il timido dottor Tenia, si trovava in una base artica da ben vent'anni, per una ricerca sulle danze degli orsi polari. I soldi per la ricerca erano finiti e il dottore era stato abbandonato lì. Ogni anno lui e Tenia si scambiavano gli auguri di Natale. Perciò era sicuro che da vent'anni nessuno era arrivato in quella zona desolata.
Dopo molti giorni di slitta, giunse a un capannone in mezzo a un mare di ghiaccio.
Inutile dire che Tenia gli buttò le braccia al collo, quasi piangendo.
- Mio vecchio compagno, - disse - non sai che piacere mi fa vederti.
- Perché sei stato molto solo, vero? - disse lo scienziato.
- Incredibilmente, continuamente, terribilmente solo, vent'anni di solitudine solinga e solitaria, nessuno al mondo è stato più solo di me.
- Perfetto, - disse lo scienziato - posso registrare la tua storia e farti una foto?
- Come no!
Ma in quel momento la porta del capannone si aprì e dal nevischio ululante sbucò una gigantesca sagoma in tuta termica.
Dalla tuta uscì un uomo biondo e muscoloso, occhi azzurri e sorriso smagliante.
- Ti presento il dottor Dimitri Dyachov. È arrivato da una settimana, lavora a due miglia da qui, in un laboratorio che ricerca il petrolio sotto il ghiaccio. Non puoi immaginare quanto ci teniamo compagnia.
- Posso usare tua doccia? - disse il gigante sovietico.
- Vai pure, Didi - disse il dottor Tenia, e quando l'uomo si allontanò, spiegò sottovoce: - Vedi, amico mio, lui è uno scienziato bravissimo... ed è anche un uomo colto e gioviale e poi... insomma, non posso nascondertelo... è gay come me!
- Ah - disse lo scienziato.
- Non puoi capire come sono felice! - disse il dottor Tenia baciandolo e abbracciandolo.
- Porca la mamma di Amundsen - disse lo scienziato.
Lo scienziato tornò a casa, dopo tanti mesi.
Nessuno gli venne incontro, viveva solo.
Vuotò la cassetta della posta: solo bollette, nessuno gli aveva scritto.
In frigorifero non aveva neanche un pezzo di formaggio, solo pane raffermo. Tutto era pieno di ragnatele.
Si sedette su una sedia, mangiò un panino con le ragnatele e all'improvviso ebbe un'intuizione.
- Ma certo! La mia ricerca non è stata vana! Ho verificato una cosa strabiliante! Nessun uomo è solo! Per quanto isolato e reietto e romito, non può essere solo. Quindi ne deriva che l'uomo più solo del mondo non esiste. È una scoperta scientifica straordinaria!
Questa rivelazione lo mise in uno stato di febbrile agitazione. Pensò di telefonare a qualche collega, ma non si fidava. Pensò di telefonare a qualche amico, ma non ne aveva. E neanche parenti. In quanto ai vicini, non sapeva neanche chi fossero. Che iella, pensò, ho appena scoperto che l'uomo più solo del mondo non esiste e non ho nessuno a cui dirlo.
E così buttò giù un po' di appunti e andò a letto.
Solo.

Stefano Benni (La Grammatica di Dio - 2007 - Feltrinelli)


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