Negli ultimi tempi era stato molto attivo e particolarmente severo nei confronti di taluni soggetti vigilati, mai visto tanto livore. Aveva disposto affinché fossero effettuati approfondimenti per una serie d’interventi riguardanti talune problematiche ora attenzionate e di cui forse aveva appreso dettagli nel corso d’occasionali colloqui avuti durante gli incontri in salotti cittadini. Il Capocircoscrizione, che era avvezzo a frequentare l’alta borghesia e ambienti vicini alla Dogana, conosceva, infatti, molti gestori dei più distinti locali controllati e mostrava sempre interesse alle notizie che era d’uso apprendere nel corso degli incontri conviviali. Apprezzava i grandi vini ed in quel periodo mostrava un particolare “riguardo” verso i responsabili della Nuova Cantina.
Anche allo scopo di sviare dicerie e pettegolezzi si accompagnava negli incontri mondani, portando spesso con se anche il compagno dell’unica belloccia che era riuscito ad accalappiare in quest’ultima circoscrizione cui era stato assegnato. Del resto per la Dogana era diventata una prassi rituale il fatto che i responsabili degli stabilimenti venissero facilmente e prontamente introdotti negli ambienti socio-economici circoscrizionali, che costituivano per loro area operativa del momento.
Quella mattina di un lunedì d’inizio estate, come d’abitudine visitando l’ufficio prediletto, con sorpresa di quasi tutti gli astanti, il Comandante annunciò la repentina decisione di lasciare l’Arma; in un primo tempo non fu preso sul serio, quindi fu costretto a chiarire l’imprevedibile mossa arzigogolando argomentazioni da subito poco credibili, in altre parole che, nel timore di incappare nella probabile istituzione di una nuova “tassa sul bottone”, si era fatto bene i conti in tasca ed aveva deciso di optare per le dimissioni dall’incarico (accolte in un battibaleno dal Comando Generale e con decorrenza pressoché immediata). Restavano, però molti punti oscuri sulla vicenda; vuoi per l’inattendibilità del paventato pretesto fiscale, vuoi per il fatto che fino al giorno prima – durante il rituale incontro mattutino del venerdì – il transfuga si era intrattenuto con i collaboratori, per fare il punto sui tanti lavori in corso e programmando peraltro interventi che lo avrebbero pure pienamente coinvolto nell’attività futura: chi sta decidendo soluzioni così drastiche in genere non si dilunga in questioni che già da domani non lo riguarderanno.
In poco tempo, quindi, maturarono i fatti previsti e la temporanea reggenza della caserma, a prescindere dell’adeguatezza allo scopo, fu affidata al naturale unico sostituto disponibile.
Nei corridoi della caserma circolarono da subito tante ipotesi riguardo ai reali motivi che avevano indotto l’esperto vecchio a quell’imprevedibile “fuga”. Una e quella che circolava con maggiore insistenza, parlava di delusioni per un mancato incarico di prestigio, atteso il desiderio di ricoprire la dirigenza di un’importante caserma del nord; la tempestività delle dimissioni però non si conciliava con i tempi. Un’altra motivazione alludeva ad aspetti passionali, in qualche modo forse pure collegati a note debolezze inconfessabili. Qualcuno poi riferiva di un’istintiva reazione ad un mancato benevolo accoglimento di un favore, richiesto in alto loco. Un’ultima ipotesi insinuava su mani intrise di marmellata. Era in ogni caso evidente il fatto che, atteso l’impegno da tempo profuso - fuori del comune, ante e post - finalizzato ad accondiscendere ai sempre più crescenti desideri dell’ultima “favorita”, l’eccessivo arbitrio della gestione aveva alimentato la nascita di diffusi malcontenti; anche per mancate analoghe promozioni attese da altri. Erano di dominio pubblico, almeno nell’ambito circoscrizionale, le inusuali forzature attuate per favorire l’avanzamento nel grado dell’ultima prediletta, mentre azioni vessatorie erano intanto attuate su altri (interni ed esterni alla caserma). Non poteva pertanto escludersi che qualche uccellino fosse stato indotto a cinguettare in alto loco sulle devianze gestionali, trascorse, reiterate ed ancora attuali.
Accreditabile appariva anche un’ipotesi più triste. Qualcuno sospettava che un imprudente ed incompatibile avvio di trattative con una cantina cittadina aveva fatto luce su delle mani imbrattate di marmellata; incidenti simili del resto erano già accaduti, anche se in quel comprensorio non avevano mai interessato l’elevato ruolo.
L’imprevedibile decisione destò comunque molto clamore nell’ambiente e così pure l’inusuale dinamismo attuato per “sistemare” al meglio i fidi prediletti; attuando anche manovre che andassero a creare presupposti di “eterna riconoscenza”. Prima di lasciare la Caserma l’alto ufficiale, quindi, sistemò tutte le sue cose e infine dispose per la “normalizzazione” in organico dei fedelissimi; anche facendo rientrare qualcuno dalle protratte e protette “qualificanti transumanze”. Era il meno che poteva compiere e l’azione andava intanto ad eliminare ogni traccia degli abusi e delle eccessive arbitrarietà pregresse, rendendo tutto limpido agli occhi del prossimo inquilino. Era peraltro certo che, in loco, nessuno mai avrebbe parlato.
Da vecchio pirata, quale egli era, conosceva bene le regole e ancor di più l’ambiente e gli uomini; per gli abusi cui era avvezzo, evidenti e sottaciuti ma da tempo ben noti, manovrando abilmente le sue leve di comando, accontentando prontamente gli “stolti, comprando a basso prezzo i classici venduti e distribuendo caramelle agli amici si era da sempre assicurato l’indifferenza e l’apatia della platea sottoposta.
Di curioso ci fu che, trascorso un mese dall’esodo, il vecchio girasse disinvolto nei vecchi ambienti. A taluni che ebbero a chiedere spiegazioni fu risposto che stava ultimando la redazione dei bollettini valutativi ed allora fu domandato: ma a che titolo? Atteso che da oltre un mese aveva ufficialmente cessato dal ruolo, per la struttura non era più un elemento attivo, pertanto non c’era alcun legame lavorativo che potesse legittimarne l’operato e ancor meno quella “eccessiva libera circolazione”. E poi, come mai non aveva fatto in tempo a redigere quei riferimenti nell’ultima settimana utile rimastagli? Forse aveva voluto cautelarsi, per registrare le successive reazioni? Ovvero quali erano stati gli impegni prioritari effettivamente svolti? Ed infine, sarebbero stati validi dei riferimenti redatti, “a quattro mani”? Ovvero chi appose la firma su quanto fu redatto e il tutto sotto quale data? I “log” informatici relativi agli inserimenti registrarono, in ogni caso, con certezza e in ogni dettaglio il fatto; ma nessuno mai si prese la briga di avviare controlli. Furono solo fatti firmare, a posteriori e per una seconda volta, nuovi moduli cartacei valutativi. Come spesso accade in questi ambienti, non fu data alcuna risposta e nessun sindacato interferì in questi problemi: forse troppo sofisticati per loro.
Dopo qualche tempo, ma non molto, circolò la notizia di un nuovo incarico; nessuno si stranì e neanche del fatto che riguardasse un’impresa fino ad ieri direttamente vigilata; né si ebbe curiosità circa i tempi d’avvio della trattativa e sulle altre formalità attuate per addivenire alla nuova intesa contrattuale.
In ogni caso era prevedibile immaginarlo, erano stati in molti coloro che avevano abbondantemente puntato su questa ipotesi.
Come accennato, l’evento rinverdiva anche quelle strane azioni di riciclaggio di taluni finanzieri transfughi, facilmente assunti – anche con ottimi incarichi – nell’ambito anche indiretto d’ambienti fino ad ieri attenzionati.
Il fatto, che appariva ufficialmente e pubblicamente inappuntabile – prudentemente, erano stati fatti trascorrere i giusti tempi – in ogni modo risultava a tutti deontologicamente scorretto, specie per l’elevato livello in precedenza ricoperto dal transfuga. L’evento mostrava, ancora una volta, i rischi insiti nelle gestioni poco trasparenti, specie in quelle caserme che erano chiamate a svolgere dei delicati compiti istituzionali.
Nel caso, peraltro, non si sarebbero alimentate molte dietrologie se l’incarico avesse riguardato una cantina diversa. Era noto, infatti - ed era pure stato oggetto di contenzioso con dei concorrenti - il modo in cui la Nuova Cantina aveva provveduto a rinnovare ed infoltire i propri organici. Con un’azione aggressiva, attuato il trasferimento della sede dello stabilimento originario per rinnovare il marchio, la nuova realtà enologica aveva attinto alle migliori risorse umane presenti nella piazza – magari arruolando rappresentanti di aziende concorrenti che gestivano “ricchi portafogli clienti” – offrendo loro lucrosi contratti. Con un pragmatismo ai limiti della lealtà concorrenziale la Nuova Cantina era così riuscita a ridurre i costi d’avviamento, accorciando i tempi per l’efficace penetrazione nell’allora più importante mercato di riferimento. Così la nuova struttura si era assicurata i migliori enologi e i più bravi sommelier della concorrenza operavanti nella piazza; per quanto ovvio, quindi, furono pure molti quelli che portarono con sé sia le ricette che le nutrite liste dei facoltosi clienti.
L’arruolamento del “vecchio” generò, quindi, nuove dicerie e rafforzò sospetti.
sc
Anche allo scopo di sviare dicerie e pettegolezzi si accompagnava negli incontri mondani, portando spesso con se anche il compagno dell’unica belloccia che era riuscito ad accalappiare in quest’ultima circoscrizione cui era stato assegnato. Del resto per la Dogana era diventata una prassi rituale il fatto che i responsabili degli stabilimenti venissero facilmente e prontamente introdotti negli ambienti socio-economici circoscrizionali, che costituivano per loro area operativa del momento.
Quella mattina di un lunedì d’inizio estate, come d’abitudine visitando l’ufficio prediletto, con sorpresa di quasi tutti gli astanti, il Comandante annunciò la repentina decisione di lasciare l’Arma; in un primo tempo non fu preso sul serio, quindi fu costretto a chiarire l’imprevedibile mossa arzigogolando argomentazioni da subito poco credibili, in altre parole che, nel timore di incappare nella probabile istituzione di una nuova “tassa sul bottone”, si era fatto bene i conti in tasca ed aveva deciso di optare per le dimissioni dall’incarico (accolte in un battibaleno dal Comando Generale e con decorrenza pressoché immediata). Restavano, però molti punti oscuri sulla vicenda; vuoi per l’inattendibilità del paventato pretesto fiscale, vuoi per il fatto che fino al giorno prima – durante il rituale incontro mattutino del venerdì – il transfuga si era intrattenuto con i collaboratori, per fare il punto sui tanti lavori in corso e programmando peraltro interventi che lo avrebbero pure pienamente coinvolto nell’attività futura: chi sta decidendo soluzioni così drastiche in genere non si dilunga in questioni che già da domani non lo riguarderanno.
In poco tempo, quindi, maturarono i fatti previsti e la temporanea reggenza della caserma, a prescindere dell’adeguatezza allo scopo, fu affidata al naturale unico sostituto disponibile.
Nei corridoi della caserma circolarono da subito tante ipotesi riguardo ai reali motivi che avevano indotto l’esperto vecchio a quell’imprevedibile “fuga”. Una e quella che circolava con maggiore insistenza, parlava di delusioni per un mancato incarico di prestigio, atteso il desiderio di ricoprire la dirigenza di un’importante caserma del nord; la tempestività delle dimissioni però non si conciliava con i tempi. Un’altra motivazione alludeva ad aspetti passionali, in qualche modo forse pure collegati a note debolezze inconfessabili. Qualcuno poi riferiva di un’istintiva reazione ad un mancato benevolo accoglimento di un favore, richiesto in alto loco. Un’ultima ipotesi insinuava su mani intrise di marmellata. Era in ogni caso evidente il fatto che, atteso l’impegno da tempo profuso - fuori del comune, ante e post - finalizzato ad accondiscendere ai sempre più crescenti desideri dell’ultima “favorita”, l’eccessivo arbitrio della gestione aveva alimentato la nascita di diffusi malcontenti; anche per mancate analoghe promozioni attese da altri. Erano di dominio pubblico, almeno nell’ambito circoscrizionale, le inusuali forzature attuate per favorire l’avanzamento nel grado dell’ultima prediletta, mentre azioni vessatorie erano intanto attuate su altri (interni ed esterni alla caserma). Non poteva pertanto escludersi che qualche uccellino fosse stato indotto a cinguettare in alto loco sulle devianze gestionali, trascorse, reiterate ed ancora attuali.
Accreditabile appariva anche un’ipotesi più triste. Qualcuno sospettava che un imprudente ed incompatibile avvio di trattative con una cantina cittadina aveva fatto luce su delle mani imbrattate di marmellata; incidenti simili del resto erano già accaduti, anche se in quel comprensorio non avevano mai interessato l’elevato ruolo.
L’imprevedibile decisione destò comunque molto clamore nell’ambiente e così pure l’inusuale dinamismo attuato per “sistemare” al meglio i fidi prediletti; attuando anche manovre che andassero a creare presupposti di “eterna riconoscenza”. Prima di lasciare la Caserma l’alto ufficiale, quindi, sistemò tutte le sue cose e infine dispose per la “normalizzazione” in organico dei fedelissimi; anche facendo rientrare qualcuno dalle protratte e protette “qualificanti transumanze”. Era il meno che poteva compiere e l’azione andava intanto ad eliminare ogni traccia degli abusi e delle eccessive arbitrarietà pregresse, rendendo tutto limpido agli occhi del prossimo inquilino. Era peraltro certo che, in loco, nessuno mai avrebbe parlato.
Da vecchio pirata, quale egli era, conosceva bene le regole e ancor di più l’ambiente e gli uomini; per gli abusi cui era avvezzo, evidenti e sottaciuti ma da tempo ben noti, manovrando abilmente le sue leve di comando, accontentando prontamente gli “stolti, comprando a basso prezzo i classici venduti e distribuendo caramelle agli amici si era da sempre assicurato l’indifferenza e l’apatia della platea sottoposta.
Di curioso ci fu che, trascorso un mese dall’esodo, il vecchio girasse disinvolto nei vecchi ambienti. A taluni che ebbero a chiedere spiegazioni fu risposto che stava ultimando la redazione dei bollettini valutativi ed allora fu domandato: ma a che titolo? Atteso che da oltre un mese aveva ufficialmente cessato dal ruolo, per la struttura non era più un elemento attivo, pertanto non c’era alcun legame lavorativo che potesse legittimarne l’operato e ancor meno quella “eccessiva libera circolazione”. E poi, come mai non aveva fatto in tempo a redigere quei riferimenti nell’ultima settimana utile rimastagli? Forse aveva voluto cautelarsi, per registrare le successive reazioni? Ovvero quali erano stati gli impegni prioritari effettivamente svolti? Ed infine, sarebbero stati validi dei riferimenti redatti, “a quattro mani”? Ovvero chi appose la firma su quanto fu redatto e il tutto sotto quale data? I “log” informatici relativi agli inserimenti registrarono, in ogni caso, con certezza e in ogni dettaglio il fatto; ma nessuno mai si prese la briga di avviare controlli. Furono solo fatti firmare, a posteriori e per una seconda volta, nuovi moduli cartacei valutativi. Come spesso accade in questi ambienti, non fu data alcuna risposta e nessun sindacato interferì in questi problemi: forse troppo sofisticati per loro.
Dopo qualche tempo, ma non molto, circolò la notizia di un nuovo incarico; nessuno si stranì e neanche del fatto che riguardasse un’impresa fino ad ieri direttamente vigilata; né si ebbe curiosità circa i tempi d’avvio della trattativa e sulle altre formalità attuate per addivenire alla nuova intesa contrattuale.
In ogni caso era prevedibile immaginarlo, erano stati in molti coloro che avevano abbondantemente puntato su questa ipotesi.
Come accennato, l’evento rinverdiva anche quelle strane azioni di riciclaggio di taluni finanzieri transfughi, facilmente assunti – anche con ottimi incarichi – nell’ambito anche indiretto d’ambienti fino ad ieri attenzionati.
Il fatto, che appariva ufficialmente e pubblicamente inappuntabile – prudentemente, erano stati fatti trascorrere i giusti tempi – in ogni modo risultava a tutti deontologicamente scorretto, specie per l’elevato livello in precedenza ricoperto dal transfuga. L’evento mostrava, ancora una volta, i rischi insiti nelle gestioni poco trasparenti, specie in quelle caserme che erano chiamate a svolgere dei delicati compiti istituzionali.
Nel caso, peraltro, non si sarebbero alimentate molte dietrologie se l’incarico avesse riguardato una cantina diversa. Era noto, infatti - ed era pure stato oggetto di contenzioso con dei concorrenti - il modo in cui la Nuova Cantina aveva provveduto a rinnovare ed infoltire i propri organici. Con un’azione aggressiva, attuato il trasferimento della sede dello stabilimento originario per rinnovare il marchio, la nuova realtà enologica aveva attinto alle migliori risorse umane presenti nella piazza – magari arruolando rappresentanti di aziende concorrenti che gestivano “ricchi portafogli clienti” – offrendo loro lucrosi contratti. Con un pragmatismo ai limiti della lealtà concorrenziale la Nuova Cantina era così riuscita a ridurre i costi d’avviamento, accorciando i tempi per l’efficace penetrazione nell’allora più importante mercato di riferimento. Così la nuova struttura si era assicurata i migliori enologi e i più bravi sommelier della concorrenza operavanti nella piazza; per quanto ovvio, quindi, furono pure molti quelli che portarono con sé sia le ricette che le nutrite liste dei facoltosi clienti.
L’arruolamento del “vecchio” generò, quindi, nuove dicerie e rafforzò sospetti.
sc
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