domenica 13 febbraio 2011

Non ci concentriamo sulla mutanda

Il Tg1 di Minzolini, dopo averci inflitto nei giorni scorsi la comica intervista in ginocchio di uno spaventato spaventapasseri a Silvio Berlusconi, l’altro ieri ci ha presentato il debordante, equilibrato, equo, non fazioso Giuliano Ferrara in un monologo di parecchi minuti sul “moralismo, il bacchettonismo, lo Stato Etico” (poteva mancare lo Stato Etico?) che è patrimonio della sinistra in generale e che si è scatenato sulle recenti vicende giudiziarie che coinvolgono l’onorevole Berlusconi. Se fossimo di destra potremmo dire, come sempre fan loro, che “mancava il contraddittorio” cosa grave in un talk-show e ancor più nel primo telegiornale della televisione di Stato.

Si sarebbe per esempio potuto obiettare a Ferrara, per quanto riguarda il moralismo sessuale, che quelli della sua parte quando viene arrestato un presunto stupratore dicono “In galera subito, e buttare via le chiavi”. Non vale per costui la presunzione di innocenza. Non vogliono nemmeno il processo. Come per Berlusconi. Con questa differenza: il premier è innocente “a prescindere”, l’altro è colpevole a priori. Comunque Ferrara ha potuto evoluire a suo comodo e ha avuto buon gioco. Perché effettivamente la sinistra è moralista, è bacchettona e su quello che impropriamente viene chiamato “il caso Ruby” si è concentrata sugli aspetti morbosi e pecorecci di quanto accadeva in casa Berlusconi. Sulla “prostituzione minorile” la cui prova è assai difficile e dubbio, nella fattispecie, lo stesso reato perché, sempre ammesso e non concesso, che il Cavaliere abbia trafficato sessualmente con Ruby, oggi una ragazza di 17 anni è minorenne solo per l’anagrafe (per cui sarebbe bene, nei reati sessuali, abbassare l’età minorile, oggi ci sono in circolazione delle autentiche “mine vaganti”) e non è che uno, prima di andarci a letto, possa chiedergli la carta di identità.

Ma il fatto è che quella che è in ballo non è affatto una “questione morale”. È una questione penale. Non riguarda fatti avvenuti nella sua privatissima e sacralissima casa (che è tale quando gli fa comodo, mentre vi si fanno incontri istituzionali che, per decenza, dovrebbero svolgersi altrove), ma un atto compiuto fuori dalle sue mura, pubblico e privato, senza che ci sia di mezzo alcuna intercettazione, ammesso dallo stesso presidente del Consiglio: la telefonata notturna alla Questura di Milano che concretizza il reato di concussione. Dice l’articolo 317 del Codice penale: “Il pubblico ufficiale che abusando della sua qualità o delle sue funzioni costringe o induce taluno a dare o a promettere, indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la reclusione da quattro a dodici anni”. La concussione è “in re ipsa”, cioè nella telefonata stessa del presidente del Consiglio che è in sé un’indebita pressione, anche se i poliziotti non avessero poi seguito i “desiderata” di Berlusconi, anche se sotto interrogatorio invece che una bella ragazza ci fosse stato un ragazzo o un adulto o chicchessia. È questa evidenza del reato che ha permesso alla Procura di Milano di chiedere il rito immediato. Che sia poi competenza del Tribunale di Milano o di quello “per i ministri” è un’altra questione, ma il fatto stesso che ci si riferisca al “Tribunale per i ministri”, conferma che siamo di fronte a un abuso compiuto dal presidente del Consiglio nell’esercizio delle sue funzioni.

Ma le sinistre hanno preferito concentrarsi sulla mutanda. Dando così modo a Giuliano Ferrara di apparire dalla parte della ragione, mentre ha torto marcio.

Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 12 febbraio 2011)

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