venerdì 4 marzo 2011

BOOMERANG

Improvvisamente, un giorno, il signor Remo iniziò a odiare il suo cane.
Non era un uomo cattivo. Ma qualcosa si era rotto dentro di lui quando era rimasto vedovo. Aveva perso la moglie e gli era restato il cane, un botolo salcicciometiccio, grasso e nerastro, con orecchioni da pipistrello. Si chiamava Bum, ovvero Boomerang, perché riportava indietro qualsiasi cosa gli tirassero, con prontezza e perseveranza.
Un tempo il signor Remo e Bum avevano fatto lunghe passeggiate insieme e conversato del mondo umano e canino, di Cartesio e Rin Tin Tin. C'era grande intesa tra loro. Ma ora non si parlavano più. Il signore stava seduto in poltrona guardando il vuoto e Bum si accucciava ai suoi piedi, guardandolo con smisurato affetto. Era quello sguardo di assoluta dedizione e totale fiducia che il signor Remo soprattutto detestava. Il mondo non era che perdita, solitudine e dolore. Che senso aveva in questo pianeta orribile quella creatura incongrua, che scodinzolava e uggiolava di gioia, e riempiva del suo peloso, sovrabbondante amore una casa desolata? Il padrone iniziò a non dar più da mangiare al cane. Lo lasciava anche due giorni senza cibo. Ma Bum continuava a seguirlo amorosamente.
Quando il signor Remo si sedeva a tavola per il suo pasto, il cane non chiedeva nulla, né si avvicinava. Guardava con mite curiosità, e negli occhi aveva scritto: se tu mangi, ebbene anche io mi sazio. E più il padrone si ingozzava, ostentatamente e rumorosamente, più tenero diveniva lo sguardo di Boomerang. E quando finalmente il cane veniva sfamato, non correva frenetico alla ciotola, no... scodinzolava composto e riconoscente come per dire: avrai le tue buone ragioni se mi hai fatto digiunare, ti ringrazio oggi che ti sei ricordato.
Il padrone, forse avvelenato dall'ultima stilla di rimorso, si ammalò. Gli venne la febbre alta e Bum lo vegliò. Nella notte, quasi nel delirio, il signor Remo si destava e vedeva gli occhi spalancati e amorevoli del cane, e le lunghe orecchie dritte, come antenne. E sembrava dire: anche la morte morderò, padrone mio, se si avvicina a te.
Nell'anima ormai riarsa del signor Remo, l'odio per quell'amore smisurato crebbe. Non portò fuori il cane per quattro giorni. Bum aprì con la zampa la porta del terrazzo e lì pisciò con discrezione. Contrasse il suo metabolismo a venti gocce di urina e un cece fecale ogni due giorni. Non guaì, né diede segni di nervosismo, solo ogni tanto guardava il giardino fuori dalla finestra emettendo un piccolo sbuffo, come un sospiro di nostalgia, ma niente più.
Il padrone guarì e, appena rimessosi in piedi, senza una ragione, tirò un calcio al cane. Bum si nascose sotto il letto e il signor Remo si vergognò. Lo chiamò, il cane venne. Il padrone gli fece una carezza falsa e forzata e disse:
- Bum, devo abbandonarti. Mi dispiace. Non riesco più a occuparmi di te. Anzi, ma questo tu non lo puoi capire, ti detesto.
Il cane lo guardò con infinito affetto e dedizione. Perché non lo affidò a un canile o a qualche conoscente? Per pigrizia, anzitutto. Ma anche perché ricordava una frase della moglie. Gli aveva detto: Remo, se io morissi, mi raccomando, non lasciare solo il nostro Bum. Allora Remo si era arrabbiato per quella frase: come si poteva dubitare di questo? E invece, povera Dora, lei conosceva bene il grumo di cattiveria dentro al cuore del marito. Lei lo aveva abbandonato. E abbandonando il cane, ora lui si prendeva una folle rivincita sul destino. Così il signor Remo prese la macchina e portò Boomerang fuori città, in un grande prato dove spesso giocavano insieme. Il padrone camminava dietro e il cane davanti. Remo notò la caratteristica camminata aritmica di Bum. Ogni dodici passi ne zoppicchiava uno, alzando la zampetta posteriore come se il terreno bruciasse. Spesso lui e la moglie avevano trovato buffa e irresistibile questa andatura.
Ora il padrone guardava ondeggiare il grasso sedere di Bum con disgusto. Perciò, quando furono lontani da occhi indiscreti, legò il cane a un albero e senza voltarsi se ne andò. Tornò a casa, e cucinò con cura, come non faceva da tempo. Calciò la ciotola di Bum in un angolo. Prese il guinzaglio e la museruola, e li buttò nella spazzatura. Ma quella notte verso le tre, sentì grattare alla porta. Era Boomerang. Un po' sporco e bagnato, gli saltò addosso festoso, e fece il giro della casa per manifestare la sua gioia. Non sospettava nulla. Non c'era posto per il tradimento, nel suo cuore semplice e quadrupede. Il signor Remo quasi non dormì per la rabbia. Sognò massacri di foche e colbacchi di barboncino. La notte dopo caricò Bum in macchina, percorse cento chilometri di autostrada e abbandonò il cane nel parcheggio di un autogrill. Tornò indietro e andò al cinema. Vide un film con un mostro preistorico che usciva dai ghiacci e terrorizzava tutta l'America. Notò che, in una scena, il mostro sbatteva la coda proprio come Boomerang. Il mostro fu liquidato a micidiali colpi di missile e di dialogo. Il signor Remo dormì saporitamente. Il giorno dopo al supermercato incontrò una signora, proprietaria della cagnina Tommasina, amica di Boomerang.
- Dov'è Bum?
- Ahimè - disse il signor Remo, e spalancò le braccia.
La signora si mise una mano sulla bocca teatralmente. Non chiese nulla, rispettò quel riserbo. Sfiorò con la mano la mano del signore.
- Immagino sia un grande dolore per lei.
- Non sa quanto - rispose il signor Remo.
Tornò a casa. Mentre saliva le scale, sentì un rumore lieve ma
inconfondibile. Unghie sul marmo. Era Boomerang, sul pianerottolo. Il signore si chiuse in bagno, seduto sul water tutta notte. Attraverso il vetro smerigliato della porta, intravedeva la sagoma inconfondibile di Bum in attesa. Verso l'alba il cane grattò al vetro, preoccupato.
- Vattene, bastardo - ringhiò l'uomo.
Il cane dimenò la coda. Il suo padrone era vivo, dopo tutto. Due giorni dopo il signor Remo prese nuovamente la macchina, guidò tutto il giorno e col cane arrivò in riva al mare. Lì salì su un traghetto. Alcuni bambini giocavano con Boomerang, e un signore disse:
- Beato lei che può portarlo in vacanza. Il mio è troppo grosso. Si vede che siete uniti.
- È proprio così - disse il signor Remo.
Era il tramonto. Il signore portò Boomerang sulla spiaggia, e gli tirò un legnetto nel mare. Bum nuotò, addentò, tornò a riva e naturalmente il padrone non c'era più. Il signor Remo, sul traghetto del ritorno, trangugiò due cognac ed ebbe la nausea.
Passò una settimana, La signora, che aveva visto tornare Boomerang la prima volta, chiese notizie della nuova sparizione.
- Ahimè, - disse il signor Remo - si era ripreso, poi una ricaduta.
La signora fece una faccia compunta, e anche la cagnina Tommasina versò una lacrima, forse di pena forse di cimurro.
Fu una settimana triste per il signor Remo, ma non certo per la mancanza di Boomerang. Anzi, si accorse che nella casa il tappeto e il divano puzzavano di cane, e li deodorò.
Il signor Remo era triste perché si era rotto il televisore. Il tecnico finalmente venne. Armeggiò, parlò del più e del meno, e vide la ciotola di Boomerang.
- Lei ha un cane? - disse.
- Non più.
- Io invece adesso ne ho uno, ed è proprio un problema. Pensi, ero in vacanza al mare. Al ritorno, sul traghetto, un cane grassottelle e brutto mi salta dentro la macchina. I miei figli dicono: dai papà, è un cagnolino abbandonato, teniamolo, teniamolo. Sa come sono i bambini...
- Certo - disse il signor Remo.
- Insomma, adesso ce l'ho qui sotto in macchina, cerco qualcuno a cui darlo. Lei non conosce mica nessuno?
- Di che colore è il cane? - chiese il signor Remo con un brivido.
- Nero. Con due orecchie come un pipistrello.
Il tecnico uscì. Il televisore funzionava. Il signor Remo si sedette, ma non guardava lo schermo. Guardava la porta. Dopo un istante, sentì le unghie raspare. Al signor Remo tornò in mente un vecchio film della sua infanzia, con sepolti vivi e cadaveri che uscivano dalla tomba. Ma era nulla, in confronto al terrore di quel momento. Boomerang il dolce zombie era tornato. Ancora più grasso, perché i bambini lo avevano rimpinzato. E lo guardava, con immutato amore, fedeltà e fiducia e altri sentimenti nobili.
- Ma lo vuoi capire che ti ho abbandonato? - urlò il signor Remo.
- Ci sarà un perché. Tu sei il mio saggio padrone, e ti voglio più bene di prima - rispose il cane con l'alfabeto della coda.
Allora il signore preparò un piano perfetto. Avrebbe cambiato paese, addirittura continente, per un lungo viaggio. Lo rimuginava da tempo. Prelevò i risparmi, si comprò una giacca bianca e un cappello di paglia. Una mattina chiuse a chiave Boomerang in terrazza, e partì.
Prese un aereo e volò quattordici ore. Quando scese dall'aereo, già si sentiva diverso e tropicale. Al ritiro bagagli si mise accanto a una ragazza abbronzata e le sorrise. Sì, era lontano, lontano da tutto. Odore di mare e sole, non di cane. Fu allora che si accorse di una strana scena. Una signora stava piangendo tra due poliziotti. Indicava una gabbia per cani, appena sbarcata dall'aereo.
- Ma non è possibile! - gridava con voce stridula - dov'è il mio Rufus?
- Signora, si calmi - diceva un poliziotto grattandosi la testa.
- Non può essere successo quello che lei dice...
Incuriosito, il signor Remo si avvicinò. Sentì il poliziotto che parlava con l'addetto ai bagagli smarriti.
- È accaduto qualcosa di molto strano. La signora ha inviato regolarmente il suo cane, in una gabbia nella stiva. Ma adesso dice che quello non è il suo animale.
-Impossibile...
- Il mio cane è un setter irlandese, - disse la signora piangendo - questo è un botolo grasso e orrendo. Mi ricordo benissimo che, alla partenza, stava girando libero per l'aeroporto.
- Vuole dire, signora, che qualcuno le ha sostituito il cane?
- Ma sì - rise l'addetto ai bagagli - ...oppure il botolo ha aperto la gabbietta e si è sostituito al suo.
- Non faccia l'ironico, - disse la signora - lei non sa quanto sono intelligenti i cani!
Il signor Remo non aspettò che la gabbia venisse aperta. Di corsa, trascinando la valigia a rotelle, scappò per i corridoi dell'aeroporto, e sentì alle spalle il galoppo frenetico di Boomerang che lo inseguiva. Al volo salì sul taxi e disse:
- All'Hotel Tropicana, subito, di corsa.
- Non posso, senor - disse il tassista. - Davanti all'auto c'è un brutto cane sdraiato che non mi fa passare.
Il signor Remo salì nella sua camera, all'ultimo piano dell'hotel. Aprì il finestrone della terrazza. Boomerang annusava la moquette, soddisfatto. Il signor Remo si tolse la giacca bianca e il cappello. Guardò il mare e l'orizzonte lontano. Prese la rincorsa e saltò. L'ultima cosa che vide fu Boomerang, grasso e compatto come un proiettile, che precipitava al suo fianco, con uno sguardo di adorazione. Un gioco nuovo, padrone?
La stampa locale dedicò anche un titolo alla triste e commovente storia. Li seppellirono insieme.

Stefano Benni (La Grammatica di Dio - Storie di solitudini e allegria - 2007 - Feltrinelli)

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