Non è una partita a scacchi. La politica questo ci ha insegnato, che si deve giocare d’astuzia, intelligenza, prevedendo le mosse dell’avversario e vince il migliore, cioè il più lucido, attento, audace. C’è spregiudicatezza nelle partite a scacchi, ma non c’è livore. Quella che si gioca, invece, fra Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi è una partita cattiva, molto cattiva. Uno dei due contendenti, Gianfranco Fini, è infinitamente più debole a dispetto del ruolo, presidente della Camera.
L’avversario gli ha preparato una trappola infernale, ma per farlo ha dovuto giocare d’azzardo e non è detto che l’azzardo lo premi. Andiamo ai fatti.
Dopo una lunga riflessione e i think-tank del presidente del Consiglio ha tratto il dado e con una lettera ha chiesto che la giunta delle autorizzazioni a procedere sollevasse il conflitto di attribuzione alla Corte costituzionale per ottenere che il giudizio sul capo del governo fosse affidato al tribunale dei Ministri. Che è composto da magistrati come il tribunale ordinario ma a differenza del tribunale ordinario, a conclusione del lavoro istruttorio deve rivolgersi alla Camera di appartenenza, in questo caso Montecitorio, per ottenere il rinvio a giudizio, che il Gip ha già concesso fissando la prima udienza il 6 aprile con rito immediato grazie all’evidenza delle prove raccolte dai pm.
La questione non è, dunque, la scelta fra tribunale ordinario o tribunale dei ministri ma tra processo e “scudo” a favore di Silvio Berlusconi. Non c’è alcun dubbio, infatti, che al termine del lavoro del tribunale dei Ministri, ove dovesse essere richiesta l’autorizzazione a procedere, verrebbe negata, perché il premier può contare, grazie ai cosiddetti “responsabili” su una maggioranza netta alla Camera dei deputati.
Sollevando il conflitto di attribuzione, dunque, Silvio Berlusconi si gioca l’impunità sul processo Ruby Rubacuori, che lo vede imputato di accuse infamanti, quali la concussione e il favoreggiamento della prostituzione minorile. Il tribunale di Milano, al quale il caso è stato demandato, potrebbe ugualmente procedere nei confronti dell’imputato, rischiando la nullità di ogni atto ove la Corte costituzione, alla quale il conflitto di attribuzione viene demandato, desse ragione alla Camera dei deputati e rinviasse perciò al tribunale dei Ministri le indagini. Ma non è tutto: la Consulta, informalmente, ha fatto trapelare un indirizzo del quale avrebbero dovuto tenere conto i legali-parlamentari: potrebbe dichiarare irricevibile la richiesta di pronunciamento perché spetterebbe alla Corte di Cassazione decidere.
Un groviglio inestricabile nel quale i legali-parlamentari del premier si trovano a loro agio, perché accresce in modo esponenziale la quantità e la qualità degli escamotage e degli espedienti a favore dell’imputato-presidente del Consiglio. Nulla a che vedere con le garanzie concesse al cittadino comune, che non può disporre del Parlamento e della sua maggioranza per evitare di essere giudicato da un tribunale.
La trappola, dunque. Gianfranco Fini è chiamato a decidere sulle buone ragioni di Silvio Berlusconi che chiede, attraverso i capigruppo della sua maggioranza politica, che venga sollevato il conflitto di attribuzione. La giunta per le autorizzazioni a procedere, sulla carta, concede alle opposizioni un voto in più. Potrebbe decidere di rigettare la richiesta, ma l’ultima parole, spetta comunque al presidente della Camera, qualunque sia l’indirizzo prevalente nella giunta per le autorizzazioni.
Gianfranco Fini può decidere di respingere l’istanza o può accoglierla. Nel primo caso sarà inevitabilmente accusato da Silvio Berlusconi in prima istanza, dalla maggioranza parlamentare, di non essere imparziale perché leader di una formazione politica di opposizione e, ancora di più, di un partito nato in contrasto con il Pdl del premier. Il suo “no” sarebbe viziato da questa condizione, qualunque sia la motivazione, la qualità del giudizio, la sua correttezza o meno. La conseguenza? Non solo la censura, ma un conflitto istituzionale, la richiesta della maggioranza di dimissioni del presidente della Camera, e, in assenza di esse, forme di protesta clamorose e senza precedenti.
Ove, invece, Gianfranco Fini regalasse al suo nemico politico l’impunità – perché questa è la posta in palio – farebbe un harakiri puro e semplice. Il suo partito è stato svuotato da Berlusconi negli ultimi giorni con spregiudicate operazioni di “ingaggio” di deputati e senatori. E lo stesso presidente della Camera è stato oggetto di una campagna di denigrazione a mezzo stampa durata quasi sette mesi, guidata proprio dal Giornale di Berlusconi.
Qualunque decisione, dunque, è destinata ad avere conseguenze assai negative per il presidente della Camera. Ecco perché la decisione di Berlusconi di sollevare il conflitto di attribuzione è una polpetta avvelenata. Curaro, il veleno che non lascia scampo.
Sicilia Informazioni (2 marzo 2011)
L’avversario gli ha preparato una trappola infernale, ma per farlo ha dovuto giocare d’azzardo e non è detto che l’azzardo lo premi. Andiamo ai fatti.
Dopo una lunga riflessione e i think-tank del presidente del Consiglio ha tratto il dado e con una lettera ha chiesto che la giunta delle autorizzazioni a procedere sollevasse il conflitto di attribuzione alla Corte costituzionale per ottenere che il giudizio sul capo del governo fosse affidato al tribunale dei Ministri. Che è composto da magistrati come il tribunale ordinario ma a differenza del tribunale ordinario, a conclusione del lavoro istruttorio deve rivolgersi alla Camera di appartenenza, in questo caso Montecitorio, per ottenere il rinvio a giudizio, che il Gip ha già concesso fissando la prima udienza il 6 aprile con rito immediato grazie all’evidenza delle prove raccolte dai pm.
La questione non è, dunque, la scelta fra tribunale ordinario o tribunale dei ministri ma tra processo e “scudo” a favore di Silvio Berlusconi. Non c’è alcun dubbio, infatti, che al termine del lavoro del tribunale dei Ministri, ove dovesse essere richiesta l’autorizzazione a procedere, verrebbe negata, perché il premier può contare, grazie ai cosiddetti “responsabili” su una maggioranza netta alla Camera dei deputati.
Sollevando il conflitto di attribuzione, dunque, Silvio Berlusconi si gioca l’impunità sul processo Ruby Rubacuori, che lo vede imputato di accuse infamanti, quali la concussione e il favoreggiamento della prostituzione minorile. Il tribunale di Milano, al quale il caso è stato demandato, potrebbe ugualmente procedere nei confronti dell’imputato, rischiando la nullità di ogni atto ove la Corte costituzione, alla quale il conflitto di attribuzione viene demandato, desse ragione alla Camera dei deputati e rinviasse perciò al tribunale dei Ministri le indagini. Ma non è tutto: la Consulta, informalmente, ha fatto trapelare un indirizzo del quale avrebbero dovuto tenere conto i legali-parlamentari: potrebbe dichiarare irricevibile la richiesta di pronunciamento perché spetterebbe alla Corte di Cassazione decidere.
Un groviglio inestricabile nel quale i legali-parlamentari del premier si trovano a loro agio, perché accresce in modo esponenziale la quantità e la qualità degli escamotage e degli espedienti a favore dell’imputato-presidente del Consiglio. Nulla a che vedere con le garanzie concesse al cittadino comune, che non può disporre del Parlamento e della sua maggioranza per evitare di essere giudicato da un tribunale.
La trappola, dunque. Gianfranco Fini è chiamato a decidere sulle buone ragioni di Silvio Berlusconi che chiede, attraverso i capigruppo della sua maggioranza politica, che venga sollevato il conflitto di attribuzione. La giunta per le autorizzazioni a procedere, sulla carta, concede alle opposizioni un voto in più. Potrebbe decidere di rigettare la richiesta, ma l’ultima parole, spetta comunque al presidente della Camera, qualunque sia l’indirizzo prevalente nella giunta per le autorizzazioni.
Gianfranco Fini può decidere di respingere l’istanza o può accoglierla. Nel primo caso sarà inevitabilmente accusato da Silvio Berlusconi in prima istanza, dalla maggioranza parlamentare, di non essere imparziale perché leader di una formazione politica di opposizione e, ancora di più, di un partito nato in contrasto con il Pdl del premier. Il suo “no” sarebbe viziato da questa condizione, qualunque sia la motivazione, la qualità del giudizio, la sua correttezza o meno. La conseguenza? Non solo la censura, ma un conflitto istituzionale, la richiesta della maggioranza di dimissioni del presidente della Camera, e, in assenza di esse, forme di protesta clamorose e senza precedenti.
Ove, invece, Gianfranco Fini regalasse al suo nemico politico l’impunità – perché questa è la posta in palio – farebbe un harakiri puro e semplice. Il suo partito è stato svuotato da Berlusconi negli ultimi giorni con spregiudicate operazioni di “ingaggio” di deputati e senatori. E lo stesso presidente della Camera è stato oggetto di una campagna di denigrazione a mezzo stampa durata quasi sette mesi, guidata proprio dal Giornale di Berlusconi.
Qualunque decisione, dunque, è destinata ad avere conseguenze assai negative per il presidente della Camera. Ecco perché la decisione di Berlusconi di sollevare il conflitto di attribuzione è una polpetta avvelenata. Curaro, il veleno che non lascia scampo.
Sicilia Informazioni (2 marzo 2011)
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