mercoledì 16 marzo 2011

Su Ingroia è B. che provoca

Un magistrato non dovrebbe partecipare a comizi e, tanto meno, esprimere pubblicamente opinioni politiche. È un limite alla libertà di manifestazione del pensiero garantita dall’art. 21 della Costituzione? Lo è. Ma ci sono alcune funzioni pubbliche che contengono in se stesse questa limitazione. Il presidente della Repubblica non può dire ciò che vuole e che pensa perché ha un dovere di imparzialità cui lo obbliga la sua carica. Così il magistrato, non solo deve essere imparziale quando giudica o dà corso a un’azione penale, ma deve anche, come la moglie di Cesare, apparire tale.

Un tempo, in cui si conoscevano e si rispettavano le regole, il magistrato parlava solo “per atti e documenti”, non faceva conferenze stampa sui procedimenti in corso, non esprimeva opinioni politiche e, anche nella sua vita privata, era costretto a una grande cautela nelle sue frequentazioni. Era una vita un po’ da recluso cui lo obbligava la delicatezza della sua funzione. Perché quello del magistrato non è un mestiere come un altro, incarna una funzione delicatissima, forse la più delicata in una democrazia. Per questo sono assolutamente contrario ai magistrati che si candidano in politica, perché gettano inevitabilmente un’ombra sulla loro attività pregressa anche se, in coscienza, l’abbiano svolta con tutta l’imparzialità, l’obiettività e l’onestà di cui sono capaci. Così com’è del tutto inaccettabile, a parer mio, che un magistrato che ha fatto politica torni, finita quella esperienza, alla sua funzione originaria. Perché non ha più credibilità.

Questo in un sistema regolato. Ma in un sistema regolato un presidente del Consiglio non accusa quasi quotidianamente “certi magistrati” di “fare un uso politico della giustizia” che non è solo un’invasione di campo molto più grave delle opinioni espresse da Ingroia, non è solo un attacco a un’altra Istituzione dello Stato, non è nemmeno semplicemente un’ingiuria, è la denuncia di un reato, il reato più grave che possa commettere un magistrato: aver piegato la giustizia a fini che con la giustizia non hanno nulla a che fare.

Ora un qualsiasi cittadino, e il premier prima di ogni altro, cosa dovrebbe fare in una situazione del genere? Dovrebbe denunciare i magistrati felloni alla Procura della Repubblica competente. Ma Berlusconi si guarda bene dal farlo. Perché? Le ipotesi sono due. O non ha né prove né indizi di quello che afferma, fa solo illazioni, è un volgare calunniatore che dovrebbe rispondere in sede penale di quello che insinua, se non avesse l’accortezza di non fare mai il nome e il cognome del magistrato o dei magistrati felloni, anche se chiaramente individuabili. E allora quello di Berlusconi e del centrodestra è, esso sì, un teorema, sul quale peraltro il Cavaliere vive da sedici anni. Oppure non si fida non di questa o quella Procura, non di questo o quel Gip, di questo o quel Tribunale, ma dell’intera magistratura.

Ma se il presidente del Consiglio, di fatto la più importante carica istituzionale, non si fida della magistratura, perché mai dovremmo fidarcene noi, comuni cittadini? Chi ci garantisce che il giudice che ci troviamo davanti è veramente un giudice o un mascalzone? Chi ci obbliga a rispettare le sue decisioni se il premier è il primo a non rispettarle, quando si tratta di casi suoi? Anche noi abbiamo i casi nostri. E allora liberi tutti. Perché ciascuno di noi, anche Totò Riina, protagonista di uno straordinario “accanimento giudiziario”, può essere o essere stato vittima di una magistratura fellona. Si svuotino le carceri. Del resto già da tempo non c’è maghrebino preso con le mani nel sacco che, sull’autorevole esempio del premier, non si dica vittima di un “complotto” della polizia e della magistratura.

Il danno più notevole arrecato dall’onorevole Berlusconi al nostro Paese è aver tolto ai cittadini ogni fiducia nella magistratura, organo chiamato a regolare, attraverso l’applicazione della legge, i rapporti che ci tengono insieme e, di conseguenza, quel poco di senso della legalità che rimaneva al popolo italiano. Ed è paradossale che un soggetto del genere, che è da sempre prevenuto nei confronti della magistratura, che ha verso di essa motivi di astio personali essendo tuttora implicato in quattro processi, e che da altri è uscito solo per il rotto della cuffia della prescrizione (ma almeno in due casi la Cassazione, altro organo accusato dal premier, insieme alla Corte costituzionale, di parzialità, ha accertato che i reati di cui era imputato li aveva effettivamente commessi, anche se poi, in sentenza, li ha dichiarati prescritti), pretenda ora di fare, lui, la Grande Riforma della Giustizia italiana.

Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano - 15 marzo 2011)

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