Lucio Dalla, salendo sulle strade dell'Etna, conduce la vecchia Jaguar come i Malavoglia, residenti della vicina Aci Trezza, conducevano la loro barca, la Provvidenza: sbandate improvvise, colpi di timone, sguardo all'orizzonte. Guidano meglio i piloti delle sue canzoni (Nuvolari, Senna), ma non ho il coraggio di dirglielo. Lucio Dalla, oltrettutto, ha due attenuanti: guida di notte con gli occhiali da sole; e si e' guadagnato il mio rispetto. Per ore, in una traversa della via Etnea, ha riempito la «valigia del Duemila» messagli davanti dal Corriere . Non so se l'abbia fatto volentieri. Dalla e', per temperamento e per cultura, un impasto tra Eraclito, Hegel e un imprenditore New Age: lo spettacolo di cosa succede lo affascina; le esclusioni lo infastidiscono. Se fosse San Pietro e gli venisse affidata la direzione del traffico in occasione del giudizio universale, darebbe una mano a tutti. Se lavorasse a un casello autostradale, alzerebbe le sbarra, e andrebbe a pescare.
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La conversazione si svolge su un dondolo, in un cortile stretto tra case alte. Di fronte a noi un muro rosa, chiazzato di umidita' e insidiato dai rampicanti. La' dove un geometra vedrebbe alti costi di manutenzione, Lucio Dalla vede «un quadro di Burri». Lo scirocco non lo infastidisce; la luce che scompare, lo entusiasma: «Il mondo si mette a posto da solo, con l'arrivo della sera». Il che e' vero, soprattutto in Sicilia, ma rende piu' difficile un'intervista come questa, dove occorre essere piu' manichei che poeti, piu' giustizialisti che giusti, piu' intellettualmente vendicativi che umanamente comprensivi. Ma Dalla non ne vuole sapere. Vestito alla Dalla (piedi nudi, calzoni corti, maglietta larga), con gli amici nella stanza accanto, con un disco (Canzoni) che ha venduto un milione e trecentomila copie e una tournee' imminente (partenza il 9 agosto dal porto di Marsala), Lucio Dalla guarda questo muro di Catania, e ha l'aria di essere in pace col mondo.
Sto per rassegnarmi. Quando, d'improvviso, benvenuto come un refolo di vento fresco che non t'aspetti, un accenno polemico. «La gente non si rende conto che sta finendo il millennio», dice. «Ne parla, si'. Ma non se ne rende conto. Manca la componente ansiogena positiva. Peccato. Sara' come arrivare a Natale senza accorgersene. E diciamocelo: quel che conta e' la vigilia. Non c'e' niente di piu' noioso del giorno di Natale». Ecco, ci siamo: un attacco alla religione? Nemmeno per sogno. Lucio Dalla sostiene che un personaggio che transitera' trionfalmente nel prossimo millennio e' Gesu' Cristo. «Si e' circondato di gente che contava talmente poco da non esistere nemmeno. Qualche poveraccio. Una ex-puttana. Un pescatore, che probabilmente gli puzzavano anche i piedi. Cristo ha saputo essere anacronistico, ha creato codici nuovi. Come lui, San Francesco: massmediologi assoluti, uomini che avevano capito tutto.»
Lucio Dalla si ferma, si rannicchia sul dondolo, guarda ancora il muro di Catania, saluta gli amici di Cattolica, da' consigli al cantante di Fano (Armando Dolci), riverisce il signor Pippo, proprietario della sala d'incisione. «Sopravviveranno alla fine della civilta' della parola - dice - quelli che hanno inventato qualcosa, invece di copiarlo: i tragici greci, Shakespeare. E quelli che, in tutte le epoche, hanno fiutato il cambiamento. In Italia, recentemente, Calvino e Pasolini. In centroeuropa, Kafka, Thomas Mann. Musil no: troppo classico. Robert Walser, quello della Passeggiata , si', invece. Il protagonista cammina e capisce che, dietro quell'apparente tranquillita', sta per saltare tutto in aria. Sapevi che quel libro mi ha ispirato L'anno che verra'? ».
No, non sapevo che lo svizzero Walser avesse ispirato al bolognese Dalla L'anno che verra'. Sapevo, pero', che Lucio Dalla ha sempre masticato il futuro (Cosa sara', Telefonami tra vent'anni, Futura ): ecco perche' sono qui. Annuisce. «Futura l'ho scritta dopo una visita a Berlino. Credo fosse il 1979. Berlino ovest era tutta una luce, Berlino est tutta buia. Sono andato al Check-Point Charlie. Mi sono fermato a guardare. Poi e' arrivato un taxi. Dentro c'era Phil Collins dei Genesis, che erano in citta'. E' sceso, e si e' messo anche lui a guardare, senza dire niente. Non sono andato a parlargli, anche se mi sarebbe piaciuto. Perche' non avrei sopportato che, in quel momento, qualcuno fosse venuto a parlare con me.
Mentre lo tento con la valigia aperta - voglio nomi, voglio condanne impietose e promozioni rapide: sono o non sono un giornalista? - Lucio Dalla continua a rifinire il concetto di partenza, come uno scultore che non sa abbandonare la sua statua. «Diciamo che mi piacciono le palle che rimbalzano da una parete all'altra. Mi piace la gente che e' aperta al cambiamento. Mi piacciono i siciliani e i napoletani. Mi piace Ruggiero IIº e mi piace Spielberg: e' furbo, attento e poetico. Mi piaceTerminator 2 : resistera'. Rossellini e Fellini? Avranno qualche difficolta'. Chi capira' il termine "paparazzi", tra vent'anni? Ammiro invece Roberto Roversi: nel 1974 aveva gia' capito come sarebbe stato il "motore del 2000"». (A proposito di motori: promossi al terzo millennio sia Nuvolari che Senna, ma forse piu' Senna di Nuvolari).
Sulla musica, Dalla ha qualche incertezza in piu': forse la frequenta troppo. Non e' disposto, pero', a giurare sulla longevita' del melodramma («Un po' fumettistico»), ne' in quella del blues («Un po' retorico»). Ha qualche dubbio su Elvis Presley e sui Beatles («L'altro giorno ho comprato un loro disco, e mi e' sembrato un po' ridicolo»), e ha molti dubbi sul marketing musicale del passato prossimo («Una follia.»). Promuove invece Pavarotti (ma non vale, sono amici) e promuove Franco Battiato (sono amici e vicini di casa, ma vale lo stesso. Dalla lo considera un genio, e ama i suoi costumi da bagno ascellari, la sua competenza musicale, le sue passioni estemporanee. Ultimamente - dice l'amico affascinato - Battiato e' stato assiduo spettatore dei tornei di boccette nei bar di Catania).
Scende la sera siciliana, e il bolognese Dalla si guarda intorno soddisfatto, mostrandomi dove stanno l'ibisco e il gelsomino: «Quando vado in un posto, io divento quel posto». Crudelmente, lo induco a parlare di politica. Anche in questo campo, Lucio Dalla non intende dire chi merita di rimanere, ma chi rimarrá. Promuove insieme persone che non ama, portatrici di idee che non condivide, e personaggi che apprezza e stima («Basta che siano testimoni del tempo»). «Votavo comunista, e avevo fiducia in Berlinguer. Non sto dicendo che fosse perfetto: sto dicendo che mi fidavo. Ma come posso negare che Giulio Andreotti rimarra'? Ha lasciato un segno profondo nell'immaginario collettivo. Ohe', parliamo di uno che e' stato al governo per decenni e andava a ritirare un premio come il Telegatto. Dico: il Telegatto. E mentre era li' faceva lo spiritoso con Ruud Gullit.»
Stessa magnanima apertura verso altri protagonisti della politica italiana. Silvio Berlusconi, per esempio, rappresenta un archetipo italiano e, comunque, «aveva tutto il diritto di entrare in politica». «E Antonio Di Pietro? Un tipico italiano del sud, protagonista e generoso. A me, Di Pietro sta benissimo. Lo stesso vale per Bossi e per Craxi. E se questi personaggi hanno provocato cambiamenti e turbamenti, tanto meglio: fanno parte dello straordinario del mondo. Non e' questione di buono o di cattivo: il fatto di esistere e', di per se', una prova di inevitabilita'. C'era anche bisogno della polvere da sparo, visto che qualcuno l'ha inventata.» E cosa dice Lucio Dalla, che ha sempre votato a sinistra, dei miti sempreverdi della sinistra? Che Guevara, per esempio, restera'? «Conosco bene il Sudamerica e posso garantire che non ci sono tracce della funzione rivoluzionaria del Che Guevara. E' solo una questione iconografica.» Poster nelle camere dei ragazzi? «Piu' o meno».
Mettetevi nei miei panni: cosa si puo' dire a un uomo di sinistra che mette Berlusconi e non Che Guevara nella valigia del 2000? Niente. Lo si ascolta. «Mi piaccioni i vulcani, e le schegge che vanno lontano. Mi piacere guardarli, i vulcani, come Plinio. Mi piacciono i personaggi che provocano catastrofi. Anch'io nel mio piccolo, ho cercato di provocare catastrofi. Mi hanno dato il premio Montale, ma poi ho fatto Attenti al lupo col balletto. Ricordo - quando giravo l'Italia con De Gregori e cantavo vecchie canzoni - la sensazione d'essere ormai materiale trascorso . Capivo che Dario Fo con il suo Mistero Buffo era piu' rock di me. Per esserci la volta dopo, bisogna sparire e rinascere. Ecco: io ho l'ambizione di non rimanere.»
Questa è una bugia, naturalmente. Ma ha l'aria di essere la prima, e gliela lasciamo dire.
Beppe Severgnini (Beppe Severgnini website)
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La conversazione si svolge su un dondolo, in un cortile stretto tra case alte. Di fronte a noi un muro rosa, chiazzato di umidita' e insidiato dai rampicanti. La' dove un geometra vedrebbe alti costi di manutenzione, Lucio Dalla vede «un quadro di Burri». Lo scirocco non lo infastidisce; la luce che scompare, lo entusiasma: «Il mondo si mette a posto da solo, con l'arrivo della sera». Il che e' vero, soprattutto in Sicilia, ma rende piu' difficile un'intervista come questa, dove occorre essere piu' manichei che poeti, piu' giustizialisti che giusti, piu' intellettualmente vendicativi che umanamente comprensivi. Ma Dalla non ne vuole sapere. Vestito alla Dalla (piedi nudi, calzoni corti, maglietta larga), con gli amici nella stanza accanto, con un disco (Canzoni) che ha venduto un milione e trecentomila copie e una tournee' imminente (partenza il 9 agosto dal porto di Marsala), Lucio Dalla guarda questo muro di Catania, e ha l'aria di essere in pace col mondo.
Sto per rassegnarmi. Quando, d'improvviso, benvenuto come un refolo di vento fresco che non t'aspetti, un accenno polemico. «La gente non si rende conto che sta finendo il millennio», dice. «Ne parla, si'. Ma non se ne rende conto. Manca la componente ansiogena positiva. Peccato. Sara' come arrivare a Natale senza accorgersene. E diciamocelo: quel che conta e' la vigilia. Non c'e' niente di piu' noioso del giorno di Natale». Ecco, ci siamo: un attacco alla religione? Nemmeno per sogno. Lucio Dalla sostiene che un personaggio che transitera' trionfalmente nel prossimo millennio e' Gesu' Cristo. «Si e' circondato di gente che contava talmente poco da non esistere nemmeno. Qualche poveraccio. Una ex-puttana. Un pescatore, che probabilmente gli puzzavano anche i piedi. Cristo ha saputo essere anacronistico, ha creato codici nuovi. Come lui, San Francesco: massmediologi assoluti, uomini che avevano capito tutto.»
Lucio Dalla si ferma, si rannicchia sul dondolo, guarda ancora il muro di Catania, saluta gli amici di Cattolica, da' consigli al cantante di Fano (Armando Dolci), riverisce il signor Pippo, proprietario della sala d'incisione. «Sopravviveranno alla fine della civilta' della parola - dice - quelli che hanno inventato qualcosa, invece di copiarlo: i tragici greci, Shakespeare. E quelli che, in tutte le epoche, hanno fiutato il cambiamento. In Italia, recentemente, Calvino e Pasolini. In centroeuropa, Kafka, Thomas Mann. Musil no: troppo classico. Robert Walser, quello della Passeggiata , si', invece. Il protagonista cammina e capisce che, dietro quell'apparente tranquillita', sta per saltare tutto in aria. Sapevi che quel libro mi ha ispirato L'anno che verra'? ».
No, non sapevo che lo svizzero Walser avesse ispirato al bolognese Dalla L'anno che verra'. Sapevo, pero', che Lucio Dalla ha sempre masticato il futuro (Cosa sara', Telefonami tra vent'anni, Futura ): ecco perche' sono qui. Annuisce. «Futura l'ho scritta dopo una visita a Berlino. Credo fosse il 1979. Berlino ovest era tutta una luce, Berlino est tutta buia. Sono andato al Check-Point Charlie. Mi sono fermato a guardare. Poi e' arrivato un taxi. Dentro c'era Phil Collins dei Genesis, che erano in citta'. E' sceso, e si e' messo anche lui a guardare, senza dire niente. Non sono andato a parlargli, anche se mi sarebbe piaciuto. Perche' non avrei sopportato che, in quel momento, qualcuno fosse venuto a parlare con me.
Mentre lo tento con la valigia aperta - voglio nomi, voglio condanne impietose e promozioni rapide: sono o non sono un giornalista? - Lucio Dalla continua a rifinire il concetto di partenza, come uno scultore che non sa abbandonare la sua statua. «Diciamo che mi piacciono le palle che rimbalzano da una parete all'altra. Mi piace la gente che e' aperta al cambiamento. Mi piacciono i siciliani e i napoletani. Mi piace Ruggiero IIº e mi piace Spielberg: e' furbo, attento e poetico. Mi piaceTerminator 2 : resistera'. Rossellini e Fellini? Avranno qualche difficolta'. Chi capira' il termine "paparazzi", tra vent'anni? Ammiro invece Roberto Roversi: nel 1974 aveva gia' capito come sarebbe stato il "motore del 2000"». (A proposito di motori: promossi al terzo millennio sia Nuvolari che Senna, ma forse piu' Senna di Nuvolari).
Sulla musica, Dalla ha qualche incertezza in piu': forse la frequenta troppo. Non e' disposto, pero', a giurare sulla longevita' del melodramma («Un po' fumettistico»), ne' in quella del blues («Un po' retorico»). Ha qualche dubbio su Elvis Presley e sui Beatles («L'altro giorno ho comprato un loro disco, e mi e' sembrato un po' ridicolo»), e ha molti dubbi sul marketing musicale del passato prossimo («Una follia.»). Promuove invece Pavarotti (ma non vale, sono amici) e promuove Franco Battiato (sono amici e vicini di casa, ma vale lo stesso. Dalla lo considera un genio, e ama i suoi costumi da bagno ascellari, la sua competenza musicale, le sue passioni estemporanee. Ultimamente - dice l'amico affascinato - Battiato e' stato assiduo spettatore dei tornei di boccette nei bar di Catania).
Scende la sera siciliana, e il bolognese Dalla si guarda intorno soddisfatto, mostrandomi dove stanno l'ibisco e il gelsomino: «Quando vado in un posto, io divento quel posto». Crudelmente, lo induco a parlare di politica. Anche in questo campo, Lucio Dalla non intende dire chi merita di rimanere, ma chi rimarrá. Promuove insieme persone che non ama, portatrici di idee che non condivide, e personaggi che apprezza e stima («Basta che siano testimoni del tempo»). «Votavo comunista, e avevo fiducia in Berlinguer. Non sto dicendo che fosse perfetto: sto dicendo che mi fidavo. Ma come posso negare che Giulio Andreotti rimarra'? Ha lasciato un segno profondo nell'immaginario collettivo. Ohe', parliamo di uno che e' stato al governo per decenni e andava a ritirare un premio come il Telegatto. Dico: il Telegatto. E mentre era li' faceva lo spiritoso con Ruud Gullit.»
Stessa magnanima apertura verso altri protagonisti della politica italiana. Silvio Berlusconi, per esempio, rappresenta un archetipo italiano e, comunque, «aveva tutto il diritto di entrare in politica». «E Antonio Di Pietro? Un tipico italiano del sud, protagonista e generoso. A me, Di Pietro sta benissimo. Lo stesso vale per Bossi e per Craxi. E se questi personaggi hanno provocato cambiamenti e turbamenti, tanto meglio: fanno parte dello straordinario del mondo. Non e' questione di buono o di cattivo: il fatto di esistere e', di per se', una prova di inevitabilita'. C'era anche bisogno della polvere da sparo, visto che qualcuno l'ha inventata.» E cosa dice Lucio Dalla, che ha sempre votato a sinistra, dei miti sempreverdi della sinistra? Che Guevara, per esempio, restera'? «Conosco bene il Sudamerica e posso garantire che non ci sono tracce della funzione rivoluzionaria del Che Guevara. E' solo una questione iconografica.» Poster nelle camere dei ragazzi? «Piu' o meno».
Mettetevi nei miei panni: cosa si puo' dire a un uomo di sinistra che mette Berlusconi e non Che Guevara nella valigia del 2000? Niente. Lo si ascolta. «Mi piaccioni i vulcani, e le schegge che vanno lontano. Mi piacere guardarli, i vulcani, come Plinio. Mi piacciono i personaggi che provocano catastrofi. Anch'io nel mio piccolo, ho cercato di provocare catastrofi. Mi hanno dato il premio Montale, ma poi ho fatto Attenti al lupo col balletto. Ricordo - quando giravo l'Italia con De Gregori e cantavo vecchie canzoni - la sensazione d'essere ormai materiale trascorso . Capivo che Dario Fo con il suo Mistero Buffo era piu' rock di me. Per esserci la volta dopo, bisogna sparire e rinascere. Ecco: io ho l'ambizione di non rimanere.»
Questa è una bugia, naturalmente. Ma ha l'aria di essere la prima, e gliela lasciamo dire.
Beppe Severgnini (Beppe Severgnini website)
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