In un pensoso articolo pubblicato sul Corriere del 20/5 Piero Ostellino ci spiega, in termini filosofici, la storia italiana degli ultimi decenni. E' stato grazie all' “autonomia della politica dalla morale” (linea culturale che nel nostro Paese ha una lunga tradizione da Macchiavelli a Croce) se l'Italia ha potuto progredire e prosperare attraverso, “piaccia o non piaccia”, l'evasione fiscale, il lavoro nero, la corruzione, l'illegalità diffusa. Insomma la politica ha affermato il primato del 'principio di realtà', di ciò che effettivamente è, sul moralismo, così lo chiama Ostellino, del “dover essere”. A parte che non si vede alcuna ragione ragionevole per cui questa “autonomia dalla morale” spetti solo alla politica e non anche al singolo individuo nel perseguimento dei suoi interessi, il discorso di Ostellino, gli piaccia o no, è prettamente hegeliano: “Tutto ciò che è reale è razionale”. E quindi finchè rimane tale deve prevalere su ogni altra considerazione se non si vuole andare a sbattere il muso contro “le dure repliche della Storia”. Solo che questa primazia del 'principio di realtà' sulla morale (che in politica estera prende il nome di 'real politik') porta molto lontano. Porta al grido disperato di Ivan Karamazov: “Se tutto è assurdo, allora tutto è permesso”. Se non c'è Dio, se non c'è un principio superiore, religioso o laico che sia, che regoli i rapporti fra umani al di fuori e al di là del 'principio di realtà', tutto diventa lecito. Perchè mai Hitler non avrebbe dovuto, in nome di quel principio, sterminare gli ebrei, padroni della finanza tedesca, fino al loro ultimo discendente? Perchè non si dovrebbero ammazzare, se ciò viene comodo, bambini siriani o afgani? Perchè, più modestamente, non si dovrebbe rubare, taglieggiare, corrompere se questo aiuta, poniamo, l'economia? La questione da etica diventa puramente estetica. Non è bello rubare, non è bello inchiappettare i bambini, non è bello stuprare, ma se non esiste la morale, se è il 'principio di realtà', che è poi il diritto del più forte, a dover prevalere, in nome di che dovrei impedirmi di soddisfare i miei appettiti?
Il mio non è un discorso moralistico e nemmeno morale. Friedrich Nietzsche, in 'Genealogia della morale', ha splendidamente spiegato che la morale non ha nulla a che fare con la morale. Ma con l'utilità. Nasce perchè gli uomini seguendo liberamente i propri appetiti non si massacrino l'un l'altro ('homo homini lupus') finendo così per autodistruggersi e per distruggere la comunità in cui vivono. Che è proprio il contrario dell'individualismo sfrenato, liberaldemocratico, sostenuto da Ostellino. Una comunità non si sostiene e sopravvive solo sul principio di Libertà ma anche, e forse soprattutto, su quello di Autorità senza il quale si dissolve. La diarchia Libertà/Autorità non è così pacificamente scioglibile a favore della prima come noi crediamo. Fedor Dostoevskij nell'apologo de 'Il Grande Inquisitore' inserito ne 'I fratelli Karamazov', ha messo a fuoco questo eterno dilemma in trenta straordinarie pagine che restano le più profonde dedicate alla questione.
Ma per scendere dall'empireo dei Grandi sulla terra, cioè su questa povera, indecente, inguardabile Italia, vale ciò che disse venti anni fa in Tv l'infinitamente più modesto Beppe Grillo e che gli costò la cacciata dalla Rai: “Se tutti rubano non resta più nessuno a cui rubare”. Non c'è più trippa per i gatti. Ed è esattamente la situazione in cui, grazie anche alle elucubrazioni di Ostellino e di tutti gli innumerevoli Ostellini di questo Paese, siamo precipitati.
Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 2 giugno 2012)
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