Cosa sta succedendo sulla giustizia? Sul campo di battaglia in cui si sono consumati i peggiori misfatti dell'epoca berlusconiana, continuano ad accadere fatti difficili da spiegare. O spiegabili solo alla luce dei "soliti sospetti".
Sospetti che sempre accompagnano, purtroppo, i rapporti tra politica e codice penale. Norme "ad processum" per inquisiti eccellenti, salvacondotti trasversali per parlamentari da arrestare. Erano pane quotidiano con il governo del Cavaliere. Non vorremmo che ne restassero tracce anche con il governo del Professore.
C'è un primo indizio, che fa riflettere. Il voto con il quale l'assemblea di Palazzo Madama ha salvato dall'arresto Sergio De Gregorio, accusato della maxitruffa che ha coinvolto anche Lavitola. È un segnale inquietante. Non perché a negare la richiesta dei pm siano stati i 127 senatori del Pdl o i 22 della Lega, che a questo genere di blindature corporative ci hanno abituato da anni. Ma perché quel voto non sarebbe passato senza il contributo di almeno 40 franchi tiratori, di cui si ignora il partito ma si sospetta l'ordito: oggi noi salviamo De Gregorio, e la settimana prossima voi salvate Luigi Lusi.
Il 12 giugno, infatti, la giunta per le autorizzazioni dovrà decidere se accettare o respingere la richiesta d'arresto per il senatore della ex Margherita, coinvolto nello scandalo degli oltre 20 milioni di fondi sottratti al partito, mentre l'aula dovrà decidere a luglio. Scatterà, a parti invertite, lo stesso meccanismo? Funzionerà la stessa logica bipartisan, al riparo del voto segreto? Si fa fatica anche solo a crederlo, per un ceto politico già così irrimediabilmente screditato di fronte all'opinione pubblica. Ma qualche diffidenza si insinua, se persino Roberto Saviano adombra l'ipotesi del "voto di scambio".
C'è un secondo indizio, che fa diffidare. Il disegno di legge contro la corruzione. Su quel testo, riveduto e corretto dal ministro Severino rispetto al ddl varato dal suo predecessore Angelino Alfano, va in onda da giorni una strana manfrina. Alla Camera, prima in Commissione e poi in aula, i partiti della "strana maggioranza" discutono e si accapigliano sulle questioni più diverse. Alcune anche interessanti (l'incandidabilità dei condannati per delitti non colposi) altre quasi irrilevanti (la white list delle imprese virtuose depositate presso le Prefetture). Ma al di là delle schermaglie di superficie, su un tema di fondo tutti sembrano d'accordo: la riforma del reato di concussione, che anche nel testo corretto dalla mediazione del Guardasigilli, di fatto esce dal nostro ordinamento.
L'articolo 317 del codice penale viene riscritto, per volontà condivisa del centrodestra e del centrosinistra, che si appellano a una bugia: "Ce lo chiedono l'Ocse e l'Europa". La verità, come ha spiegato più volte il direttore del Servizio studi Davide Bonucci, è che "l'Ocse non ha mai chiesto all'Italia di eliminare la concussione". Poco importa. La "riforma" va fatta. Il Pdl lo esige, il Pd lo tollera. Il testo attuale prevede una pena fino a 12 anni per chiunque, abusando della propria posizione di pubblico ufficiale, induce o costringe un altro soggetto a fornire denaro o altri vantaggi per sé o per un terzo. Il nuovo testo spacchetta questo reato, e lo riconfigura in due reati diversi: la concussione "per costrizione" (per la quale la pena massima resta di 12 anni ma la minima sale da 4 a 6) e la "indebita induzione" (per la quale la pena si riduce da un minimo di 3 a un massimo di 8 anni).
L'impatto di questa modifica è devastante. Riduce ulteriormente i tempi della prescrizione, già pesantemente abbattuti dalle leggi ad personam (come la ex Cirielli) imposte al Parlamento da Berlusconi per fuggire dai suoi processi. Questa sì, una prassi per la quale l'Europa ci ha più volte accusato. Di Pietro, con una forzatura storica, parla di "un colpo di spugna" simile a quello tentato dal Cavaliere nel '94. L'ex pm esagera. Ma l'effetto di questa riforma, sui procedimenti in corso, rischia comunque di essere pesantissimo. Sul "padre di tutti i processi", innanzitutto: il Ruby-gate, che a Milano vede coinvolto proprio Berlusconi. Reato di prostituzione minorile. E reato di concussione per induzione, per la famosa telefonata alla Questura, in cui l'allora premier chiese il rilascio della ragazza perché "nipote di Mubarak". Con la riforma che potrebbe passare entro l'estate, questo processo rischierebbe di saltare: lo paventano gli stessi Pm di Milano.
Ma c'è un altro processo che, con questa legge, finirebbe al macero: quello che riguarda Filippo Penati, accusato di concussione per le aree ex Falck. Con la riformulazione del reato, anche l'ex coordinatore della segreteria di Bersani sarebbe salvo: l'ha detto ieri al "Sole 24 Ore" il pm di Monza, subito dopo aver emesso il provvedimento di chiusura indagini nei confronti dell'ex presidente della provincia di Milano. Se arriva la riforma, il reato addebitato a Penati risulterà estinto a fine 2012: "E io chiudo la baracca", è la conclusione di Walter Mapelli. Ma questo allarme non fa notizia. Nessuno si scandalizza. Nessuno, in Parlamento, si interroga sugli effetti pratici di questa riscrittura del codice. Alla vigilia della probabile fiducia che il governo porrà la settimana prossima, Pdl e Pd litigano su tutto, ma concordano sul via libera al testo votato in Commissione (quello che elimina, appunto, l'attuale concussione per induzione).
Due indizi non fanno una prova. Ma ce n'è abbastanza per chiedersi se questa riforma, per com'è formulata, sia davvero giusta e opportuna. Solo in quest'ultima legislatura, i parlamentari indagati e/o condannati per corruzione, concussione, truffa e abusi d'ufficio sono stati 90, di cui 59 del Pdl, 13 del Pd e 8 dell'Udc. Nello stesso periodo, gli amministratori locali coinvolti in inchieste giudiziarie per gli stessi reati sono stati circa 400, di cui 110 del Pd e quasi il triplo del Pdl. La nuova norma impatta su tutti i processi in corso per concussione, che sono quasi un terzo dei 90 nei quali sono coinvolti politici nazionali e più della metà degli oltre 400 in cui sono imputati i politici locali. Se questa è la realtà dei fatti, si giustifica una riserva mentale: evidentemente forse questa riforma conviene a molti.
Ma proprio questo è il punto. La stagione delle "guarentigie" improprie, a vantaggio di questo o quel potente, è finita per sempre. Se ci sono accordi da fare, avvengano almeno alla luce del sole, perché i cittadini-elettori li possano conoscere e valutare. La giustizia è un nervo scoperto della nostra democrazia. Non può più essere merce di scambio. Qualunque "patto segreto", su questo terreno, sarebbe scellerato. m.giannini@repubblica.it
Massimo Giannini (La Repubblica - 08 giugno 2012)
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