domenica 3 giugno 2012

Il pagliaccio che ride ma dovrebbe piangere

Il pagliaccio che ride ma dovrebbe piangere. Stampare euro, Berlusconi smentisce “Grave scambiare battuta per proposta”.
Ce ne sono tante di questioni delle quali oggi bisogna occuparsi: la recessione mondiale che ormai morde dovunque e non solo in Europa e in America ma anche nei Paesi emergenti come la Cina, l’India, il Brasile, il Sudafrica; la corruzione presente ovunque vi sia il potere ed ha raggiunto con drammatica intensità perfino i vertici della Chiesa di Cristo; l’incapacità europea di darsi un governo e una linea di politica economica. E poi ci sono le questioni italiane dove il dramma e a volte la tragedia si mescolano con il “burlesque” determinando una miscela esplosiva e comica. Il “ridi pagliaccio, la faccia infarina” con dietro la maschera dell’attore che piange lacrime di dolore e di sofferenza meriterebbe d’essere oggi assunto come simbolo delle sventure nazionali che contengono una dose di comicità tale da configurare un personaggio mostruoso in preda a passeggere ma intense emozioni prive di qualunque punto di riferimento razionale.

In questo ampio ventaglio di problemi partiamo dal più urgente che minaccia di sospingere tutti gli altri verso la catastrofe: la Spagna e la crisi bancaria spagnola. Si scatenò anche nel 2008 a ridosso della bolla immobiliare americana che provocò poco dopo il fallimento della Lehman Brothers. In Spagna stavano fallendo le principali casse di risparmio del Paese. Zapatero, ancora per poco al potere, le riunì nella Bankia, un nuovo istituto capitalizzato dallo Stato che avrebbe dovuto intraprendere una più tranquilla navigazione.

Sono passati quattro anni. Nel 2008 c’era la crisi finanziaria e bancaria ma non c’era la recessione, non c’era la crisi dei debiti sovrani, non c’era il crollo del mercato del lavoro. Adesso è l’economia reale a soffrire senza però che la finanza abbia distrutto i virus che l’avevano invasa. Bankia è di nuovo con la febbre a quarantuno e altrettanto male stanno le Casse di risparmio di Madrid e di Barcellona. Servono per domani diciannove miliardi e nei giorni seguenti un’altra cinquantina. Il governo spagnolo aveva pensato di procurarli emettendo un’analoga cifra di titoli di Stato e spostando d’un anno in avanti il pareggio del deficit. Ma poi ha pensato che l’aggravamento del debito avrebbe scatenato i mercati e perciò si è fermato. I mercati però si sono scatenati egualmente e per di più i depositanti creditori delle banche spagnole si sono messi in fila agli sportelli per ritirare i loro risparmi. Le società finanziarie hanno fatto prima: cliccando sui computer aziendali hanno trasferito milioni di euro dalla Spagna a più sicuri rifugi. Dove? In Germania ovviamente. Infatti l’interesse del Bund tedesco è calato di quasi un punto: valeva due euro, ora ne vale uno o poco più. La Spagna è in stato agonico, le banche tedesche e la clientela ingrassano.

Capisco che non bisogna irritare la Merkel perché l’Europa ha bisogno di lei. Però c’è un limite. Mi vengono in mente i “furbetti” di casa nostra che alla notizia del terremoto dell’Aquila ridevano commentando al telefono i pingui appalti che avrebbero ottenuto. Forse è irriverente paragonare le banche tedesche ai furbetti di casa nostra, ma purtroppo si tratta d’un paragone appropriato che non si verifica solo in Spagna ma in tutta Europa.
Dall’Italia, dalla Francia, dall’Olanda, dall’Austria, dal Portogallo, dalla Grecia, le banche rimborsano i depositanti mettendo in moto flussi di capitali a senso unico da tutta Europa alle banche tedesche. Salgono gli spread da un lato, scendono gli interessi dall’altro. Il governo tedesco ha una responsabilità politica e con esso ce l’ha la Commissione di Bruxelles e il presidente del Consiglio europeo. La Bce di Draghi ha lanciato l’sos, raccolto l’altro ieri dal governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco. Monti ha lanciato lo stesso segnale, Obama e Hollande altrettanto. Analogo allarme è stato manifestato da alti esponenti tedeschi dell’Spd e dei Verdi. Ma temo che non bastino i segnali. Bisogna che entro i prossimi giorni, anzi entro le prossime ore, ci sia una pubblica riunione di tutti i protagonisti e sia avanzata al governo tedesco una proposta concreta, accettabile ma ultimativa. Draghi l’ha già formulata: garanzia europea sui debiti bancari e unificazione del mercato bancario continentale. Contemporaneamente finanziamento alla Spagna coi fondi del Salva-Stati da rendere operativo con una dichiarazione comune del Consiglio dei ministri europeo e della Commissione. Se il fondo non disponesse materialmente dei denari necessari la Bce sia autorizzata ad anticiparli.

Queste sono misure d’urgenza e di estrema necessità senza le quali gli spread europei saliranno alle stelle e le Borse scenderanno in picchiata. È vero che Grillo e la Santanché, in prevista alleanza tra loro, predicano la nostra uscita dall’euro ed è vero anche che l’altro ieri un redivivo Berlusconi, tra gli applausi dei suoi deputati e senatori, ha proposto che la Zecca italiana stampi euro da distribuire alle famiglie e alle imprese in difficoltà.
Questa è la (involontaria) comicità di Berlusconi. Come se il ritorno alla lira fosse neutrale sul potere d’acquisto degli stipendi e delle pensioni; come se la Zecca italiana fosse agli ordini di Cicchitto e non della Banca centrale di Francoforte. Eppure queste dichiarazioni o esternazioni che dir si voglia non sono fatte a caso. Servono alla convergenza politica di quel che resta del Pdl, della Lega di Maroni (“Siamo disposti a costruire un nuovo rapporto amichevole col Pdl se ritirerà da subito la fiducia al governo Monti”), di Di Pietro e di Grillo. Gli obiettivi di questo schieramento le cui linee di tendenza sono ormai ben visibili, sono: abbattere Monti, abbattere le tasse, abbattere l’euro. Ridi pagliaccio, la faccia infarina: tragedia e comicità. Non fanno ridere, ma piangere sì.

Abbiamo già indicato una via d’uscita urgentissima, ma c’è una via d’uscita più solida da realizzare. Anche questa è stata prospettata da Draghi nel rapporto indirizzato ai governi del G8 e resa pubblica giovedì scorso. Si tratta d’una proposta lanciata quattro anni fa da Vincenzo Visco e recuperata l’anno scorso dal comitato dei cinque saggi nominato dal Parlamento europeo per trovare una soluzione al problema dei debiti sovrani europei (nel comitato c’era anche un tedesco e le conclusioni furono approvate all’unanimità). Si tratta di mettere in un Fondo comune europeo tutta la parte dei debiti sovrani in euro che eccedano il 60 per cento del rapporto tra il singolo debito sovrano e il Pil del Paese in questione. Il tasso d’interesse pagato dal Fondo sarebbe una media dei tassi d’interesse vigenti nei vari Paesi che hanno conferito una parte del debito. La media ponderata penalizzerebbe i Paesi virtuosi e premierebbe i Paesi meno virtuosi. L’Italia cioè pagherebbe un tasso minore del quattro per cento e la Germania un tasso maggiore del due. La proprietà del debito sovrano conferito al Fondo resterebbe tuttavia di pertinenza del Paese conferente. La Germania cioè – per andare al concreto – non dovrebbe addossarsi la compartecipazione dei debiti conferiti ma soltanto del proprio e così l’Italia, la Spagna e tutti gli altri. Non ci sarebbe cioè nessun trasferimento di titolarità del debito; il sacrificio (o il beneficio) sarebbe limitato al tasso d’interesse. La garanzia dei debiti conferiti al Fondo sarebbe europea e la sua copertura sarebbe il bilancio europeo opportunamente ricapitalizzato secondo le quote che spettano a ciascun Paese in base al reddito e alla popolazione.

Una riforma di questo genere sarebbe risolutiva, bloccherebbe la speculazione, farebbe scendere gli spread, consentirebbe importanti programmi di crescita economica e di tutela sociale e fiscale. Dovrebbe essere accompagnata anche da alcune importanti cessioni di sovranità dai governi alle Autorità europee a cominciare dall’unità del mercato bancario, dalla politica dell’immigrazione e dalla politica fiscale.

Questi obiettivi, quelli di emergenza e quelli di sfondo, hanno bisogno evidentemente di una politica per esser realizzati e – come è evidente – alcuni debbono essere raggiunti nei prossimi giorni, altri tra pochi mesi e altri ancora tra un paio d’anni. Alla confusa, demagogica e pericolosa convergenza anti-Monti e anti-euro va dunque opposta una responsabile coalizione di tutte le forze di centrosinistra in Europa e in Italia. Ripeto: centrosinistra, cioè la sinistra di governo e il centro. Negli altri Paesi i partiti hanno il peso che gli spetta per le funzioni che debbono svolgere: mettere in comunicazione il popolo e le istituzioni. In Italia purtroppo da molti anni non è più così. Quale più quale meno i partiti sono diventati clientele e uffici di collocamento del personale dirigente. C’è chi ha conservato una dignità ed una visione moderna del bene comune; chi è rimasto appoggiato a valori arcaici e ideologici e chi infine ha perso anche la dignità. Perciò è giusto dire – come dice Bersani – che non si può fare di ogni erba un fascio, ma è altrettanto spiacevole dover constatare che i partiti, anche quelli che hanno conservato la dignità, hanno tuttavia trascurato il rapporto con il popolo ed hanno contribuito a occupare le istituzioni invece di riconoscerne ed esaltarne l’autonomia.

Tutto il discorso sulle liste civiche – che rischia tuttavia di esser fattore di confusione se viene affrontato con retropensieri inaccettabili – verte su questo punto. La società civile, cioè gli elettori sovrani al momento del voto, dovrebbero riscoprire i partiti e “invaderli” laddove si riconoscano nei loro valori. Oppure formare liste civiche collegate con quei partiti, legge elettorale permettendo. Cioè: trasfusioni di sangue nuovo oppure circolazione extracorporea di sangue nuovo. I partiti – se vorranno rinnovarsi – debbono accogliere sia l’una sia l’altra soluzione purché gli obiettivi siano chiari e le persone appropriate per quanto riguarda l’etica pubblica, la competenza e l’entusiasmo per un’impresa molto audace.

PS. Alcuni giornali (Il Foglio, Il Fatto) e alcune trasmissioni televisive (il Tg di La7) hanno dato notizie che io, Carlo De Benedetti ed Ezio Mauro propugneremmo una lista civica di Repubblica che intraprenda una “scalata ostile” al Pd portando come personaggio di sfondamento Roberto Saviano. Saviano da un lato e noi dall’altro abbiamo smentito questa notizia degna soltanto del sito Dagospia, peraltro preclaro per chi ama il gossip.
Queste sono invece questioni molto serie e non gossippare e come tali dovrebbero esser trattate. Il giornalismo che usa il gossip fa molto male il suo mestiere e reca danno non alle persone ma al Paese.

Eugenio Scalfari (La Repubblica - 3 giugno 2012)


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