La professoressa di Greco entrò in classe il primo giorno di scuola e ci disse: «Iniziamo subito la lezione, perché il tempo è l’unica cosa che nessuno potrà mai restituirvi».
Il professore di Filosofa un giorno terminò la lezione dicendo: «Domani vi spiegherò Feuerbach. Feuerbach sostiene che non è stato Dio a creare l’uomo, ma l’uomo a creare Dio».
La prof di Lettere, al ginnasio, mi chiamò a sorpresa alla cattedra e mi interrogò. Alla fine, mandandomi a posto, si complimentò: «Bravo, perché non eri tanto preparato, ma ti sei buttato, e il coraggio alle volte fa buona parte del lavoro».
Alle medie io e un compagno di classe ci prendemmo a botte per una cosa da poco; ci divise la bidella. Ero mortificato, la professoressa di Matematica (in genere piuttosto fredda e distaccata) mi prese da parte e mi tranquillizzò: «Giovanni, non ti preoccupare. Tu ti preoccupi sempre troppo».
Che valore hanno questi ricordi? Che importanza hanno avuto nella mia vita questi episodi, queste parole, questi insegnamenti, questi concetti? Il valore, per me, è inestimabile. Non esiste calcolo, non esiste rapporto numerico, non esiste stipendio o compenso che potrebbe pareggiare quanto mi è stato dato queste e tante altre volte.
Non esiste un valore della scuola. O meglio, «è uguale ad infinito» direbbe una prof. Chi forma un uomo, o una donna, forma l’intera società.
La scuola, inoltre, non è solo studio. I miei compagni di classe sono tuttora miei amici e mia moglie l’ho conosciuta all’università. La scuola è esperienza: amicizia, amore, dolore, gioia, successo e fallimento. La scuola funzionerà sempre, anche se non funziona, perché non è fatta solo da quello che possiamo soppesare, ma anche da tutto quello per cui non esiste unità di misura. E' fatta, cioè, dalle singole persone.
La fabbrica degli ignoranti, però, è la scuola italiana. Non è la scuola che ognuno di noi ricorda di aver frequentato, quella in cui abbiamo studiato, quella grazie alla quale abbiamo conosciuto il mondo e noi stessi. La fabbrica degli ignoranti è la scuola italiana presa nel suo complesso, valutata per quello che costa e per quello che produce, analizzata per il modo in cui gestisce le risorse umane che da essa dipendono e che in essa si formano.
La scuola italiana la conosceremo nelle pagine che seguiranno, in questa introduzione invece dobbiamo intenderci su che cosa intendiamo per «ignoranti».
La definizione di «ignorante» che vi propongo è questa: è ignorante chi non sa farsi capire dagli altri e non riesce a comprenderli. Prima di approvarla pensateci bene, perché non si attaglia solo a chi non studia, ma anche a molti che hanno studiato tanto. Persino a chi ha studiato tantissimo, o troppo.
Una persona intelligente resterà quindi sempre e comunque intelligente, anche se non andrà oltre la quinta elementare, e un ignorante resterà tale anche se si laurea. Il punto è: a che livello vogliamo che la persona intelligente esprima le sue potenzialità?
Se desideriamo che tutte le persone in gamba del Paese possano concorrere a diventare classe dirigente, o possano anche solo e semplicemente vivere meglio, bisogna dare loro le armi per poterlo fare, e queste armi si chiamano: cultura e sapere.
Il professore di Filosofa un giorno terminò la lezione dicendo: «Domani vi spiegherò Feuerbach. Feuerbach sostiene che non è stato Dio a creare l’uomo, ma l’uomo a creare Dio».
La prof di Lettere, al ginnasio, mi chiamò a sorpresa alla cattedra e mi interrogò. Alla fine, mandandomi a posto, si complimentò: «Bravo, perché non eri tanto preparato, ma ti sei buttato, e il coraggio alle volte fa buona parte del lavoro».
Alle medie io e un compagno di classe ci prendemmo a botte per una cosa da poco; ci divise la bidella. Ero mortificato, la professoressa di Matematica (in genere piuttosto fredda e distaccata) mi prese da parte e mi tranquillizzò: «Giovanni, non ti preoccupare. Tu ti preoccupi sempre troppo».
Che valore hanno questi ricordi? Che importanza hanno avuto nella mia vita questi episodi, queste parole, questi insegnamenti, questi concetti? Il valore, per me, è inestimabile. Non esiste calcolo, non esiste rapporto numerico, non esiste stipendio o compenso che potrebbe pareggiare quanto mi è stato dato queste e tante altre volte.
Non esiste un valore della scuola. O meglio, «è uguale ad infinito» direbbe una prof. Chi forma un uomo, o una donna, forma l’intera società.
La scuola, inoltre, non è solo studio. I miei compagni di classe sono tuttora miei amici e mia moglie l’ho conosciuta all’università. La scuola è esperienza: amicizia, amore, dolore, gioia, successo e fallimento. La scuola funzionerà sempre, anche se non funziona, perché non è fatta solo da quello che possiamo soppesare, ma anche da tutto quello per cui non esiste unità di misura. E' fatta, cioè, dalle singole persone.
La fabbrica degli ignoranti, però, è la scuola italiana. Non è la scuola che ognuno di noi ricorda di aver frequentato, quella in cui abbiamo studiato, quella grazie alla quale abbiamo conosciuto il mondo e noi stessi. La fabbrica degli ignoranti è la scuola italiana presa nel suo complesso, valutata per quello che costa e per quello che produce, analizzata per il modo in cui gestisce le risorse umane che da essa dipendono e che in essa si formano.
La scuola italiana la conosceremo nelle pagine che seguiranno, in questa introduzione invece dobbiamo intenderci su che cosa intendiamo per «ignoranti».
La definizione di «ignorante» che vi propongo è questa: è ignorante chi non sa farsi capire dagli altri e non riesce a comprenderli. Prima di approvarla pensateci bene, perché non si attaglia solo a chi non studia, ma anche a molti che hanno studiato tanto. Persino a chi ha studiato tantissimo, o troppo.
Una persona intelligente resterà quindi sempre e comunque intelligente, anche se non andrà oltre la quinta elementare, e un ignorante resterà tale anche se si laurea. Il punto è: a che livello vogliamo che la persona intelligente esprima le sue potenzialità?
Se desideriamo che tutte le persone in gamba del Paese possano concorrere a diventare classe dirigente, o possano anche solo e semplicemente vivere meglio, bisogna dare loro le armi per poterlo fare, e queste armi si chiamano: cultura e sapere.
Giovanni Floris ( La Fabbrica degli ignoranti - La disfatta della scuola italiana: "Introduzione" - 2008 - Rizzoli)
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