martedì 9 ottobre 2012

Formigoni, urlare per non dire

Fino a tre mesi fa Roberto Formigoni si ispirava a un celebre aforisma del poeta Paul Valéry: “Quando non si può attaccare il ragionamento si attacca il ragionatore”.
Non appena c’erano domande sulle sue vacanze dal valore di molte centinaia di migliaia di euro, pagate da Pierangelo Daccò, il governatore accusava la stampa di aver falsificato i verbali. Poi è arrivato l’invito a comparire per corruzione. E Formigoni dai poeti è passato ai filosofi.
Per distogliere l’attenzione dal nocciolo della questione – a Daccò sono stati versati 70 milioni di euro da un ospedale privato come compenso per i 200 milioni di fondi regionali concessi a quella struttura – il Celeste si è aggrappato all’Arte di ottener ragione, il trattato di Shopenhauer pubblicato postumo perché il grande pensatore si vergognava di avervi minuziosamente elencato “le vie traverse e i trucchi di cui si serve la natura umana per celare i suoi difetti”.
Stratagemmi del tipo: se si è di fronte a un’argomentazione che ci batterà “non dobbiamo consentire che sia portata a termine, ma dobbiamo interrompere e sviare”. Regola applicata giovedì sera anche a Porta a Porta quando chi scrive ha tentato di farlo parlare degli scandali della sanità lombarda. Con due particolarità però. Formigoni alza sempre di più toni, arrivando ormai a urlare. E, per anestetizzare i cittadini, occupa costantemente il piccolo schermo.
Perché come spiega questa volta uno storico, Tacito: “Il crimine, quando scoperto, non ha altro rifugio che la sfrontatezza”. E noi, che siamo semplici cronisti, la sfrontatezza la vediamo tutta. Il resto, invece, è solo materia da tribunali.



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