Bentornati nel mondo reale. Immersi nel fango della questione morale e
nel carosello della campagna elettorale, i partiti della strana
maggioranza si erano quasi dimenticati dell'emergenza economica
italiana.
La legge di stabilità del governo Monti 1
è una scossa che riporta tutti al principio di realtà. Una scossa
necessaria, se si guarda al grafico dell'indebitamento finanziario
strutturale, che ci siamo impegnati a riportare in surplus già a partire
dall'anno prossimo. Una scossa violenta, se si guarda alle drammatiche
condizioni materiali di un Paese già stremato dai sacrifici. E dunque
una scossa non proprio salutare per l'economia reale, ancorché mitigata
da una piccola svolta, e cioè l'avvio di quel "percorso" di riduzione
della pressione fiscale che il presidente del Consiglio aveva negato
solo una settimana fa.
"Non è un'altra manovra", giura il
ministro del Tesoro Grilli. Ma si fa fatica a definire in un altro modo
un pacchetto di misure da 11,6 miliardi, che arriva appena dieci mesi
dopo il decreto Salva-Italia da oltre 30 miliardi, dopo una doverosa ma
durissima riforma delle pensioni, dopo l'indegna stangata per gli
esodati, dopo la pesantissima batosta sulla casa. Questa legge, nella
forma e nella sostanza, è a tutti gli effetti una Finanziaria bis. La
quantità degli interventi non è in discussione: se vogliamo portare al
tavolo dell'Unione europea il pareggio di bilancio, questi sono i saldi da rispettare. Ma la qualità delle decisioni del governo soddisfa solo in parte. La
novità più rilevante, dunque riguarda le entrate. La riduzione di 1
punto delle due aliquote Irpef più basse dela curva è una prima
inversione di rotta, sulla via della restituzione agli onesti di quanto
finora è stato sottratto all'Erario dai disonesti. Si può fare di più e
di meglio per sostenere il reddito delle famiglie meno abbienti, visto
che a causa dello scandalo di un'evasione da 260 miliardi di euro l'anno
la prima aliquota dell'imposta personale la pagano molti imprenditori,
artitiani e lavoratori autonomi che non nascondono le tasse. Ma è
comunque un segno d'attenzione verso i deboli, che finora non son stati
proprio al centro dei pensieri di questo governo. E pazienza se per
finanziare questo sgravio aumenterà l'Iva: un minor prelievo in busta
paga si sente molto più di un alleggerimento dell'imposta sui consumi.
Resta, sul fronte fiscale, il rammarico per l'introduzione effettiva
dell'Imu sugli immobili ad uso commerciale della Chiesa solo a partire
dal 2013, quando i comuni cittadini il prelievo sul mattone hanno già
iniziato a pagarlo da giugno di quest'anno.
Sul fronte dei
tagli, le lacrime di coccodrillo dei governatori regionali non ci
possono impietosire. Dopo quello che è successo e succede nel Lazio e in
Lombardia, in Campania o in Calabria, il nuovo giro di vite sugli enti
locali ci sta tutto. Si arrangino loro, con meno ostriche e meno
consulenze. Quello che si fa fatica ad accettare, invece, è un ulteriore
colpo sulla spesa sanitaria e sul pubblico impiego. Non c'era proprio
alternativa al taglio di un altro miliardo e mezzo ai bilanci delle Asl,
con tetti di spesa già all'osso sul costo degli apparecchi e degli
appalti e strette odiose sui permessi per l'assistenza dei disabili? Non
c'era altra via per risparmiare risorse, se non congelando fino al 2017
i contratti degli statali, già bloccati nel triennio passato dal
governo Berlusconi? E non c'era altro modo di contenere i costi, se non
fissando un nuovo vincolo del 3% l'anno al già risibile budget della
spesa universitaria?
Con questi interventi, selettivi al
contrario, la spending review assume i contorni dell'accanimento
terapeutico. E ancora una volta, i tecnici dimostrano di avere molta
attitudine per la contabilità nazionale, ma poca propensione all'equità
sociale. Detto questo, la Legge di Stabilità si porta dietro due
implicazioni, sulle quali si impone una riflessione.
La prima implicazione è economica. Proprio nel giorno in cui l'Istat fotografa una caduta del 4,1% del potere d'acquisto dei salari 2
e il Fondo monetario certifica il crollo del 2,3% del Pil di
quest'anno, la manovra aggiuntiva del governo conferma che l'Italia,
come del resto la Spagna e in prospettiva la stessa Francia, ha ormai
imboccato un sentiero che conduce ad Atene, e non a Berlino. La spirale
più recessione-più rigore sta dispiegando i suoi effetti micidiali. I
tagli di spesa e i recuperi di evasione possono finanziare ben poco,
oltre al maggior fabbisogno determinato dalla caduta del denominatore
nel rapporto deficit/Pil e debito/Pil. E l'aggiustamento, per un Paese
che non può più neanche immaginare ulteriori inasprimenti d'imposta in
stile Hollande ma dovrebbe semmai cominciare a ridurre la pressione
fiscale, non può non avvenire ormai a carico del Welfare. Cioè
attraverso la riduzione ancora più spinta del perimetro di una spesa
sociale già di per sé iniqua e squilibrata.
È la via
"mercantilistica" alle correzioni di bilancio, che genera bilanci
pubblici a impatto sempre più regressivo e recessivo. Vale per oggi, ma
vale anche per domani. Stretta in questa morsa, e a dispetto di qualche
revisione fin troppo generosa del remore, l'Italia non vedrà alcuna
ripresa nel 2013. Se ne riparla nel 2014, se va bene. E se non ci fosse
da piangere, farebbe sorridere la comicità involontaria di chi, nella
Legge di Stabilità appena varata, ha inserito anche una norma per il
risparmio energetico denominata "Operazione cieli bui". Mai formula fu
più azzeccata, non solo per declinare qui ed ora un tocco di "austerity"
da Anni Settanta, ma anche per tracciare l'orizzonte generale del Paese
nei prossimi due anni.
La seconda implicazione è politica. Al
di là delle apparenze e delle esigenze imposte dalla fase, tra il
governo Monti e i partiti che lo sostengono c'è un corto circuito sempre
più evidente. A Pd, Pdl e Udc che vagheggiano suggestive riscritture
bipartisan della riforma previdenziale della Fornero, il premier
contrappone l'irriducibile coerenza dei saldi contabili e l'inevitabile
cogenza degli impegni europei. È in atto uno strano paradosso: mentre i
leader di una politica in affanno nel centrosinistra e in disarmo nel
centrodestra lanciano Monti per la legislatura che sta per cominciare,
lo contestano nella legislatura che deve ancora finire. Ma forse c'è una
via d'uscita anche a questo paradosso. Il Professore, grazie al suo
prestigio e alla sua autorevolezza, ha evitato al Paese la bancarotta, e
lo ha riportato agli onori del mondo. Ma nella sua azione di governo ci
sono luci ed ombre, cose ben fatte e occasioni mancate. Come dimostra
l'ultima stangata decisa in perfetta autonomia dall'Eliseo, per gli
Stati di Eurolandia le "condizionalità" del risanamento concordato con
la Ue, presenti e future, riguardano la fedeltà complessiva al patto
comunitario, non l'adesione acritica a un unico modello di sviluppo.
Investono l'equilibrio complessivo di bilancio, non le azioni specifiche
necessarie per raggiungerlo. in questa chiave, quella che si sta
innescando intorno alla cosiddetta "Agenda Monti" rischia di essere una
polemica inutile e dannosa.
Le politiche economiche sono frutto
di una scelta, non di un destino. L'Italia ha un solo vincolo
invalicabile (ormai anche di rango costituzionale) che chiunque vinca le
elezioni dovrà ricordare e rispettare: non si può finanziare più una
sola spesa in deficit. Tutto il resto è politica, dunque arte del
possibile. Anche dopo il 2013, vero valore aggiunto è Monti, non la sua
Agenda.
Massimo Giannini (La Repubblica - 10 ottobre 2012)
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