“E’ tutta colpa di Grillo”. E’ sempre colpa di
Grillo. Se cade il governo, se piove, se c’è il sole. La tesi
autossolutoria del Pd – il cui elettorato tende incredibilmente a
ingoiare di tutto, passando dalla fregola per l’iper-democrazia al
giubilo per l’abbraccio mortale con Berlusconi – è ora quella di
ripetere che “il governissimo c’è perché Grillo ci ha portato a farlo”.
Sarebbe vero se non ci fosse stata l’apertura Rodotà. Ma quell’apertura
c’è stata. Nel gioco delle percentuali, il Pd ha il 70% delle colpe e
l’ortodossia di Grillo il 30%. Il M5S ha sbagliato a non fare un nome al
secondo giro di consultazioni (non sarebbe cambiato nulla, ma avrebbe
tolto alibi al Partito Disastro), ma da Rodotà in poi è stato
impeccabile: appoggiate questo nome (più vostro che nostro) e faremo un
percorso insieme. A dire no è stato il Pd. Perché? Perché ha sempre
voluto – nella maggioranza dei suoi parlamentari – l’inciucio. Infatti è
stato scelto Enrico Letta, lo zio di suo zio. Quello che “è meglio votare Berlusconi che Grillo”.
“Su Rodotà non c’era maggioranza”. Bugia
a metà. C’era la maggioranza degli elettori del Pd, ma non della
maggioranza dei parlamentari piddini. Ciò significa, inequivocabilmente,
che tra elettorato e rappresentanti c’è una scollatura drammatica. I
Boccia non rappresentano nessuno, se non se stessi. Però decidono.
“Rodotà non è stato eletto Presidente perché scelto solo da 4mila persone”. Macché.
Le Quirinarie sono state fantozziane, ma se i modi risultano
discutibili non lo sono (stati) i contenuti. Per quanto raffazzonate,
hanno portato alla scelta di un nome condiviso da milioni di italiani:
la piazza reale, non virtuale (quella piazza che tanto terrorizza i
giovani vecchi del Pd, tipo Speranza, uno che non merita quel cognome.
Un po’ come se Ghedini si chiamasse Figo). Rodotà è stato il treno del
cambiamento perso. Perso dal Pd e solo dal Pd: non da altri. Di questa
colpa risponderà alla storia e, per il momento, agli elettori (infatti è
un partito morto, che può vincere solo se si affida a ribelli come
Serracchiani). Rodotà non è stato votato perché: 1) è stato proposto da
Grillo (motivazione-asilo Mariuccia); 2) è troppo di sinistra; 3) è
troppo laico (cioè “mangiapreti”); 4) è troppo intelligente, quindi
libero e non irreggimentabile; 5) è troppo antiberlusconiano (e questo,
per il Pd, è davvero inaccettabile).
“Sì, ma 4mila persone sono proprio poche”. Certo che lo sono. Ma sono comunque molto più delle persone (una) che avevano scelto Marini e poi (seicento) Napolitano.
“Non faremo mai il governissimo”. Per
due mesi, o poco meno, Bersani e la sua ghenga tragicomica hanno
ripetuto che il governissimo non l’avrebbero mai fatto. Qualche esempio
(antologizzato stamani da Civati nel suo blog). «Pensare
che dopo 20 anni di guerra civile in Italia, nasca un governo
Bersani-Berlusconi non ha senso. Il governissimo come è stato fatto in
Germania qui non è attuabile» (Enrico Letta, 8 aprile 2013). «Il Pd è
unito su una proposta chiara. Noi diciamo no a ipotesi di governissimi
con la destra» (Anna Finocchiaro, 5 marzo 2013). «I nostri elettori non
capirebbero un accordo con Berlusconi» (Ivan Scalfarotto, 28 febbraio).
«Un governo Pd-Pdl è inimmaginabile» (Matteo Orfini, 27 marzo 2013).
Eccetera. Adesso avviene il contrario (e chi osa ricordarlo è un
disfattista). Perché? Perché il Pd è bravissimo a sbagliare. E perché
senza Berlusconi il Pd non esiste: ne è la più grande polizza
assicurativa. Così facendo, il Pd imploderà (e questo tutto sommato è un
bene) e regalerà a Berlusconi una nuova vittoria (e questo decisamente è
un disastro).
“Letta ha vinto lo streaming”. Questa
non è una bugia. E’ la verità. Che non stupisce. Letta fa politica da
quando ha sei mesi. E’ nato vecchio, un Benjamin Button che mai
diventerà Brad Pitt. Nella supercazzola democristiana (parlare e parlare
senza dire nulla) nessuno lo batte. Con Crimi e Lombardi, che
continuano a sbagliare tutto, ha usato la Tecnica-Asciugo: li ha
intortati con una grandinata di nulla politichese. E li ha storditi.
Quando si è trovato in difficoltà (Rodotà), ha detto al Duo Harakiri che
“dovevate votare Prodi”. Sarebbe bastato rispondere: “Prodi non l’avete
votato neanche voi, forse neanche lei. Con quale faccia incolpate
noi?”. Ma non l’hanno detto. Come nulla o quasi hanno detto su conflitto
di interessi, leggi ad personam, franchi tiratori, incoerenza sul
no-inciucio. E via così. Letta ha vinto per mancanza di avversari.
Esaurita tale erezione triste per la vittoriuccia di Pirro di Benjamin
Letta, vorrei però che i giubilanti di adesso tenessero bene a mente che
il loro hero sta lavorando per un governo con i D’Alema, gli Amato e i Brunetta. Un’apocalisse farebbe meno male.
“Non ci sono alternative”. No.
C’erano: bastava votare Rodotà. Ma non è stato fatto. Ora il
governissimo – il vero obiettivo di Pd e Pdl, sin dall’inizio – viene
spacciato come “governo di salvezza nazionale”. Ma de che? Cosa può fare
un governo che contempli contemporaneamente Civati e Mussolini? Al
massimo una legge elettorale anti-M5S, atta anzitutto a disinnescarli.
Berlusconi sta al senso dello Stato come Robinho alle quadriplette.
Opera per salvare se stesso e in questo è un fenomeno. Il governo Letta
sarà un tirare a campare. Un ulteriore arroccarsi dei politicanti nel
Parlamento-bunker. Mi si dirà: “L’alternativa è andare al voto, ovvero
un’oscenità”. No: persino andare subito al voto sarebbe più onesto.
Anche con la stessa legge elettorale. Un pareggio non ci sarebbe, non
stavolta. Vincerebbe Berlusconi, si ridimensionerebbe Grillo,
crollerebbe il Pd. Brutta prospettiva? Sì. Ma è l’Italia, baby. E
quantomeno avremmo un governo Berlusconi evidente e dichiarato, senza
questa ipocrisia nauseabonda delle “larghe intese”.
“Il Movimento ha abbassato i toni”. Ma
figuriamoci. Dopo lo schiaffo in faccia ricevuto su Rodotà, il M5S farà
solo e soltanto opposizione. I toni sono stati abbassati unicamente da
Pisolo Crimi e Simpatia Lombardi, che ieri dormivano (e un po’ li
capisco) mentre parlava Benjamin Letta. Dopo il caso Rodotà, la rottura
tra M5S e Pd è definitiva. Insanabile. Eterna.
“Il Movimento 5 Stelle è in calo”. Bugia
a metà. In Friuli la tramvata è stata evidente, pur con tutte le
attenuanti, ma agli occhi di molti elettori 5 Stelle la trama degli
ultimi giorni ha confermato che Pd e Pdl pari sono o giù di lì. I
sondaggi (Swg) li danno al 27 percento. Se questo è un calo, il Pd è già
allo stadio di decomposizione. E’ però vero che il M5S è percepito da
molti come una forza che sa dire solo di no. E questo, per loro, è un
male. Aggiungo poi che esiste nel Movimento un problema di
rappresentanza. L’anomalia non è che Mastrangeli sia stato (giustamente)
espulso, ma che sia stato (clamorosamente) prima scelto e poi eletto. E
a proposito di espulsioni, che – secondo quasi tutta la stampa – sono
giuste se le decide il Pd e sinonimo di fascismo se le appluica il M5S:
caro Civati, prendi atto che nel Pd sei un corpo estraneo e vola
altrove. Magari nel “cantiere della sinistra” a cui sta lavorando
Vendola, ampolloso e barocco come sempre ma tra i pochi ad essere
risultato coerente e coraggioso negli ultimi giorni. Questa “critica
dall’interno” è sterile , pleonastica e alla lunga pure noiosa.
“La stampa deve cooperare”. E’
l’ultima trovata di Re Giorgio e dei suoi prodi discepoli (quasi
tutti), Scalfari e derivati in testa. L’intoccabilità di Napolitano ha
ormai del leggendario. Ho rispetto della persona, e della sua età, come
lo ho per la memoria storica. Il migliorista Napolitano è sempre stato
un “comunista di destra”. Gaber, quelli come lui, li chiamava “grigi
compagni del Pci”. Napolitano è quello che appoggiò i cingolati
sovietici contro la rivolta ungherese (salvo poi dire decenni dopo che
“Mi sono sbagliato, aveva ragione Nenni”), quello che attaccò Berlinguer
(Enrico) sulla questione morale, quello che a fine 2011 ci ha imposto
Monti allungando la vita politica di Berlusconi (e rafforzando
involontariamente Grillo); è quello del “non ho sentito il boom”, delle
telefonate a Mancino, delle firme alle leggi vergogna. Capisco la stima,
ma Pertini era un’altra cosa. Come lo è il giornalismo. Che non deve
“cooperare”, ma raccontare e talvolta denunciare. L’invito a cooperare
di Napolitano, dopo l’orrore dello scorso weekend (tra i più neri nella
storia della Repubblica italiana), mi ricorda l’adagio del “ci pisciano
in testa e poi dicono che piove”. Si ha la sensazione che qualcuno ci
abbia conficcato ben bene l’ombrello di Altan. E che quel qualcuno,
adesso, ci dica “Ehi, non lamentarti, altrimenti sei un irresponsabile”.
Un po’ troppo, come masochismo.
Andrea Scanzi (Il Fatto Quotidiano - 26 aprile 2013)
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La famosa linea del Pd (dal blog di Giuseppe Civati)
Leggete qui. Poi il dissidente sarei io.
«Pensare che dopo 20 anni di guerra civile in Italia, nasca un governo Bersani-Berlusconi non ha senso. Il governissimo come è stato fatto in Germania qui non è attuabile» (Enrico Letta, 8 aprile 2013).-----
«I contrasti aspri tra le forze politiche rendono non idoneo un governissimo con forze politiche tradizionali» (Enrico Letta, 29 marzo 2013).
«Non sono praticabili né credibili in nessuna forma accordi di governo fra noi e la destra berlusconiana» (Pier Luigi Bersani, 6 marzo 2013)
«Il governissimo non è la risposta ai problemi» (Pier Luigi Bersani, 13 aprile 2013).
«Il governissimo predisporrebbe il calendario di giorni peggiori» (Pierluigi Bersani, 8 aprile 2013).
«Se si pensa di ovviare con maggioranze dove io dovrei stare con Berlusconi, si sbagliano. Nel caso io, e penso anche il Pd, ci riposiamo» ( Pierluigi Bersani, 2 ottobre 2012).
«In Italia non è possibile che, neppure in una situazione d’emergenza, le maggiori forze politiche del centrosinistra e del centrodestra formino un governo insieme» (Massimo D’Alema, 8 marzo 2013).
«Il Pd è unito su una proposta chiara. Noi diciamo no a ipotesi di governissimi con la destra» (Anna Finocchiaro, 5 marzo 2013).
«Fare cose non comprensibili dagli elettori non sono utili né per l’Italia né per gli italiani. Non mi pare questa la strada». (Beppe Fioroni, 25 marzo 2013).
«Non si può riproporre qui una grande coalizione come in Germania. Non ci sono le condizioni per avere in uno stesso governo Bersani, Letta, Berlusconi e Alfano» (Dario Franceschini, 23 aprile 2013).
«Sono contrario a un governo Pd-Pdl» (Andrea Orlando, 22 aprile 2013).
«Abbiamo sempre escluso le larghe intese e le ipotesi di governissimo» (Rosy Bindi, 21 aprile 2013).
«Serve un governo del cambiamento che possa dare risposta ai grandi problemi dell’Italia. Nessun governissimo Pd-Pdl» (Roberto Speranza, 8 aprile 2013).
«Non dobbiamo avere paura di confrontarci con gli altri, ma non significa fare un governo con ministri del Pd e del Pdl. La prospettiva non è una formula politicista come il governissimo, è quel governo di cambiamento di cui l’Italia ha bisogno» (Roberto Speranza, 7 aprile 2013).
«L’alternativa non può essere o voto anticipato o alleanza stretta tra Pd e Pdl» (Roberto Speranza, 7 aprile 2013).
«Lo dico con anticipo, io un’alleanza con Berlusconi non la voto» (Emanuele Fiano, 28 febbraio 2013).
«I nostri elettori non capirebbero un accordo con Berlusconi» (Ivan Scalfarotto, 28 febbraio).
«Non c’è nessun inciucio: se questa elezione fosse il preludio per un governissimo io non ci sto e non ci starebbe neanche il Pd» (Cesare Damiano, 18 aprile 2013).
«Serve un governo di cambiamento vero ed è impensabile farlo con chi in questi anni ha sempre dimostrato di avere idee opposte alle nostre» (Fausto Raciti, 14 aprile 2013).
«Un governo Pd-Pdl è inimmaginabile» (Matteo Orfini, 27 marzo 2013).
Commento riguardo al PD di oggi ...... Avrebbe detto Bersani ………. non è che se su una merda di vacca ci metti dei fiorellini d’ostia e qualche candelina …….. quella diventa una torta ……..
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