La
sentenza di condanna di Silvio Berlusconi era già scritta. Non per un
pregiudizio della magistratura milanese ma perchè il reato di
concussione era 'in re ipsa': nelle sette telefonate che l'allora
premier fece da Parigi ai funzionari della Questura di Milano perchè una
ragazza sotto interrogatorio fosse liberata e affidata a persona di sua
fiducia, Nicole Minetti, come poi avvenne. Qui non ci sono
intercettazioni di dubbia interpretazione, ci sono i fatti. Quello di
concussione è un reato contro la Pubblica Amministrazione che puo'
essere commesso solo da «un pubblico ufficiale che, abusando della sua
qualità o funzione, costringe o induce taluno a dare o promettere
indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità». La
concussione si distingue dall'estorsione, reato che puo' essere commesso
da chiunque, «mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o
a omettere qualche cosa, procura a sè o ad altri un ingiusto profitto
con altrui danno». E' ovvio che il pubblico uffiaciale, tanto più se
presidente del Consiglio, tanto più se si rivolge ad altri pubblici
ufficiali di grado inferiore, non ha alcun bisogno, per ottenere cio'
che indebitamente vuole, di ricorrere alla minaccia (tantomeno alla
violenza) che è implicita nella sua stessa richiesta. Tanto è vero che i
funzionari della Questura di Milano si adeguarono contravvenendo alle
disposizioni dell'unico soggetto che aveva titolo a decidere del destino
di Ruby, vale a dire il Pm del Tribunale dei minori, Annamaria
Fiorillo, che aveva ordinato che la ragazza fosse affidata ad una
comunità o, in attesa, trattenuta in Questura. Al processo la Fiorillo
dichiarerà: «Nessun magistrato degno di questo nome avrebbe affidato
Ruby alla Minetti, nessun magistrato degno di questo nome avrebbe
accettato di considerare una marocchina 'nipote di Mubarak'». Eh si',
perchè Berlusconi, che si rendeva conto che stava compiendo un grave
reato, per salvarsi in corner si era inventato che il suo intervento
aveva ragioni diplomatiche, poichè a lui risultava che Ruby fosse
imparentata col rais egiziano. Ma la questura aveva accertato già nel
tardo pomeriggio (le telefonate di Berlusconi sono intorno alla
mezzanotte) che Ruby era di nazionalità marocchina. Non si sa se i
funzionari della Questura fecero presente a Berlusconi questa decisiva
circostanza, fatto sta che accettarono come buona la sesquipedale
menzogna del Cavaliere (che chiamo' poi ad esprimersi sulla questione il
Parlamento che, in una delle pagine più vergognose e umilianti delle
Istituzioni italiane, sentenzio' che una marocchina era in realtà
un'egiziana), dimostrando, una volta di più, se ce ne fosse stato
bisogno, che subirono, senza fiatare, le indebite pressioni del premier.
Diverso
è il discorso sul reato, minore (un anno di condanna rispetto ai sei
per la concussione) di prostituzione minorile, che, rispetto al primo, è
molto più difficile da dimostrare. Come si puo' accertare se due
persone sono andate a letto insieme? Lo stesso sessuofobico Corano vuole
che ci siano almeno quattro testimoni oculari del fatto. Ma tutti i
media hanno intinto il biscotto su questo aspetto della questione.
Quelli di sinistra perchè sono cretini, morbosi e moralisti nel senso
deteriore del termine, quelli di destra perchè capivano benissimo che
aggrappandosi alle debolezze dell'inchiesta sul reato minore potevano
gettare delle ombre sulle indiscutibili certezze di quello maggiore, la
concussione.
Infine
i supporter di Berlusconi sostengono da sempre che il Cavaliere è
vittima di un 'accanimento giudiziario' basato su 'teoremi'. E non si
accorgono, o fanno finta di non accorgersi, che sono seduti su un
teorema: l'innocenza a priori di Berlusconi. Un teorema inscalfibile
perchè qualsiasi provvedimento giudiziario sfavorevole al Cavaliere
invece di esserne la sconfessione ne è la dimostrazione. Contro questa
logica, priva di ogni logica, è impossibile controbattere.
Massimo Fini (Il Gazzettino, 29 giugno 2013)
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