domenica 14 luglio 2013

La grande confusione del partito democratico

Si sapeva da tempo, anzi da sempre, che una condanna definitiva di Silvio Berlusconi, quando fosse arrivata, avrebbe provocato un terremoto. Si sapeva e non stupiva nessuno: Forza Italia prima e il Pdl poi sono partiti acefali, anzi non sono partiti, sono elettori che hanno in comune alcune emotività come l'anticomunismo, l'odio per le tasse e l'ostilità verso lo Stato e sono anche "lobbies" portatrici d'interessi concreti da soddisfare rapidamente.

Questa massa notevole che a volte viene definita liberale, a volte moderata, a volte populista e antipolitica e spesso tutte queste cose insieme, viene gestita dai luogotenenti d'un capo-padrone con formidabili capacità di venditore, cioè di demagogo moderno, che è anche il proprietario di quella struttura poiché possiede gli strumenti di comunicazione necessari per tenerla insieme ed estenderla.

Perciò un'eventuale condanna che lo mettesse fuori dal gioco politico significherebbe il crollo dell'intera architettura. Questa essendo la situazione  -  finora editata a colpi di leggi "ad personam" concentrate soprattutto sui termini della prescrizione  -  è evidente che l'improvviso incombere d'una sentenza definitiva che potrebbe confermare la condanna inflitta in appello, crea il panico nel Pdl e una gran confusione nel Pd.
Il panico nel Pdl, come abbiamo già ricordato, è comprensibile; la confusione nel Pd molto meno.

Essa è determinata dall'esistenza d'un governo di coalizione dettato dallo stato di necessità dovuto alla crisi economica che dura ormai da sei anni e dai risultati elettorali dello scorso febbraio che hanno trasformato il precedente bipolarismo in un tripolarismo non gestibile dal punto di vista parlamentare. Di qui il governo di necessità voluto dal presidente della Repubblica per mancanza di alternative e per la stessa ragione accettato dalle forze politiche della "strana maggioranza".

Ho ricapitolato fin qui cose a tutti note ma spesso dimenticate o passate in sottordine rispetto a pulsioni emotive che sono spiegabili nei cittadini ma assai meno nei gruppi dirigenti dei partiti o meglio dell'unico partito esistente che è quello democratico. I 5Stelle sono un movimento che ha anch'esso un proprietario-venditore; Scelta civica è da tempo una scheggia irrilevante; del Pdl abbiamo già detto.

Il Pd è dunque il solo partito attualmente esistente, alla cui sinistra c'è soltanto il massimalismo che ha sempre combattuto il riformismo nella storia d'Italia, favorendo oggettivamente le destre conservatrici.
Ebbene, il Pd si trova da tempo in una sorta di stato confusionale. Personalmente ho evitato finora di approfondire un tema sgradevole per chi, come me, vota per quel partito fin da quando nacque nella forma dell'Ulivo e poi nella forma attuale. Ma ora quell'approfondimento s'impone perché, se la confusione continuasse potrebbe seriamente compromettere l'interesse generale e la stessa democrazia già abbastanza fragile nel nostro Paese.


La causa primaria della confusione è del tutto evidente: nasce dal fatto che un'alleanza, sia pure di necessità, con l'avversario di sempre, guidato per di più da un demagogo indiziato di reati per fatti commessi prima e durante la sua ascesa politica, non è accettata da una parte notevole degli elettori democratici e da una parte assai "vociante" del gruppo dirigente del partito, ormai diviso anzi frantumato in correnti che sono diventate fazioni.

La differenza tra correnti e fazioni può sembrar sottile ma non lo è affatto. Le correnti sono modi d'interpretare la visione del bene comune propria di tutti i partiti, accantonandone alcuni aspetti e accentuandone altri. Le fazioni si dividono invece sul tema della conquista del potere; le modalità d'interpretazione del bene comune rappresentano per loro un dettaglio facilmente modificabile quando la modifica può essere utile all'obiettivo che si propongono.

Il grosso guaio del Pd attuale consiste dunque, secondo me, nel fatto che le correnti si sono trasformate in fazioni salvo naturalmente poche "anime belle" che ci sono dovunque e non hanno mai contato nulla.
Le fazioni utilizzano il mal di pancia causato dall'esistenza del governo di necessità, accettato da tutti (o quasi tutti) ma facile da usare come strumento di discordia in un partito il cui gruppo dirigente è ormai diviso su tutto.

Questa è la penosa e preoccupante situazione, confermata quasi ogni giorno da episodi che appaiono logicamente incomprensibili ma sono invece comprensibilissimi dal punto di vista dei contrapposti interessi che antepongono il "particulare" al generale interesse del Paese.


Ne segnalo due che sono i più recenti anelli d'una ormai lunga catena. Il primo è il clamore suscitato dalla sospensione dei lavori della Camera dalle ore 17 di mercoledì scorso per render possibile un'assemblea indetta dai parlamentari del Pdl, senatori compresi, per discutere i problemi derivanti da un'eventuale sentenza negativa della Cassazione. I falchi e le amazzoni di quel partito avevano chiesto la chiusura del Parlamento per tre giorni in segno di protesta contro la Cassazione per l'anticipo della sentenza Mediaset. Proposta ovviamente irricevibile. La sospensione di poche ore per render possibile la predetta riunione è decisione di tutt'altra natura che infatti è stata duramente contestata da amazzoni e falchi ma ancora di più dalle fazioni del Pd, da Renzi a Civati.

Non è mancata, specie a Renzi, l'occasione di ripetere il suo appoggio al governo Letta "purché faccia e non bivacchi". Forse sarebbe venuto il momento che Renzi dicesse chiaramente che cosa significa per lui il "fare" di Letta. Deve minacciare la Merkel? Deve prospettare l'uscita dell'Italia dall'euro se l'Europa non ci consente di sfondare il pareggio del bilancio? O che cos'altro? Lo dica e ne prenderemo debita nota. Per quanto lo riguarda personalmente, Epifani ha già detto che le primarie per l'elezione del segretario saranno aperte e il congresso si farà entro l'anno. Allora decida. Il secondo episodio riguarda il disegno di legge sull'incompatibilità, presentato da un gruppo di deputati democratici tra i quali il capogruppo Luigi Zanda. Il testo dà un anno di tempo al concessionario di aziende che sia anche parlamentare; un anno per vendere la sua partecipazione a quelle aziende o lasciare la politica.

La proposta è stata bollata dal Pdl come l'ennesimo attacco contro Berlusconi, ma è stata bollata ancora di più dalle fazioni del Pd come un favore al proprio avversario. Anche Vendola non è mancato a questo appuntamento.

C'è da strofinarsi gli occhi quando si vedono cose del genere. La spiegazione sarebbe che con questa proposta si elimina l'ineleggibilità con l'incompatibilità. È vero ed è un passo avanti, non indietro. Ai fini specifici di Berlusconi è del tutto equivalente. E allora?

Per fortuna l'attuale segretario del Pd (che alcuni si ostinano a chiamare "reggente") non soffre di questo costante mantra perché non appartiene né a correnti né a fazioni. Sa soltanto che il Pd deve sostenere il governo Letta se e fin quando esso non metta in discussione i valori democratici. Se questo accadesse, sarebbe lui a provocare la crisi e, personalmente, sono sicuro che lo farebbe.

Non spenderò parole sul caso riguardante il presidente della Repubblica e sollevato dal giornale "Libero" (e dal "Fatto") sull'ipotesi di una "grazia" che Napolitano avrebbe pensato di concedere ad un Berlusconi condannato. Ipotesi non solo cervellotica ma avanzata per screditare e vilipendere il capo dello Stato. Questa è gente che gioca a palla con le istituzioni, anarcoidi di infima qualità.


Berlusconi si dice sereno e sicuro d'esser riconosciuto innocente dalla Cassazione e conferma il suo pieno appoggio al governo Letta ribadendo che comunque le sue vicende giudiziarie sono cosa diversa da quelle politiche. Riconosce che se fosse condannato la sua gente sarebbe presa da un'agitazione più che comprensibile, ma lui farebbe di tutto per calmarla.

Mi sembra difficile che le cose vadano in questo modo, ma credo che sarebbe saggio prender Berlusconi sul serio e attendere lo sviluppo dei fatti. Del resto l'ipotesi che la Cassazione non condivida in tutto o in parte le conclusioni della corte d'Appello non può in teoria essere esclusa, rientra nelle possibilità del libero convincimento del giudice che è uno dei cardini della giurisdizione. L'opinione pubblica può criticare una sentenza ritenuta tecnicamente sbagliata ma deve accettare il libero convincimento e prenderne atto, tanto più la sinistra democratica che ha fatto dell'indipendenza della magistratura uno dei cardini della sua visione politica.

Continuiamo dunque a difendere questo principio augurandoci che il libero convincimento della sezione feriale della Corte coincida con il nostro, che non ha dubbi sulla colpevolezza dell'imputato.

Eugenio Scalfari (La Repubblica, 14 luglio 2013)


Nessun commento:

Posta un commento

Tutto quanto pubblicato in questo blog è coperto da copyright. E' quindi proibito riprodurre, copiare, utilizzare le fotografie e i testi senza il consenso dell'autore.