domenica 14 luglio 2013

Perché il sistema vuol salvare Silvio e perché non farlo

Ci sono tre ragioni, a mio parere, per cui il sistema, cioè quell'insieme di equilibri di potere che si erge in questo momento a garante della stabilità italiana, pensa che sia necessario "salvare" dalla condanna Silvio Berlusconi.
1) Silvio Berlusconi non è Bettino Craxi. Il leader socialista era un prodotto tutto interno alla politica. Craxi aveva molte doti necessarie a capire come muovere il sistema, ma poca "piazza". E soprattutto poco "retroterra". Il suo era un partito che faceva da vaso di coccio tra i vasi di ferro di due organizzazioni inchiavardate nella tensione della Guerra Fredda, la Dc e il Pci. La vicenda Craxi si svolge proprio sulla faglia di scongelamento di questo conflitto, e ne viene per molti versi assorbito come parte di un rimescolamento delle carte nell'intero mondo di allora.
Silvio Berlusconi invece è un leader che ha governato per buona parte di venti anni, non certo come prodotto della "politica", anzi rovesciando al suo interno la capacità di interpretare idee e bisogni popolari, oltre ai suoi interessi personali. Il suo partito, oggi in crisi, ha ancora un consenso che ammonta a un quarto dell'elettorato, ed è un consenso capace di scendere in piazza. Appoggiato inoltre, come ben sappiamo, da una sistema robusto di Tv e altri media. Cosa che Craxi non ha mai nemmeno sognato. Insomma, "estrarre" Silvio dalla Politica oggi è operazione potenzialmente molto più devastante di quella mirata su Bettino.
2) Silvio Berlusconi non è solo un politico potente, ma, come abbiamo appena ricordato, è anche un potente imprenditore: uno degli uomini più ricchi del paese. E non vanno sottovalutate le inquietudini e le paure che una eventuale condanna muoverebbe fra i suoi pari. La "invadenza" della magistratura nel mondo degli affari è una battaglia che Silvio combatte ad alta, ma che molti altri suoi pari, spesso silenziosi per senso della opportunità (propria), condividono. Nel mondo delle Ilva, delle ThyssenKrupp, delle delocalizzazioni selvagge, delle Pomigliano D'Arco, i giudici non sono amici. E quando si parla di "lacci e lacciuoli" di cui liberarsi per dare soluzione alla crisi spesso, come sappiamo, si parla di burocrazia, ma si intendono i tribunali. Una condanna del leader Pdl invierebbe a questo mondo un messaggio certo non ben accetto.
3) Silvio Berlusconi, e anche qui va fatto un paragone, ha una collocazione internazionale molto più solida di quella che aveva Craxi. Nel suo doppio ruolo di grande imprenditore e premier da venti anni è presente sulla scena mondiale. E nonostante le molte critiche ricevute non è esattamente privo di amici. A differenza di Craxi che aveva sfidato gli Stati Uniti in un periodo in cui Washington, delusi dai tradizionali alleati (in Italia la Dc) cercavano nuovi equilibri post-guerra fredda, Silvio ha con Bush un ottimo rapporto. E non ha in Obama - un presidente oggi debole ed esitante di fronte a ogni tipo di ingerenza all'estero - un nemico. In compenso ha come amico un uomo molto importante in Europa, quel Putin che domina vigorosamente la scena mondiale, e la cui amicizia non a caso è ampiamente sfoggiata dal politico Pdl.
Tutte queste ragioni portano a una conclusione che preoccupa il sistema: una eventuale condanna avrebbe un impatto sul tessuto politico italiano e internazionale molto serio. Sicuramente più grave di quello avuto dall'abbandono di Bettino Craxi. Invelenirebbe il panorama italiano, acuendone lo scontro interno. Imbarazzerebbe in via ufficiale (anche se a molti di loro in privato farebbero spallucce) i leaders occidentali, essi stessi messi sotto pressione da contestazioni, ed errori, in una crisi difficile da governare. La prima vittima - continua il ragionamento - sarebbe di nuovo la reputazione italiana, mostrando un paese più diviso che mai, dalla incerta governabilità.
La condanna di Berlusconi sarebbe nei fatti la condanna anche del governo Letta e forse di molti altri governi a venire, per lo strascico di divisioni e fallimento che si porterebbe dietro. Di qui l'aria di trincea, il dispiegamento a difesa intorno al governo Letta, e, anche, le fumisterie legal/istituzionali che oscurano il cuore del dilemma. Che è e rimane uno solo: si può e si deve cercare di "salvare" con un qualche escamotage legal/istituzionale Silvio Berlusconi dal giudizio di una Corte?
Le tre ragioni di cui ho fin qui parlato non sono infondate. Sono argomentazioni serie sulle conseguenze del terremoto che seguirà una eventuale condanna del leader Pdl. Ma, a mio parere, alle tre ne va aggiunta un'altra che da sola è forte come le altre insieme. Ed è la ragione per cui sono contraria che si "salvi il soldato Silvio".
"Salvare" un leader politico che manipola la Giustizia costituirebbe ugualmente per noi un danno alla nostra reputazione internazionale, confermandoci come l'anello debole della governabilità europea. Infine, inasprirebbe comunque la opinione pubblica. Alienando quella parte che vuole una politica con un chiaro rapporto con le istituzioni. Quello che vediamo in queste ore - la serenità di Silvio Berlusconi e le scosse che attraversano il Pd - è l'anticipazione di un diverso (ma ugualmente efficace) processo di disfacimento della stabilità governativa.

Lucia Annunziata (Huffington Post, 14 luglio 2013


Nessun commento:

Posta un commento

Tutto quanto pubblicato in questo blog è coperto da copyright. E' quindi proibito riprodurre, copiare, utilizzare le fotografie e i testi senza il consenso dell'autore.