Torino-Milan,
sabato. Il Toro a una manciata di secondi dalla fine sta vincendo 2-1.
Uno dei giocatori granata, Larrondo, è a terra da qualche minuto,
infortunato. I tecnici del Torino hanno già chiesto l'interruzione del
gioco per soccorrere il giocatore (che poi uscirà in barella) e
sostituirlo, ma l'arbitro ha fatto continuare perchè col Milan tutto
all'attacco l'azione è viva. Non lo è più quando la palla finisce in
fallo laterale. A questo punto una delle regole morali del calcio
vorrebbe che i giocatori rossoneri si fermassero per permettere soccorso
e sostituzione. Invece rimettono rapidamente la palla in gioco e
dall'azione nascerà il rigore che porterà il Milan al pareggio.
Atalanta-Milan,
Coppa Italia 89-90. Il centravanti del Milan, Borgonovo, è a terra,
infortunato, nell'area di rigore bergamasca. Stromberg, che è in
possesso della palla, la mette fuori per permettere i soccorsi al
giocatore milanista. La mette fuori all'altezza dell'area di rigore
dell'Atalanta, non la calcia lontano. Stromberg è svedese, è un
giocatore estremamente corretto ed è certo che, come vuole un'altra
regola morale del calcio, i milanisti restituiranno il pallone agli
avversari. Ma non andrà cosi'. Rijkaard invece che a un giocatore
atalantino, la passa a Massaro che la butta al centro dell'area, se ne
impadronisce Borgonovo, rialzatosi, che viene atterrato. Rigore. Sul
dischetto va Baresi, capitano e bandiera del Milan. C'è tutto il tempo e
il modo per rimediare alla grave scorrettezza dei rossoneri sbagliando
apposta il rigore. Ma dalla panchina arriva l'ordine di Sacchi. Barresi
segna fra gli ululati del pubblico atalantino. Grazie a quel gol il
Milan passerà alle semifinali.
Verona-Milan,
ultima di campionato. Il Milan perde la partita e l'ultima speranza di
aggiudicarsi lo scudetto. Allora si vedono i giocatori rossoneri,
compreso l'algido Van Basten, che invece di accettare sportivamente la
sconfitta, si tolgono le maglie, le buttano a terra, le calpestano, si
abbandonano a scene isteriche e penose.
1991,
quarti di finale di Coppa dei Campioni Olimpique Marsiglia-Milan. Il
Milan aveva vinto la Coppa nei due anni precedenti, avrebbe potuto
accettare con una certa serenità la sconfitta che si stava profilando
(gol di Waddle). Non si puo' vincere sempre. A cinque minuti dalla fine
si spegne uno dei quattro riflettori dello stadio. Il nobile Maldini, il
nobile Baresi e altri giocatori circondano l'arbitro: con ampi gesti
indicano il riflettore spento, c'è troppo buio, non si puo' giocare, la
partita va ripetuta (si vedevano perfino le monetine che i tifosi del
Marsiglia stavano gettando sul campo per irridere a quella vergognosa
sceneggiata). L'arbitro, ovviamente, non gli dà retta. Allora Galliani,
in collegamento con Berlusconi, ordina il ritiro della squadra. Una cosa
inaudita, grottesca, che non si è mai vista nemmeno nei più scalcinati
campetti dei campionati minori Figc. Il Milan si beccherà una squalifica
di un anno.
Questa
incapacità di accettare la sconfitta, di cercare di evitarla anche
ricorrendo ai mezzi più sleali, è un riflesso del mondo morale di
Berlusconi, di cui abbiamo poi avuto ampia testimonianza nella sua
attività politica (“Bastava il Milan per capirlo” scrissi per l'Europeo
nel gennaio 1995).
Il
calcio, si sa, è una metafora della vita. Nel mondo morale di
Berlusconi c'è anche che col denaro si puo' comprare tutto: guardie di
Finanza, testimoni, giudici. E anche di questo la storia del 'suo' Milan
è stata testimonianza. Quando aveva già i tre olandesi e sapeva di non
poterlo far giocare acquisto' Savicevic, allora uno dei migliori
giocatori del mondo, solo per toglierlo alle altre squadre. Con lo
stesso scopo acquistava giocatori importanti senza farli giocare. Il
nazionale De Napoli, in due anni, vide il campo, in tutto, per sette
minuti. Ma il caso più emblematico è quello di Gigi Lentini. Nel 1992
Lentini, talentuoso ragazzo del vivaio granata, aveva portato il Torino
al terzo posto in Campionato. Ma Berlusconi lo voleva a tutti i costi.
Gli fece offerte sempre crescenti che Lentini rifiuto': nel Torino era
entrato a otto anni, dal Torino aveva avuto la fama, alla gloriosa e
sfortunata società granata era legato da fortissimi vincoli affettivi,
il denaro non era tutto. Ma Berlusconi porto' l'offerta, fra ingaggio e
acquisto del cartellino, alla sbalorditiva cifra di 64 miliardi e il
ragazzo, figlio di una famiglia di operai delle Banchigliette, cedette.
C'è chi dice che i miliardi siano stati 'solo' trenta ma ha poca
importanza. Berlusconi non aveva comprato le gambe di Lentini, che non
potevano valere nè 60 nè 30 miliardi, gli aveva comprato l'anima
dimostrandogli (a lui e al vasto mondo giovanile che ruota intorno al
calcio) che i suoi ingenui sentimenti di ragazzo non valevano nulla di
fronte al potere del denaro. Naturalmente la cosa ando' a finir male.
Lentini, frastornato nel nuovo ambiente, ebbe uno stupido incidente
automobilistico, calcisticamente si rovino', non servi' al Milan né il
Milan a lui. E questo mi ricorda una malinconica canzone di De Andrè,
'Il Re fa rullare i tamburi'. Luigi XIV, “in cerca di nuovi e freschi
amori”, mette gli occhi sulla sposa di un suo generale. Lo corrompe
promettendogli di farlo maresciallo di Francia. “Ma la Regina ha
raccolto dei fiori, celando la sua offesa, e il profumo di quei fiori ha
ucciso la marchesa”. E in questa favola gotica, in questa violenza e
prepotenza puramente distruttrici, a perdere, si riassume l'influenza
nefasta che Silvio Berlusconi ha avuto nella vita del nostro Paese.
Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 18 settembre 2013)
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