Gentile professore, Il suo articolo su Firstonline
di qualche giorno fa sulla crisi della Banca delle Marche e', a mio avviso,
apprezzabile per coraggio, lucidità di analisi e capacità propositiva.
E quindi non stupiscono né la risonanza che ha avuto
su altri giornali ne' qualche disappunto per urtate suscettibilità
istituzionali.
Esso pone senza infingimenti la questione delle
cause del dissesto, rinvenendole nel ruolo inadeguato della proprietà, nei
difetti di governo del Consiglio di amministrazione, nel peso sproporzionato
esercitato per anni dalla figura del Direttore generale, nella assunzione di rischi
oltre ragionevoli criteri di prudenza, nella inadeguatezza di controlli interni
ed esterni alla banca.
Le sue valutazioni assumono una valenza che supera
il singolo, per quanto grave, episodio, risultando utili per costruire quasi un
paradigma della crisi della banca del territorio, della quale non mancano di
questi tempi altri e importanti esempi.
Non so se questo obiettivo era implicitamente nelle
sue intenzioni, ma a me e' venuto spontaneo il riferimento alle situazioni
nelle quali sono coinvolte molte banche situate in quelle regioni che un tempo
furono identificate con la terza Italia, quella dall'economia aperta,
flessibile, dinamica, luogo di trionfo della piccola e media impresa (ma anche
della bassa scolarizzazione), linfa innovativa della manifattura nazionale e
delle banche campioni del territorio, pronte a sostenere, rischiare, selezionare?
Vero mondo schumpeteriano di distruzione creatrice! Ma anche campo in cui la
crisi economica ha avuto un peso rilevante sulle vicende dei debitori, poco
propensi, da sempre, a consolidare i risultati dei tempi felici secondo
un'ottica di più lungo termine.
Questa e' ad oggi la situazione che sappiamo,
credit crunch compreso.
Ma Lei non indulge sui fattori esterni agli
squilibri della banca, andando diritto al punto. Dopo tutto, sembra di capire,
la crisi, come fa la marea quando si ritira, ha solo messo allo scoperto
scogli, grandi e appuntiti, che stavano li' da tempo e che alla fine ne hanno
sfondato lo scafo. Insomma, sono d'accordo con Lei che la crisi economica come
motivazione principale non può essere accettata di buon grado di fronte a
comportamenti che hanno risposto ad altre logiche.
E' bene elencare i casi più importanti del momento:
Friuli, Hipo Alpeadria; Veneto, Popolare Marostica,
Credito Veneziano, BCC Monastier e del Sile, Banca Padovana, Emilia Romagna,
Cariferrara; Toscana, meglio lasciar perdere; Umbria, Popolare Spoleto; Marche,
già detto; Abruzzo, Tercas/Pescara. Come si vede i caratteri sono tutti
rappresentati: grandi, medi e piccoli, di tutte le categorie istituzionali,
nord, centro e sud. Di altri casi il mercato parla esplicitamente, ritenendo
che il riconoscimento pubblico della crisi sia solo questione di tempo.
E' quindi abbastanza naturale che ci si interroghi
sulle motivazioni e si sollevino dubbi sulla efficacia delle azioni seguite per
prevenirle, intervenendo con giusta scelta di tempo. Distillando le situazioni
de quo e con qualche esperienza maturata in un lungo passato professionale, mi
sento di sintetizzare le cause/concause dei dissesti in cinque fattori,
facilmente identificabili ex ante e anche facili da tenere a mente, in quanto
iniziano tutti con la lettera C.
Si chiamano Confusione di ruoli, Concentrazione dei
rischi, Conflitti di interesse, Carenza di controlli, Costi.
Mi sembra che, al di la' di qualche differenza di
denominazione, coincidano, anche per ordine di importanza, con quelli che Lei
ha individuato per spiegare la crisi della Banca delle Marche.
Nella Confusione dei ruoli inquadro il ruolo del
demiurgo, padrone assoluto delle sorti della banca. Nonostante si faccia un
gran predicare di collegialità, la correlazione tra approcci basati su un
centro di potere unico e crisi bancaria e' molto elevata. Quante volte la
proprietà o il nucleo di riferimento di questa sono andati alla ricerca di un
deus ex machina, che avrebbe fatto crescere la banca, beneficiato gli
azionisti, soddisfatto i clienti, incentivato i dipendenti, esercitato una
costruttiva dialettica con gli organismi di vigilanza, e, se fosse rimasto
qualcosa, ricompensato meritatamente anche se stesso?
Ma, ai casi più gravi, tutti con appendici
giudiziarie, si devono aggiungere quelle situazioni in cui Presidenti, alla
ricerca di duratura affermazione personale, smaniano per occuparsi di tutto,
dalla strategia alla ordinaria gestione, scegliendo ed estromettendo Direttori
generali come nel calcio si fa con gli allenatori, Direttori Generali e AD che
si sostituiscono ai Presidenti, facendone proprie scialbe propaggini o che
pretendono di esercitare la funzione senza un sostituto in grado di surrogarli (perché
non si dubiti mai su chi è l'uomo solo al comando); anche i cosiddetti ticket
Presidente/Direttore non sempre hanno funzionato a vantaggio della Banca.
Quanto ai Collegi sindacali non sono mancati casi
di esercizio di poteri estranei al ruolo, magari in conflitto di interesse con
la banca medesima. Sistematico nei casi più eclatanti il superamento di ogni
delega di potere, senza nessuna riserva o censura da parte degli organi
deleganti o di controllo. Possibile che ci se ne accorga solo quando la
frittata e' fatta, magari dopo averli addirittura e per tanto tempo osannati?
La Concentrazione dei rischi e' il modo di gestire,
oltre ogni criterio di logica differenziazione, il portafoglio crediti,
privilegiando in ogni caso settori a più elevata esposizione speculativa:
l'investimento nel comparto immobiliare accomuna i nostri casi critici, con
forzature sia nel proprio territorio sia in aree più lontane. Quella percentuale
del 30 di crediti al settore delle costruzioni, che Lei cita per la Banca delle Marche per
essere molto più alta della media e' comune ad altre situazioni, e, in alcuni
casi, anche superiore. Viene, talvolta, quasi da chiamarle banche contro il
territorio, piuttosto che banche del territorio o per il territorio, guardando
agli scempi che i loro finanziamenti hanno sovente prodotto.
Ma quando si scopre la dimensione degli eccessi compiuti,
come si fa a parlare di crisi? E i limiti normativi perché non hanno fatto
tirare i freni in tempo? E l'industria manifatturiera vera e propria quale
danno ha ricevuto da questo dirottamento di risorse?
È vero che le policy di vigilanza sono divenute più
restrittive nella determinazione delle perdite su crediti e dei valori delle
garanzie e che, come si dice da più parti, l'operazione che si sta conducendo
e' probabilmente troppo rapida per le attitudini del sistema. È parso che si
volesse o dovesse fare il più presto possibile per colmare gap prodottisi in
anni di sottovalutazione del fenomeno e di bassi tassi di copertura dei crediti
anomali, ma, concordo con lei che bisogna "dare tempo al tempo",
perché questo maggior rigore possa essere metabolizzato. Purtroppo e' anche
vero che il valore di mercato degli immobili a garanzia dei prestiti si è
ridotto di oltre un terzo mettendo impietosamente in evidenza le imprudenze
compiute. Quanti anni ci vorranno per ripristinare i giusti equilibri?
Il Conflitto di interessi che assume forme diverse,
dal "debitore di riferimento" al formarsi di coaguli di potere che
piegano le decisioni a criteri atecnici, e' anch'esso rinvenibile nelle
situazioni che ci occupano. Il punto e' che lo sviluppo di queste malsane
relazioni, pur svolgendosi in lunghi lassi temporali, attira raramente
l'attenzione dovuta, nonostante non manchino dati e informazioni per la
corretta messa a fuoco del problema, via via che la dimensione delle
esposizioni verso i componenti gli organi aziendali e le loro diramazioni
aumenta.
Andranno valutati gli effetti delle nuove regole sulle
parti correlate.
I Controlli carenti sono la gamba...rattrappita
della Governance, nonostante che per quelli interni non si faccia che normare
risk management, compliance, internal Audit, attività dei revisori contabili e
dei sindaci, salvo se altri. Parafrasando altre affermazioni, verrebbe da dire
che la normativa di vigilanza italiana e' la più bella (la più severa o la più
pervasiva?) del mondo, ma le situazioni di inadeguatezza all'interno della
banca si replicano con frequenza. Il sostanziale ritardo che Lei attribuisce,
nel caso della Banca delle Marche, agli Organi di vigilanza riguarda anche
alcune delle banche citate, dato che, per gravi irregolarità, e' intervenuta
per prima la magistratura, costringendo al commissariamento degli organi.
In ogni caso, non si può non concordare che e'
sbagliato far intendere che e' comunque "meglio tardi che mai" o che,
ex post, si declinino a propria difesa tutte le iniziative esperite. Sta di
fatto che la stalla e' stata chiusa dopo che i buoi erano scappati.
Infine i Costi che, se non sono di per se' causa di
esplosione della crisi, sono fattore di aggravamento di ogni tentativo di
rilancio aziendale. Il gigantismo delle reti distributive, il mancato
rinnovamento dei processi operativi, la rinuncia all'efficientamento nel
continuo sono anche essi riscontrabili nei dissesti; consulenze e altri sprechi
si accompagnano endemicamente ai più gravi fattori critici avanti richiamati.
Il sistema ha continuato a crescere nelle sue componenti più inefficienti (gli
sportelli) anche dopo che la crisi mondiale era in corso da tempo,
procurandosi, ove dovuto, le necessarie autorizzazioni.
Come progettare ora il downsizing dovrebbe essere
materia di più attenta analisi e confronto e non frutto di situazioni pressanti
e di decisioni estemporanee.
Quindi, tornando a noi, si può costruire davvero un
modello del dissesto bancario, dati gli elementi ricorrenti e comuni che ne
sono alla base, come riferimento per una più efficace prevenzione.
La parte costruens dovrebbe a questo punto prendere
il posto che le spetta in ogni ragionamento critico, a condizione che siano
chiare alcune pregiudiziali, per essere concretamente propositivi.
Bisogna mettere sul tavolo le vere questioni, senza
indulgere in riconoscimenti di solidità patrimoniale delle banche, condizione
necessaria ma non sufficiente; quando si cerca di riavviare i motori, ci
vogliono nuovi capitali e chi è disposto a metterli, oltre a una macchina operativa
rimessa in condizione di marciare, come anche Lei giustamente riconosce.
Ci si deve domandare se siamo di fonte a una
situazione che richiede azioni di riconversione industriale di parte non
trascurabile del sistema bancario, con consolidamento di porzioni di esso.
Dobbiamo riconoscere che vanno cambiate alcune regole generali di governo delle
banche ad ampia base sociale, ormai obsolete.
Che l'avvicendamento nelle funzioni di
responsabilità nella conduzione delle banche deve essere più rapido, che non vi
è bisogno di deus ex machina, ma di collegialità delle decisioni, per le quali
sono necessarie maggiori conoscenze e competenze e modalità più efficaci di
censura di operati devianti. Si tratta di elementi strutturali e non
gestionali.
Il rilancio del credito, anche con un più diretto
coinvolgimento della base produttiva presente nel territorio della banca, deve
rappresentare il naturale scopo di tutto questo sforzo.
Se Lei fosse d'accordo, a me sembrerebbe questo il momento
adatto per non mollare la presa su alcuni punti essenziali del suo articolo e
discutere di proposte, provando a coinvolgere un po' tutte le parti in gioco, nella
consapevolezza che l'autoreferenzialita', da qualsiasi parte provenga, e' di
per se' fattore che obnubila ogni tentativo di prevenire e correggere
comportamenti che allontanano da sane pratiche gestionali.
A meno che, fatti i debiti confronti con altri
paesi e giudicabili tutti a nostro vantaggio, celebrati gli interventi di
aggiustamento già messi rapidamente in azione, riconosciuto che ogni caso ha la
propria individuale spiegazione, considerati i tenui segnali di miglioramento
della congiuntura di cui si fa gran parlare, non si prenda atto che, dopo
tutto, per le banche del territorio non esistano problemi seri o che, se
esistono, riguardino solo gli altri. Ma allora che ne parliamo a fare? F.to Daniele Corsini
(Banche & Vanghe - Pensieri e Parole sulla Banca del Territorio)
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