All’ora di pranzo si compie la tragedia di un uomo ridicolo.
Berlusconi poteva scegliersi una fine drammatica da Caimano, con
paesaggi in fiamme alle spalle, oppure una farsesca. Ha scelto con
coerenza la seconda. All’una e mezza, quando l’ombra del Cavaliere
annuncia la fiducia e subito scoppia a piangere, sulle tribune del
Senato la stampa di mezzo mondo esplode in una risata. Soltanto una
collega svedese vagola in preda all’angoscia, come certi turisti
abbattuti dall’afa e dalla sindrome di Stendhal: «Ma che succede?
Qualcuno può spiegarmi?».
Erano arrivati tutti al richiamo della grande giornata
storica ed eccoci a raccontare la solita replica dell’8 settembre
all’italiana. Un 8 settembre della destra, dove Berlusconi è
allo stesso tempo Mussolini, Badoglio e il re, ma l’annuncio rimane lo
stesso della guerra che continua a fianco dell’alleato, chiunque esso
sia. Il generale ha firmato la resa senza avvisare i colonnelli, i quali
hanno continuato a spararsi contro fino a notte fonda nei talk show.
Sui banchi della destra campeggiano ancora in bella vista le copie del
Giornale di famiglia, detto un tempo Il Geniale, con titolo di scatola
«Alfano tradisce», mentre Berlusconi annuncia la fiducia al governo
Letta. «Non senza travaglio», sia pur minuscolo.
I falchi guardano le colombe, le colombe puntano i falchi, le pitonesse strisciano via: possibile?
Da ieri il grande eversore è l’ultimo allievo di Andreotti («Se sei in
minoranza, unisciti alla maggioranza»). Berlusconi è diventato infine il
vice di Alfano, in un hegeliano e spettacolare rovesciamento del
rapporto servo padrone. Del resto i paradossi della giornata non si
contano, ma una sola cosa è certa. Come leader Berlusconi è finito. Dopo
la pagliacciata di ieri ha perso lo scettro del comando e non potrà mai
più essere il candidato premier del centrodestra. Si è reso non
candidabile.
Ed è curioso che a denudare il re non sia stato l’avversario politico, il Pd, e nemmeno le toghe rosse che non esistono.
A farlo fuori sono stati i suoi cortigiani. Così è curioso che in fondo
a un ventennio trascorso a combattere il nemico «comunista», Berlusconi
non sia riuscito a distruggere la sinistra, ma in compenso sia ormai a
un passo dal demolire la destra. La lascia a pezzi, immersa nel
grottesco, ridotta a una ruota di scorta, anzi due, e senza un capo.
Tutto questo per inseguire un bluff. Da settimane
scriviamo che Berlusconi non aveva alcun interesse a far cadere il
governo e sull’orlo del baratro si sarebbe ritratto. La minaccia
dell’arma fine di mondo era soltanto l’ultimo disperato ricatto di un
leader ormai spinto ai margini da se stesso, dai propri comportamenti e
reati, per ottenere un impossibile salvacondotto dal governo e dal
Quirinale. Così è andata infine, ma il bluff è fallito nel più
dilettantesco dei modi. La sfilata del voto di fiducia al Senato, che
per ironica sorte comincia con la lettera B, è la fotografia di una resa
incondizionata e senza l’onore delle armi. Si tratta appunto di una
tragedia ridicola.
Nel confronto col duellante, Enrico Letta ne esce come un gigante.
Non ha ceduto di un passo, altro che democristiano, ha indovinato il
tono e le citazioni giuste, da Einaudi all’amato Gaber. «Si scannano su
tutto e poi non cambia mai niente». Se Letta azzeccasse i provvedimenti
di governo come le citazioni, forse non saremmo al 40 per cento di
disoccupati giovani, al debito pubblico fuori controllo, ai trenta
fallimenti ogni giorno e a mezzo Nord Est produttivo in fila alla dogana
per portare le aziende in Svizzera, Slovenia e Carinzia. Senza contare
che da domani si ricomincia da capo, per rimanere ai riferimenti del
Letta cinefilo, e siamo sempre al giorno della marmotta.
La giornata storica finisce con l’immagine in fondo toccante di Scilipoti che si accosta a Berlusconi e gli sussurra consigli.
Scilipoti è diventato il vero simbolo e modello della classe dirigente
italiana, la cui principale arte è quella del galleggiamento e
dell’impavida sfida al ridicolo. A febbraio, il risultato del voto era
stato salutato da qualche politico straniero e da un bel pezzo di stampa
estera come la «vittoria dei clown», anzitutto Berlusconi e Grillo. Il
presidente Napolitano si era indignato, aveva preteso scuse. Chissà se a
distanza di sei mesi e di tante pagliacciate, il presidente è ancora
della stessa opinione.
Curzio Maltese (Jack's Blog - Il Fatto Quotidiano. 3 ottobre 2013)
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