Passati dal garantire l’Italia con la cancelliera Merkel e ridotti a dolorosi zimbelli di un Cesa o di un Olivero.
«Super Mario» avevano preso a chiamarlo anche a Strasburgo, e allora
lui con ferma modestia: «No, no, solo Mario». Ventisette applausi alla
presentazione del suo governo; e adesso un gelo imbarazzante ogni volta
che il professore interviene al Senato, nemmeno il consenso pieno dei
suoi, «un dilettante della politica» lo definiscono dopo avergli sfilato
il partito, «la forza che ho ispirato e fondato», da sotto i piedi,
come un tappeto, e addirittura ricevono felicitazioni per questo,
ammirati bigliettini a sfondo cannibalico: «Complimenti, Pier, per come
ti sei cucinato Monti».
Sventuratissimo tecnocrate, e si cercherebbe
qualcosa, una parola, un gesto, un qualche segno che possa illustrare
questa caduta come un autentico dramma, ma invano. La vera tragedia del
potere, in questi tempi di chiacchiere e visioni a distanza, è che tutto
si abbassa e s’immiserisce, e nella triste vicenda di Scelta Civica,
tra velleità e fallimenti, caos e voltafaccia, si resta come ipnotizzati
dal modo in cui le cronache hanno descritto gli stati d’animo di Monti
dalle elezioni a oggi: deluso, eppure smanioso, poi risentito, quindi
provato, poi ancora allibito e infine disgustato.
Patetici frammenti autobiografici accompagnano gli ultimi mesi:
«Mi basta varcare i confini per essere riconosciuto», donde la
tentazione di restarsene all’estero, senza più dover combinare pensieri e
parole per tenere a bada gli appetiti dell’Udc, le bramosie dei
superstiti di Fli o le frustrazioni del segmento montezemoliano. Come
pure angosciosi soprassalti trasmettono di tanto in tanto lampi di
verità: «Ho lavorato una vita intera a costruirmi una reputazione e
adesso ho avviato la mia sistematica demolizione».
E comunque: quale incredibile e dissennato spreco di credibilità!
Troppo facile adesso ricordare gli errori, il primo dei quali la
«salita in campo», cioè mettersi in proprio, ma mischiandosi e perciò
diventando in un paio di mesi come tutti gli altri, senza vocazione, e
tuttavia accettandone i biechi codici, i nipotini, i cagnolini, la foto
conPaulo Coelho, gli sportivi in lista, la recita «sugnu sicilianu» e la
pizza napoletana con su scritto “Monti”. E questo già bastava a
dimostrare come il gusto del potere, prima ancora dell’ambizione,
trasfigura non solo le persone, ma anche le migliori e costose
intenzioni.
Napolitano gli aveva detto: meglio di no. Lo
stratega americano, a nome Axelrod, gli era costato 350 mila bombi; la
società dei sondaggi, che dio la benedica, appena 48 mila. E però, anche
dopo la sconfitta, del tutto indifferente al motto diabolicum
perseverare, il professore si era messo in testa di fare il presidente
del Senato. Gliela dovevano, «o me o nessun altro» fremeva con malcelato
disappunto mostrando gli sms con cui il Quirinale, di nuovo, gli
esternava il «divieto impostomi».
Non si pretenderà qui di seguire passo passo la genealogia e gli sviluppi dello scontro tra Monti e i suoi stessi parlamentari,
oltretutto con la partecipazione straordinaria di uno specialista come
Pierfurby Casini, ma certo la serietà e la sobrietà di un tempo erano
già andate a farsi benedire. Ad aprile l’ex tecnocrate offeso toglieva
il nome dal simbolo e dallo statuto; a maggio si impegnava di nuovo; a
luglio minacciava nuovamente le dimissioni («Posso andarmene anche
domattina»); ad agosto un ragazzetto incontrato per caso gli chiedeva:
«Ma lei è triste e non avere più un lavoro?».
Arrivati a una certa età, sono domande cui è ancora più triste rispondere, altro che Bildenberg.
Nel frattempo il ministro Mauro, come un sommergibilista, navigava in
profondità estendeva la propria vogliosa agitazione al Ppe prefigurando
grandiosi scenari centristi; e ironia della sorte, i berlusconiani erano
tornati al governo e addirittura lo irridevano, come Brunetta, che dopo
l’ennesima messa a punto l’aveva chiamato, anche evocando certe
debolezze filogermaniche: «Il Grosse Rosikonen».
C’è forse una lezione, in questa parabola.
La solita; che il potere è una bestiaccia che consuma anche le migliori
personalità. Mario Monti, non super-Mario, apparteneva senz’altro a
questa categoria. Ma l’uso scriteriato di risorse è un guaio vero, e non
riconoscerlo in tempo porta ad altri peggiori guai.
Filippo Ceccarelli (Jack's Blog - 18 ottobre 2013)
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