venerdì 18 ottobre 2013

CORAZZIERI & CANCELLIERI (Marco Travaglio)

Segnatevi questi nomi: Alfredo Montalto e Stefania Brambille, presidente e giudice a latere della Corte d’assise di Palermo che ieri, con i sei giudici popolari, hanno avuto il coraggio di accogliere la richiesta della Procura di ascoltare come testimoni il presidente della Repubblica e alcuni suoi fedelissimi nel processo sulla trattativa Stato-mafia. Potrebbero avere i soliti guai che in Italia toccano in sorte a chi tocca certi fili: andranno a scavare nella loro vita privata, a rovistare nei loro armadi, cassetti e cassonetti alla ricerca di qualcosa. Com’è accaduto agli Esposito, Mesiano, Boccassini, Ingroia, Di Pietro, Woodcock, De Magistris, Forleo, Nuzzi e tanti altri magistrati diversissimi fra loro, ma accomunati da un peccato originale: aver disturbato il potere costituito. 
Erano stati avvertiti, Montante e Brambille: la testimonianza del Presidente non s’ha da fare, né ora né mai. Li aveva ammoniti Michele Vietti, vicepresidente del Csm, l’organo di giustizia disciplinare presieduto dallo stesso capo dello Stato, con due pesanti interferenze nella loro autonomia. Li avevano sconsigliati i soliti giuristi di corte sguinzagliati a comando sui giornali di stretta obbedienza. Li aveva massaggiati l’Avvocatura dello Stato, che in teoria rappresenta i cittadini italiani, vittime della trattativa Stato-mafia, ma in realtà funge da guardia del corpo del Re. Il Tribunale di Palermo chiamato a giudicare Mori e Obinu per la mancata cattura di Provenzano aveva fornito loro una comoda scappatoia, depositando proprio l’altroieri le motivazioni dell’assoluzione in cui, già che c’era, tentava di assolvere anche gl’imputati della trattativa (non tutti: solo i politici e i carabinieri). 
E ancora ieri, alla notizia della loro decisione, li ha intimiditi il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri, titolare dell’azione disciplinare, con una dichiarazione ben peggio che strabiliante: “Non ho letto la motivazione, prima vorrei documentarmi. Ma la convocazione mi lascia un po’ perplessa, mi sembra un po’ inusuale”. Ecco, brava: si documenti ed eviti di dare aria alla bocca. Qui le cose inusuali che lasciano perplessi sono altre: uno Stato che tratta con la mafia e ormai se ne vanta; un esercito di presunti servitori dello Stato che mentono per la gola e ricordano a singhiozzo, ma solo quando i mafiosi e i figli dei mafiosi li costringono a farlo; un capo dello Stato che, anziché precipitarsi dai giudici a dire tutto ciò che sa, fa l’offeso e si trincera dietro i corazzieri; e una cosiddetta ministra della Giustizia che ignora i fondamentali del diritto, tipo l’art. 205 del Codice di procedura penale che prevede espressamente la testimonianza del Presidente al Quirinale. 
Chissà perché questo scatenamento non s’è registrato qualche mese fa, quando a convocare Napolitano come teste fu la Corte d’assise di Caltanissetta nel processo Borsellino-quater. Forse perché rifiutarsi di testimoniare nel quarto processo sulla strage di via D’Amelio pareva un po’ troppo anche a lorsignori. O forse perché stavolta c’è di mezzo quel che scrisse il consigliere giuridico Loris D’Ambrosio nella lettera di dimissioni del giugno 2012 (pubblicata da Napolitano con un plateale autogol): e cioè che aveva confidato al Presidente i suoi “timori” di essere stato usato come “ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi” all’Alto commissariato antimafia e poi al ministero della Giustizia crocevia dei traffici legislativi in ossequio al papello. 
Se Napolitano testimonierà che D’Ambosio non gli disse nulla, gli darà del bugiardo. Se invece rivelerà le sue confidenze, qualcuno si domanderà perché non abbia sentito il dovere di farlo prima. Ma potrebbe pure rifiutarsi di testimoniare e tenere i giudici fuori dalla porta, come già Cossiga nel processo Gladio, ben sapendo che al Presidente non può accadere ciò che accade in questi casi a ogni altro cittadino: accompagnamento coatto dei carabinieri e incriminazione per reticenza. Nel qual caso, avremo capito tutto lo stesso. 

Marco Travaglio (Jack's Blog - Il Fatto Quotidiano, 18 ottobre 2013

 

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