Segnatevi questi nomi: Alfredo Montalto e Stefania Brambille, presidente e giudice a latere della Corte d’assise di Palermo che
ieri, con i sei giudici popolari, hanno avuto il coraggio di accogliere
la richiesta della Procura di ascoltare come testimoni il presidente
della Repubblica e alcuni suoi fedelissimi nel processo sulla trattativa
Stato-mafia. Potrebbero avere i soliti guai che in Italia toccano in
sorte a chi tocca certi fili: andranno a scavare nella loro vita
privata, a rovistare nei loro armadi, cassetti e cassonetti alla ricerca
di qualcosa. Com’è accaduto agli Esposito, Mesiano, Boccassini,
Ingroia, Di Pietro, Woodcock, De Magistris, Forleo, Nuzzi e tanti altri
magistrati diversissimi fra loro, ma accomunati da un peccato originale:
aver disturbato il potere costituito.
Erano stati avvertiti, Montante e Brambille: la testimonianza del Presidente non s’ha da fare, né ora né mai.
Li aveva ammoniti Michele Vietti, vicepresidente del Csm, l’organo di
giustizia disciplinare presieduto dallo stesso capo dello Stato, con due
pesanti interferenze nella loro autonomia. Li avevano sconsigliati i
soliti giuristi di corte sguinzagliati a comando sui giornali di stretta
obbedienza. Li aveva massaggiati l’Avvocatura dello Stato, che in
teoria rappresenta i cittadini italiani, vittime della trattativa
Stato-mafia, ma in realtà funge da guardia del corpo del Re. Il
Tribunale di Palermo chiamato a giudicare Mori e Obinu per la mancata
cattura di Provenzano aveva fornito loro una comoda scappatoia,
depositando proprio l’altroieri le motivazioni dell’assoluzione in cui,
già che c’era, tentava di assolvere anche gl’imputati della trattativa
(non tutti: solo i politici e i carabinieri).
E ancora ieri, alla notizia della loro decisione, li ha intimiditi il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri,
titolare dell’azione disciplinare, con una dichiarazione ben peggio che
strabiliante: “Non ho letto la motivazione, prima vorrei documentarmi.
Ma la convocazione mi lascia un po’ perplessa, mi sembra un po’
inusuale”. Ecco, brava: si documenti ed eviti di dare aria alla bocca.
Qui le cose inusuali che lasciano perplessi sono altre: uno Stato che
tratta con la mafia e ormai se ne vanta; un esercito di presunti
servitori dello Stato che mentono per la gola e ricordano a singhiozzo,
ma solo quando i mafiosi e i figli dei mafiosi li costringono a farlo;
un capo dello Stato che, anziché precipitarsi dai giudici a dire tutto
ciò che sa, fa l’offeso e si trincera dietro i corazzieri; e una
cosiddetta ministra della Giustizia che ignora i fondamentali del
diritto, tipo l’art. 205 del Codice di procedura penale che prevede
espressamente la testimonianza del Presidente al Quirinale.
Chissà perché questo scatenamento non s’è registrato qualche
mese fa, quando a convocare Napolitano come teste fu la Corte d’assise
di Caltanissetta nel processo Borsellino-quater. Forse perché
rifiutarsi di testimoniare nel quarto processo sulla strage di via
D’Amelio pareva un po’ troppo anche a lorsignori. O forse perché
stavolta c’è di mezzo quel che scrisse il consigliere giuridico Loris
D’Ambrosio nella lettera di dimissioni del giugno 2012 (pubblicata da
Napolitano con un plateale autogol): e cioè che aveva confidato al
Presidente i suoi “timori” di essere stato usato come “ingenuo e utile
scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi” all’Alto
commissariato antimafia e poi al ministero della Giustizia crocevia dei
traffici legislativi in ossequio al papello.
Se Napolitano testimonierà che D’Ambosio non gli disse nulla, gli darà del bugiardo.
Se invece rivelerà le sue confidenze, qualcuno si domanderà perché non
abbia sentito il dovere di farlo prima. Ma potrebbe pure rifiutarsi di
testimoniare e tenere i giudici fuori dalla porta, come già Cossiga nel
processo Gladio, ben sapendo che al Presidente non può accadere ciò che
accade in questi casi a ogni altro cittadino: accompagnamento coatto dei
carabinieri e incriminazione per reticenza. Nel qual caso, avremo
capito tutto lo stesso.
Marco Travaglio (Jack's Blog - Il Fatto Quotidiano, 18 ottobre 2013)
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