I
casi sono due: o Silvio Berlusconi è vittima di
un’allucinazione e si è convinto che in cambio dell’appoggio al governo Letta
avrebbe ottenuto un qualche salvacondotto giudiziario; oppure qualcuno gli ha
davvero promesso, o fatto balenare, o lasciato credere con quelle formule
allusive del dire e non dire che contraddistinguono il politichese italiota.
Perché una cosa è certa: da quando, a fine aprile, sono nate (anzi rinate) le
“larghe intese” con un governo presentato da tutti i giornali e da tutte le
parti coinvolte come “di pacificazione nazionale”, dopo “vent’anni di guerra
civile”, non passa praticamente giorno senza che B. o qualcuno dei suoi invochi
l’intervento di Napolitano per salvarlo dagli arresti o dalla decadenza o da
tutti e due come se fosse un atto dovuto, o almeno promesso. E questo non lo
scrive il Fatto bevendosi le “panzane” della Santanchè. Lo scrivono da sei mesi
tutti i giornali. Rispondere che Napolitano quel salvacondotto non l’ha (almeno
per ora) concesso e dunque si tratta di “panzane”, significa rivoltare la
frittata. L’interrogativo rimane: che cosa si dissero, nei loro segreti
conciliaboli, Napolitano e Letta jr. da una parte, e B. e i suoi numerosi
sherpa sguinzagliati ogni due per tre sul Colle da quando il presidente fu
rieletto per volontà di B. e il premier fu scelto da B.?
Il
24 giugno B. viene condannato al processo Ruby. Il 25 viene ricevuto a Palazzo Chigi da Letta Nipote
e il 26 al Quirinale da Napolitano, che fa sapere di averlo invitato lui. Per
parlare di che? Del tempo e della pioggia? B. fa sapere ai suoi che il
Presidente “vuole la pacificazione e mi è vicino” e lui l’ha invitato a “non
restare neutrale di fronte al trattamento che sto subendo”. Poi aggiunge: “Se
mi danno il salvacondotto mi ritiro dalla politica”. Il 9 luglio la sezione
feriale della Cassazione fissa per il 31 il processo Mediaset per evitarne la
prescrizione. Il Foglio la accusa di “distruggere d’un colpo il lavoro di
costruzione di un equilibrio possibile realizzato da Napolitano”. Il 1° agosto
la Cassazione condanna definitivamente B. per frode fiscale. Napolitano
comunica dalle ferie: “Ritengo e auspico che possano ora aprirsi condizioni più
favorevoli per l’esame in Parlamento dei problemi relativi alla giustizia”. Che
c’entra la riforma della giustizia con la condanna di B.? L’indomani, secondo
vari giornali, Napolitano riceve le telefonate di Schifani e Berlusconi e forse
addirittura una visita in Alto Adige di Gianni Letta: per parlare di che, delle
marmotte e degli stambecchi?
Il
3 agosto Bondi avverte: “Agibilità politica a B. o guerra civile”. Napolitano s’infuria: “Parole irresponsabili”.
Cicchitto gli rammenta i protocolli segreti delle larghe intese: “Questo
governo implicava anche una pacificazione che attenuasse lo scontro frontale
Berlusconismo antiberlusconismo fondato sull’uso politico della giustizia”. Il
Colle replica che non è arrivata nessuna domanda di grazia. Il giorno 4,
pesante avvertimento di Sallusti su Il Giornale: “Napolitano, sveglia. C’è in
gioco la democrazia e il presidente fa l’offeso. Ma quando toccò a lui la
porcata giudiziaria…”. Il 5 Napolitano riceve per un’ora e un quarto i
capigruppo Brunetta e Schifani saliti al Colle per invocare “l’agibilità
politica”, cioè il salvacondotto per B. Alla fine, non dice affatto di averli
respinti con perdite, ma che “esamina con attenzione tutti gli aspetti delle
questioni prospettate”. Quali questioni? Il solleone agostano? Il 13, finito di
esaminare le questioni, Napolitano dirama una nota ufficiale in cui spiega a B.
che cosa deve fare per ottenere la grazia: presentare “la relativa domanda”,
“prendere atto” della sentenza di condanna, accettare la pena che “la normativa
vigente esclude debba espiare in carcere” (falso), ma in forme “alternative”
che il giudice potrà “modulare tenendo conto delle esigenze del caso concreto”
(intromissione nell’autonomia del giudice).
Poi
il presidente esaminerà “un eventuale atto di clemenza individuale che incida
sull’esecuzione della pena principale”. Il
Giornale, mai smentito, scrive che il messaggio è stato “concordato” con B. che
l’avrebbe “letto in diverse stesure, fino a quella definitiva”. Il 10 settembre
il suo consigliere Macaluso, intervistato da Repubblica , traduce: “Napolitano
ha spiegato che lui una grazia estesa anche alla pena accessoria dell’interdizione
dai pubblici uffici, non la concederà mai. Non è materia di discussione. Una
eventuale valutazione sarebbe circoscritta, quando e semmai dovesse arrivare
una domanda di Berlusconi al Quirinale, alla condanna principale”. E l’amico
Scalfari scrive più volte su Repubblica che B. deve dimettersi da senatore, poi
Napolitano lo grazierà. Nessuna smentita del Colle alle panzane sulla grazia.
Il 24, gran consiglio Pdl ad Arcore: i falchi Verdini e Santanchè convincono B.
che Napolitano “lo prende in giro”. Alfano si appella “alle massime istituzioni
della Repubblica, al premier e ai partiti della maggioranza” perché
“garantiscano piena rappresentanza” a B. e ai suoi elettori.
L’indomani
Violante apre al ricorso alla Consulta contro la legge Severino, seguito da uno
stuolo di scudi umani vicinissimi al Quirinale (Cancellieri, Capotosti, Fiandaca, Onida, Manzella,
Vietti e i saggi ri-costituenti Caravita di Toritto, De Vergottini e Zanon).
Napolitano ci mette il timbro, facendo sapere al Corriere che ha “letto con
attenzione e apprezzamento” l’uscita di Violante. Il 30 B. mette la museruola a
falchi e pitonesse e dichiara: “Napolitano se vuole può fare tutto: dare la
grazia, commutare le pene, risarcire il danno morale”. Poi ricorda – come
riferisce Ugo Magri su La Stampa – che “in un incontro mesi fa al Quirinale,
Napolitano gli avrebbe fatto balenare vie d’uscita. Ed è anche in base a questi
affidamenti che il Pdl si sarebbe deciso a sostenere le larghe intese”. Il 26
Repubblica e Libero gli attribuiscono una frase ancor più minacciosa: “Rivelerò
a tutti le promesse che mi ha fatto Napolitano quando abbiamo acconsentito a
far nascere il governo Letta”.
Il
27 Gianni Letta risale al Colle:
per invitare Napolitano a una castagnata? Il 3 settembre, accusato dal Giornale
di “attentare alla Costituzione” e di essere “mandante e carnefice”
dell’eliminazione di B., Napolitano – racconta La Stampa – telefona furente a
Letta zio: “Berlusconi, se vuole la clemenza, non può illudersi di non pagare
un prezzo politico e di evitare tanto la decadenza quanto le pene accessorie”.
Il 6 riceve Confalonieri e il solito Gianni Letta al Quirinale: per parlare dei
palinsesti Mediaset? Il 20 intima davanti al Csm di “spegnere il conflitto fra
politica e giustizia”. Il 1° ottobre, su Tempi, B. accusa Letta e Napolitano di
“distruggere la loro credibilità” e “affidabilità” perché rifiutano di
“garantire l’agibilità politica al proprio fondamentale partner di governo” e
consentono il suo “assassinio politico per via giudiziaria”. 2 ottobre B.
cambia idea e vota la fiducia al governo perché – dice – “abbiamo avuto
rassicurazioni da Letta”: sul prezzo dei fagiolini? Il giorno 8, guarda caso,
Napolitano si appella alle Camere perché approvino l’amnistia e l’indulto.
Questa
è la consecutio tempurum degli ultimi mesi, tratta dalle cronache di tutti i
giornali escluso il Fatto, che scrive “ridicole panzane” e dunque non conta.
Signor Presidente, come si dice dalle sue parti: “ccà nisciuno è fesso”.
Marco Travaglio (Jack's Blog - Il Fatto Quotidiano, 24 ottobre 2013)
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