Un milione di persone. Nemmeno Max Weber, quando
scriveva La politica e la scienza come professioni pensava ci si potesse
spingere a tanto. Il grande sociologo tedesco scriveva infatti nel 1919: “Si
vive ‘per’ la politica oppure ‘di’ politica”. Chi vive ‘per’ la politica
costruisce in senso interiore tutta la propria esistenza intorno ad essa” […]
Mentre della politica come professione vive colui che cerca di trarre da essa
una fonte durevole di guadagno”.
Secondo uno
studio della Uil, invece, coloro che cercano “di trarre dalla politica una
fonte durevole di guadagno” sono più di un milione: 1.128.722. Un “paese nel
paese” ma non nella forma poetica in cui Pier Paolo Pasolini definiva il Pci.
Piuttosto “un mondo a sé”, come lo descrive il segretario confederale della
Uil, Guglielmo Loy che ha curato la ricerca. La cifra viene ricavata sommando
voci tra loro diverse ma tutte legate alla politica: gli eletti e gli incarichi
di Parlamento e governo (1.067) quelli nelle Regioni (1.356), nelle Province
(3.853) o nei Comuni (137.660). L’incidenza delle cariche elettive sul numero
totale non è molto alta, il 12%.
La forza del
sottobosco
I numeri si
fanno più forti man mano che ci si addentra nel sottobosco: i Cda delle aziende
pubbliche ammontano, infatti, a 24.432 persone; si sale a 44.165 per i Collegi
dei revisori e i Collegi sindacali delle aziende pubbliche; 38.120 sono quelli
che lavorano a “supporto politico” nelle varie assemblee elettive. I numeri
fondamentali della ricerca sono riscontrabili nelle due ultime voci, quelle
decisive: 390.120 di “Apparato politico” e 487.949 per “Incarichi e consulenze
di aziende pubbliche”. “Quest’ultimo dato si basa su numeri certi e verificati”
assicura Loy, mentre quello relativo agli “apparati” costituisce una “stima
della stessa Uil ma una stima attendibile”. Nella nota metodologica, infatti,
il sindacato spiega che i numeri derivano da banche dati ufficiali e da quello
“che ruota intorno ai partiti” (comitati elettorali, segreterie partiti,
collegi elettorali, “portaborse”, ecc.”. Loy la spiega così: “Ventimila voti di
preferenza non sono il risultato solo di un voto ideologico ma espressione di
relazioni concrete”. E, in tempi in cui l’ideologia è fortemente in crisi, “si
affermano gli interessi e la spinta ad aumentare il proprio tenore di vita,
l’affermazione di un sistema economico”.
La politica si
fa industria, quindi. E il dato è riscontrabile nei numeri. Si pensi al costo
dei CdA dei quasi settemila enti e società pubbliche: si tratta di 2,65
miliardi mentre per “incarichi e consulenze” la cifra è di oltre 1,5 miliardi
di euro.
Stiamo parlando
di gente che lavora, ovviamente. Alcuni di loro, come i dipendenti di
Rifondazione comunista, sono anche finiti in cassa integrazione oppure, come in
An, licenziati. “Ma non hanno fatto alcuna selezione pubblica, non hanno
seguito nessun merito” commenta Loy, “e vengono pagati con soldi di tutti”.
Parliamo di collaborazioni dirette nei vari ministeri, assessorati, consigli
elettivi, incarichi elargiti da questo o quel politico di turno. Oltre ai
Francesco Belsito, Franco Fiorito, ai diamanti della Lega, alle ricevute di
Formigoni o alle consulenze di Alemanno, gli esempi possono essere tutti leciti
ma del tutto interiorizzati dalla politica.
I vari
ministeri hano speso, nel 2012, oltre 200 milioni per collaborazioni dirette.
Tra i dicasteri più attivi, gli Interni, l’Economia e Finanze, la Difesa e la
Giustizia. Del ministero diretto da Alfano ci occupiamo a parte. Il Mef
dispensa centinia di incarichi nelle società partecipate. Alla Difesa, il
ministro dispone di ben 18 collaboratori quanti ne ha quello della Giustizia.
Gli incarichi sono quasi tutti di pertinenza politica. Come proprio addetto
stampa, ad esempio, il ministro ha la stessa persona che ha lavorato per
Pierferdinando Casini dal 2006 al 2013 e prima, ancora, con l’Udc Vietti,
attuale vicepresidente del Csm. Una “ricollocazione” avvenuta tutta nei
rapporti della politica.
Fedeli al
ministro
Nell’Ufficio di
gabinetto troviamo l’autrice di un libro, Guerra ai cristiani, troppo presto
dimenticato e scritto insieme allo stesso Mauro. Più esemplare è il caso del
“Consigliere per gli affari delegati, del Sottosegretario di stato alla Difesa
On. dott. Gioacchino Alfano”, Nicola Marcurio. L’interessato ha iniziato la
carriera politica nel Comune di Sant’Antonio Abate, dove organizzava le
iniziative religiose per il Giubileo. Diviene consigliere comunale nel 2000 e
di nuovo nel 2005. Poi va a lavorare presso il Commissariato per l’emergenza di
Pompei, da lì alla Protezione civile per il G8 dell’Aquila. Finisce al
ministero come consigliere di Gioacchino Alfano il quale, guarda caso, è stato
sindaco proprio di Sant’Antonio Abate. L’altro sottosegretario, Roberta
Pinotti, Pd, tiene nel proprio staff Pier Fausto Recchia, deputato non rieletto
alle ultime elezioni e quindi ricollocato. Tra i collaboratori del ministro
della Giustizia, Cancellieri, troviamo Roberto Rao, già deputato, non rieletto,
e già portavoce di Casini ma anche Luca Spataro, già segretario Pd di Catania.
Se un deputato non viene rieletto gli si trova un nuovo incarico. Come a
Osvaldo Napoli, pidiellino molto presente in tv, bocciato lo scorso febbraio e
oggi vicepresidente dell’Osservatorio Torino-Lione. Moltiplicando questi casi
per l’intero numero delle cariche elettive si può avere un’idea del fenomeno.
Alla Regione Lazio, il presidente Zingaretti dispone di un ufficio stampa con
ben dieci addetti mentre in Lombardia, i consulenti della Regione sono passati,
con la gestione Maroni, da 57 a 93, tutti riscontrabili sul sito ufficiale. Per
questa voce l’ente regionale spende 2,6 milioni di euro l’anno. L’esercito
della politica vive e si autoalimenta così.
Salvatore Cannavò (Jack's Blog - 28 ottobre 2013)
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