domenica 6 ottobre 2013

UN QUADRILATERO DI NOME DC (Marco Damilano)

Dobbiamo trasformare l’aula del Senato in un’arena, in cui il toro da matare si chiama Silvio Berlusconi…». E chi lo aveva mai sentito un Enrico Letta così determinato e così feroce? Una cattiveria da vero Coniglio mannaro, come i capi democristiani della Prima Repubblica, in apparenza tenere mammolette ma pronte a estrarre gli artigli al momento della battaglia. Abitudini ben conosciute dal cacciatore trasformato in preda. Silvio Berlusconi li ha sempre temuti, gli eredi della Dc, i Follini, i Casini, le loro manovre, i chiaroscuri, i loro veleni e i pugnali. A l punto da raccontare una volta ai giornalisti in una conferenza stampa la barzelletta di Nerone che ordina a Tigellino di mettere su uno spettacolo da circo con venti leoni affamati scagliati contro cento cristiani, salmodianti e in veste bianca. Quando si dirada il polverone sul campo restano stecchite le belve, i cristiani se le sono mangiate. «A Tigellì, ma che m’hai combinato?», si disperava Nerone-Berlusconi battendosi la mano sulla fronte. «Te avevo detto de portà i c ristiani. Questi so’ democristiani». 
«I democristiani non perdonano», sussurra Giuseppe Gargani, dc irpino di lungo corso, riparato in Forza Italia. Si è visto al Senato, mercoledì 2 ottobre, la festa degli Angeli custodi, quando con sembianze angeliche il premier Letta si è presentato nell’aula del Senato per chiudere la partita con il toro di Arcore, umiliato, offeso dalla rivolta guidata da Angelino Alfano, il suo delfino, il suo pupillo, un altro discendente della stirpe eletta di piazza del Gesù. Angelicamente, per oltre cinquanta minuti, Letta ha illustrato il manifesto della nuova Dc, la Magna Carta della futura stagione politica che assomiglia tanto al passato, con un solo caposaldo: «La stabilità è un valore assoluto». Più che una dichiarazione di intenti politica, un articolo di fede, un dogma. E poi via con la rivendicazione dei bei tempi che furono, quando a governare c’era Mamma Dc: «Dal 1946 al 1968 c’è stata la stabilità politica, il benessere, la crescita», il miracolo economico legato all’opera di «tre presidenti del Consiglio», non nominati ma evocati come santi protettori della nuova operazione, santi Alcide, Amintore e Aldo orate pro nobis, De Gasperi, Fanfani e Moro. E un elenco di obiettivi lungo due o tre legislature, dalle delocalizzazioni alle start up, dall’agenda digitale alle politiche per il Sud che fa sempre bella figura. Negli stessi minuti prendeva vita il nuovo movimento, gruppi parlamentari spuntati nel cuore dell’ex invicibile armata berlusconiana con un nome antico: i Popolari. Quelli uccisi venti anni fa, giusto di questi tempi, mentre l’allora tycoon di Fininvest fondava Forza Italia. E tragedia, psicodramma, urla, occhi rossi. 
La chiusura di un ventennio che si riapre con alcune facce dell’epoca. Quel Roberto Formigoni, ad esempio, che nel 1995 non aveva esitato ad abbandonare i popolari e a schiantare il suo partito per gettarsi nelle generose braccia del signore di Arcore e regnare per quasi vent’anni sul Pirellone. Oppure Carlo Giovanardi, oscuro deputato modenese finito a rappresentare l’ala berlusconiana del Ccd di Pier Ferdinando Casini. Ma anche new entry che invece con lo Scudocrociato non hanno mai avuto niente a che fare. Il laicissimo Fabrizio Cicchitto, Maurizio Sacconi, socialista trasformato in clerico-conservatore, la teocon Eugenia Roccella, ex radicale come il ministro Gaetano Quagliariello, l’ex liberale Beatrice Lorenzin.
La regia dell’operazione Nuova Dc, però, è tutta interna a un inedito quadrilatero bianco, interno e internazionale. Il primo lato è quello rappresentato dagli scissionisti post-berlusconiani: Angelino Alfano, che nel momento decisivo ha smentito la battuta di Berlusconi cui era stato inchiodato per due anni («Ad Angelino manca il quid»), un parricidio degno delle migliori tradizioni della Balena bianca, la congiura della Domus Mariae che rovesciò Fanfani e segnò la nascita dei dorotei, corrente egemone per un trentennio, all’insegna del pragmatismo, delle cose da fare, più volte evocate dal premier Letta nei suoi interventi parlamentari. I neo-dorotei possono contare sul generale Alfano e su un comandante sul campo, il fattivo, febbrile ministro Maurizio Lupi. 
E qui c’è il secondo lato del quadrilatero, la galassia di Comunione e liberazione avvezza da decenni a innalzare e a rimuovere le icone dall’altare a seconda delle convenienze del momento. Hanno fatto così con Giulio Andreotti, idolatrato e poi dimenticato, ora con Berlusconi, fin dal 2011 Cl ha puntato le sue carte sulle larghe intese mosse da Giorgio Napolitano, poi da Mario Monti e oggi da Enrico Letta. Il tradizionale serbatoio di voti preziosissimo in un momento in cui la Chiesa italiana è travolta dalla rivoluzione di papa Bergoglio ed è alla disperata ricerca di un punto di riferimento, almeno politico, se non sociale e economico. 
Il terzo lato, il più importante, scavalca i confini nazionali, gioca un ruolo fondamentale. Ai tempi della Dc gli inquilini di piazza del Gesù volavano a Washington a farsi benedire dal presidente in carica alla Casa Bianca, c’era l’America che sosteneva o affossava le leadership. Oggi tocca alla Germania svolgere la stessa funzione, lì governa la democristiana più potente del pianeta, Angela Merkel. E su Berlusconi sta per abbattersi una scomunica continentale: l’ammissione del nuovo soggetto politico nel Ppe, il Partito popolare europeo, e la non ammissione, o meglio l’espulsione, della rinata Forza Italia del Cavaliere. È il primo passo per ridisegnare l’Italia sul modello tedesco: un centro che supera il 40 per cento, e una sinistra socialdemocratica ridotta al 25 per cento, costretta a fare da ruota di scorta? Dipende da cosa succederà nel quarto lato dell’operazione, il Partito democratico, oggi sempre più dominato da Letta (e da Dario Franceschini), due ex pulcini del movimento giovanile dc, e dal terzo incomodo Matteo Renzi. Alla vigilia dello show down Letta e Renzi si sono finalmente incontrati a Palazzo Chigi dopo mesi di gelo: qualsiasi tentativo di andare avanti presupponeva la neutralità del sindaco di Firenze. Ma è solo una tregua, presto i due torneranno a rivaleggiare, quando il Pd andrà alle primarie per eleggere il nuovo segretario. 
Negli stessi giorni la Corte costituzionale dovrà pronunciarsi sull’ammissibilità del ricorso presentato contro l’attuale legge elettorale, il Porcellum. Se il ricorso sarà ammesso e se una parte della legge sarà successivamente dichiarata incostituzionale il sistema politico sarà interamente ridisegnato. Nella direzione più favorevole alla creazione di un soggetto centrista. Bipolarismo addio, morto e sepolto: «La democrazia governante, ahimè, non è mai decollata», ha detto il premier nel discorso di Palazzo Madama, pace e amen. Proporzionale pura, come quella della Prima Repubblica, con una qualche soglia di sbarramento. E coalizioni, alleanze da formarsi in Parlamento. L’humus ideale per la nuova Dc. Benedetta da Giorgio Napolitano. Un ex comunista che favorisce la resurrezione della Balena bianca. 
Cosa succederà nel centrosinistra? Se si frantuma il contenitore del centrodestra può restare indenne il Pd? Cosa farà Renzi? E la sinistra post-comunista di Massimo D’Alema, Gianni Cuperlo, Pier Luigi Bersani che assiste al revival dei moderati? E soprattutto: cosa farà Silvio Berlusconi? Il voto del 2 ottobre è per lui comunque una sconfitta, la sua ultima volta al Senato, arriva ora per lui l’interdizione dai pubblici uffici e dal seggio senatoriale. Ferito a morte, ma con un apparato mediatico ancora integro, pronto a mobilitarsi contro gli scissionisti, come si è visto dai primi titoli dedicati dal “Giornale” ad Alfano: “Traditore”. I neo-democristiani provano a chiudere «la lunga fase delle messe in scena da sangue e arena», come ha spiegato Letta. Ma la corrida sarà lunga. E il Toro di Arcore è ancora vivo. 
 
 
 

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