giovedì 3 ottobre 2013

LA SAPIENZA DEMOCRISTIANA (Filippo Ceccarelli)

Ucci ucci, si diceva un tempo, sento odor di democristianucci. Anche nella caduta di Berlusconi, evento cui tuttora si guarda con la più disponibile incredulità, pare di scorgere una mano invisibile, un po’ umida, ma ferma al momento giusto; qualcosa di gommoso e avvolgente, però ad un tratto soffocante. Un’energia gentile e lievemente soporifera fino a quando — zac — il colpo di Palazzo non è andato a segno. Oh, crudele sapienza democristiana, già tante volte applicata tra Palazzo Sturzo e il Gesù, oltre che in conventi, badie, cenobi e istituti religiosi divenuti teatri di maestosi complotti e perfidi avvelenamenti.
 Non ci si fermi ai nomi dei principali congiurati: Letta, Franceschini, Alfano, democristianucci doc. C’è una magnifica foto ed eloquente assai che li ritrae quattro mesi orsono, a maggio, durante una conferenza stampa all’Abbazia di Spineto. C’è Franceschini — che negli sms di quei giorni Renzi chiamava per scherzo «Arnaldo » (Forlani) o addirittura «Mariano» (Rumor) — dunque, si vede Franceschini che va a dire una cosa segreta all’orecchio di Letta, che gliene risponde un’altra ancora più segreta, ma coprendosi la bocca con la mano. Al loro fianco c’è Alfano, «volto e testa a pera del berlusconismo» l’ha dipinto ieri il Giornale, apparentemente imbronciato. O meglio: le cronache di allora lo diedero per imbronciato, i portavoce suoi e di Letta confermarono, di più: raccontarono ai quattro venti che durante il viaggio nel pulmino che li portava a Sarteano premier e vicepremier non avevano fatto che litigare. Dopo un po’ si venne a sapere che non era vero niente, non c’era stata nessuna lite: da buoni dc, i due si erano messi d’accordo per simularne una, ai danni di chi non è ancora tanto chiaro, ma da ieri un po’ di più. 
Ucci ucci, povero Cavaliere, ma anche lui ha tirato troppo la corda. Pensare che dopo Noemi, per la precisione tra la D’Addario e Ruby, sollecitò una nota in cui Mauro, Lupi, Quagliariello, Sacconi, Formigoni e la Roccella, in pratica il futuro nucleo scissionista, arrivarono a richiamare a sostegno del Cavaliere l’Imitatio Christi come modello di vita. Mai sottovalutare la memoria lunga dei cattolici, di conio vecchio e supernuovo. 
Errore perfino sottovalutare, o fidarsi, se si vuole, di Giovanardi, che voleva l’emissione di un francobollo con la faccia di Berlusconi. Inutile poi sorprendersi che il proprio destino, e anche quello dell’Italia per la verità, è appeso di nuovo ai democristiani. Tra i quali tra parentesi va annoverato anche Renzi, che peraltro qualche settimana fa si era concesso la grazia di notare polemicamenteche nel governo c’era «un eccesso di democristianeria, e non di quella buona». 
Sta di fatto che quando si formò il Letta-Alfano, Cirino Pomicino volle celebrarlo con un tweet: «Un giovane e ottimo governo a larga partecipazione democristiana». Di Berlusconi, in effetti, il presidente del Consiglio e il suo vice potrebbero essere i figli. Ma lo scudo crociato è ben più vecchio del Cavaliere, e se una rivista del Movimento giovanile dc al tramonto di De Gasperi (direttore Franco Maria Malfatti) si chiamava Terza generazione, con Alfano e Letta, che al Mgdc aderirono più o meno nel settennato demitiano, dovrebbe essere la quinta, o forse la sesta. 
E tutto torna. Anche l’archetipo del «Coniglio Mannaro», come Gianfranco Piazzesi battezzò il flemmatico Forlani. A chiudere gli occhi e a sentire ieri Letta che al Senato parlava e parlava e parlava, per giunta rivendicando i bei governi del tempo che fu (1947-1968) e anche i suoi buoni propositi per il comparto agroalimentare, giungeva alle orecchie come una nenia antica, e insieme un modo quasi domestico e insieme professionale di combinare e al tempo stesso di spezzettare, triturare, nebulizzare i problemi. 
Dopo tante dionisiache esagerazioni, veniva da pensare: ecco un giovane educato e a modo; dopo tante esotiche stranezze, tra cui perfino un finto vulcano, e dopo troppe peripezie corporali tornavano alla mente le foto di quest’estate in cui Letta si faceva il bagnetto nella piccola piscina di gomma coi figli, e in braghette faceva un po’ l’effetto tipo «il primo della classe è deboluccio in ginnastica », ma meno male. 
E’ strano come nella Seconda Repubblica si sia parlato spesso di post-comunisti e post-fascisti, ma molto meno di post-democristiani. Forse perché la Dc non c’è più, come dice spesso Marco Follini, ma ci sono ancora i democristiani. «Per anni — osserva oggi — Berlusconi ha governato contro lo spirito dello scudo crociato, ma con i suoi elettori. Ecco, penso che proprio in questi giorni questo schema sia saltato». In altre parole, l’elettorato dc, per il tramite di Alfano e degli altri «traditori» che vengono da quel mondo di cortese cinismo e narcotica spudoratezza, ha mollato il Cavaliere. Al suo peggior destino, e amen. 
In un tempo di autodidatti (Bossi, Berlusconi, Di Pietro) si è finito per trascurare l’importanza di una scuola politica che è stata anche — eccome! — di potere. A tale proposito rientrano i modi per defenestrare qualcuno. Per citare un titolo sulla prima pagine del Giornale di ieri: «E’ da oltre un anno che tramavano da democristiani ». C’è tutta una agghiacciante casistica di nefandezze a base di parricidi e fratricidi e infanticidi consumati all’insegna del «sopire, troncare, padre molto reverendo, troncare, sopire». Sennonché, fa notare Follini con realistica naturalezza, «la tecnica dc consisteva nel far fuori chi si era già messo fuori da solo». Come dire che se Berlusconi ha esagerato, è inutile poi prendersela con il fantasma di un partito che con il tempo si rivela qualcosa di più e di meno di un partito, un modo di essere del potere nel suo indecifrabile enigma. 


 

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