giovedì 28 novembre 2013

QUEGLI INSULTI A PIANO E RUBBIA (Curzio Maltese)



«VERGOGNA!». L’urlo dei senatori di Forza Italia contro Renzo Piano, Carlo Rubbia ed Elena Cattaneo riassume da solo il senso di vent’anni all’insegna del rovesciamento d’ogni valore. È la frase storica di una giornata che non ne ha prodotta nessuna. Proviamo a guardarla, la scena, con occhi stranieri. 
Come la vedono nel resto del mondo civile, non assuefatti come i nostri da decenni di talk show dove tutto è uguale a tutto. Da una parte stanno un genio dell’architettura, il “Brunelleschi del ventesimo secolo” (New York Times), un premio Nobel per la fisica degno erede della tradizione di Enrico Fermi e una ricercatrice stimata nei circoli scientifici internazionali. Dall’altra un pugno di cortigiani miracolati senza un mestiere, ben rappresentati da Bondi e Gasparri, felici di riverire un padrone già piduista, datore di lavoro di boss mafiosi, ora condannato in via definitiva per frode fiscale, in primo grado per prostituzione minorile, sotto processo per corruzione di giudici e politici, considerato un «clown» da mezza stampa mondiale. E questi dicono a quelli «vergognatevi!». «Sublime» l’ha definito Piano, a ragione.
Nella logica sotto-culturale del berlusconismo il tutto, s’intende, non fa una piega. Se Berlusconi vincerà ancora, probabilmente avremo una via di Palermo intitolata a Vittorio Mangano, eroe. E se il capo mandamento di Porta Nuova e killer della mafia è un eroe, ne consegue che un premio Nobel debba vergognarsi, e noi con lui. L’odio viscerale dei berluscones per chiunque si ostini a onorare il nome dell’Italia nel mondo è del resto antico quanto il berlusconismo. Prima di Rubbia e Piano, il bersaglio preferito degli strali dei cortigiani di re Silvio era Rita Levi Montalcini, anche lei macchiata da un premio Nobel. «Una vecchia rimbambita », «le porteremo le stampelle a casa» (Storace), «è molto meglio Scilipoti di quella là» (Bossi). La gloria scientifica, in effetti, rischia di rovinare all’estero la solida fama degli italiani come puttanieri, mafiosi, frodatori del fisco e corrotti, che per fortuna altri personaggi pubblici continuano a tenere ben alta e con malcelata fierezza.
È questo disprezzo per l’eccellenza ad animare il livore sempiterno dei berluscones. Naturalmente poi bisogna cercare un pretesto. In questo caso si sono scagliati contro le troppe assenze dei senatori a vita, che pure in media sono stati presenti alle votazioni del Senato molto più del loro beneamato leader Berlusconi. Il quale, peraltro, non ha neppure l’alibi di essere impegnato in studi cruciali per il futuro dell’umanità come Rubbia, o di avere una dozzina di cantieri aperti in tre o quattro continenti, come Piano. Per quanto, certo, il bunga bunga prenda un sacco di tempo e di energie.
Il rovesciamento della realtà e dei valori è del resto tanto più efficace quanto più è radicale e insistito. Con l’aiuto dei talk show siamo, infatti, l’unica nazione nella storia della democrazia che sta discutendo da mesi se è proprio il caso di interdire dalle cariche pubbliche un delinquente. Si tratta del capolavoro finale dell’egemonia culturale berlusconiana di un intero ventennio. La totale perdita di senso delle parole.
“VERGOGNA”, secondo il dizionario italiano, “è il turbamento o il timore che si provano per azioni sconvenienti, indecenti, indecorose che sono o possono essere causa di disonore e rimprovero”. Ma è evidente che ormai lo Zingarelli, così come la Costituzione, è vecchio e va riscritto.


 

mercoledì 27 novembre 2013

Senato della Repubblica Italiana - 27 novembre 2013 - Decadenza di Berlusconi, il discorso di Paola Taverna (M5S)

"Si chiude, oggi, impietosamente, una "storia italiana": segnata dal fallimento politico, dall'imbarbarimento morale, etico e civile della Nazione e da una pesantissima storia criminale. Storie che si intrecciano, maledettamente, ai danni di un Paese sfinito e che riconducono ad un preciso soggetto, con un preciso nome e cognome: Silvio Berlusconi. La sua lunga e folgorante carriera l'abbiamo già ricordata in passato: un percorso umano e politico costellato di contatti e rapporti mai veramente chiariti con la Mafia, passando per società occulte, P2, corruzione in atti giudiziari, corruzione semplice, concussione, falsa testimonianza, finanziamento illecito, falso in bilancio, frode fiscale, corruzione di senatori, induzione alla prostituzione, sfruttamento della prostituzione e prostituzione minorile. Insomma un delinquente abituale, recidivo e dedito al crimine, anche organizzato, visti i suoi sodali. Forse alcuni hanno dimenticato che la sua "discesa in campo" ha avuto soprattutto, per non dire esclusivamente, ragioni imprenditoriali: la situazione della Fininvest nei primi anni novanta, con più di 5 mila miliardi di debiti, parlava fin troppo chiaro. Le elezioni politiche del 1994 hanno segnato l'inizio di una carriera parlamentare ILLEGITTIMA, sulla base della violazione di una legge vigente sin dal '57, la 361, secondo la quale Silvio Berlusconi era ed è palesemente ineleggibile. Quella legge che non è mai stata applicata, benché fosse chiarissima, grazie alla complicità del Centro-Sinistra di D'Alemiana e Violantiana memoria. Per non parlare dell'eterna promessa, mai mantenuta, di risolvere il conflitto di interessi. Questa è storia. Due mesi fa abbiamo visto diversi Ministri, in suo nome, presentare le dimissioni, dando inizio al siparietto della prima crisi di un Governo nato precario. Per non parlare della legge di Stabilità che giaceva ormai da settimane nella V Commissione, in totale spregio di quanto previsto dalla procedura. Ieri ne abbiamo visto la triste conclusione: fiducia... fiducia verso chi e verso cosa? Lo vogliamo dire agli italiani che la legge che dovrebbe assicurare i conti, ma soprattutto garantire la ripartenza economica del nostro paese, la sua "stabilità" appunto, è stata svilita e degradata a semplice espediente dilatorio per farle guadagnare qualche altro giorno in carica? Vogliamo ricordar loro, inoltre, i due bei regali che riceverà a spese di tutti noi contribuenti? Assegno di "solidarietà" pari a circa 180.000 euro. Assegno vitalizio, circa a 8.000 euro al mese. C'è bisogno poi di ricordare perché ancora oggi qualcuno, nonostante l'evidenza dei fatti, nonostante una sentenza passata in giudicato, voglia un voto, uno stramaledetto voto, per applicare una legge? Questo Senato, poi, sentirà una enorme mancanza dell'operato parlamentare del Signor Berlusconi. Dall'inizio della legislatura, i dati dimostrano la sua dedizione al lavoro in questa istituzione; dimostrano la passione con cui ha interpretato il proprio mandato nell'interesse del Paese. Disegni di legge presentati: zero! Emendamenti presentati: zero! Ordini del giorno presentati: zero! Interrogazioni: zero! Interpellanze: zero! Mozioni: zero! Risoluzioni: zero! Interventi in Aula: uno, il 2 ottobre, per annunciare la fiducia al Governo! Interventi in Commissione: zero! Presenze in Aula: 0,01%! Di cosa stiamo discutendo quindi? Della decadenza dalla carica di Senatore di un personaggio che il suo mandato non lo ha mai, neppur lontanamente, svolto. Di un signore che però ha puntualmente portato a Palazzo Grazioli e ad Arcore ben 16 mila euro al mese! Per non fare assolutamente nulla, se non godere dell'immunità parlamentare. Lei è stato il Presidente del Consiglio che ha mantenuto per più tempo la carica di Governo e che ha disposto della più ampia maggioranza parlamentare della storia. Un immenso potere, svilito e addomesticato esclusivamente ai propri fini, cioè architettare reati e incrementare il suo personale patrimonio economico. Quante cose avrebbe potuto fare per questo nostro Paese, se solo avesse anteposto il bene comune ai suoi interessi personali? Dopo tutto questo tempo ci ritroviamo con la disoccupazione giovanile al 40%, pensionati a 400 euro mensili, nessun diritto alla salute, nessun diritto all'istruzione, un territorio devastato dalle Alpi alla Sicilia, le nostre città sommerse dalle piogge e le nostre campagne avvelenate... era il 1997 quando Schiavone veniva a denunciare dove erano stati riversati quintali di rifiuti tossici... lo stesso anno in cui questo Stato decise di segretare tali informazioni. E tutto ciò con l'Iva al 22 % e un carico fiscale che si conferma il più alto d'Europa, pari al 65,8% dei profitti commerciali... e gli imprenditori che si suicidano per disperazione. Spesso nemmeno per i debiti... ma per i crediti non pagati dalla pubblica amministrazione, cioè dallo STATO stesso! Speravate che ci saremmo arresi. Che, per l'ennesima volta, ci saremmo abbandonati ai due mali più terribili dell'Italia. La rassegnazione e il fatalismo. Beh, vi sbagliavate. Ci avete costretti ad entrare nelle istituzioni per combattere quella che non è solo la nostra battaglia, ma è la battaglia di tutti i cittadini onesti. Una battaglia che prima di essere politica è soprattutto ETICA. Stiamo cominciando a raggiungere il nostro scopo: riportare nella politica trasparenza e legalità. La classe partitica italiana è stata costretta a votare la legge Severino, ponendo qualche “paletto” alla candidabilità degli improponibili: si poteva e si doveva fare meglio. Ma è già un segnale. Si è tentato di dichiararla anticostituzionale per non applicarla a una persona che si ritiene al di sopra della giustizia. Ma il MoVimento 5 Stelle ha tenuto altissima l'attenzione dell'opinione pubblica, spingendo anche le altre forze politiche a reagire per non essere travolte dall'indignazione popolare. La nostra presenza in quest'aula, oggi, rappresenta un solo, semplice concetto: non vogliamo chiamarci politici ma restituire il potere ai cittadini. Signor Berlusconi accetti la decadenza o rassegni le sue dimissioni! Questa non è una vendetta. Qui non c'è nessuna ingiustizia o persecuzione. La sua immagine per noi è già piccola, sfuocata e lontana. È già passato. E qui ci sono solo cittadini italiani che vogliono riprendersi il proprio presente. Perché altrimenti non avranno più un futuro." Paola Taverna 


giovedì 21 novembre 2013

I MONITI DI RE GIORGIO E LA STORIA DI UN GOVERNO SUDDITO DEL COLLE (Carlo Tecce)



ECCO COME “RE GIORGIO” NAPOLITANO, TRA DICHIARAZIONI PUBBLICHE E INCONTRI PRIVATI, HA CONDIZIONATO LE SCELTE DI PALAZZO CHIGI, DEL PARLAMENTO E DELLE SEGRETERIE

Spifferi e moniti del Quirinale, incontri pubblici e privati. Ecco come il presidente della Repubblica ha commissariato governo e partiti. E protetto, da polemiche e scandali, i ministri Alfano e Cancellieri.

L’agenda Letta fabbricata al Quirinale - 20 maggio 2013
“Il presidente della Repubblica ha ricevuto nel pomeriggio il ministro per le Riforme costituzionali, Gaetano Quagliariello, con i presidenti delle Commissioni Affari costituzionali dei due rami del Parlamento, Anna Finocchiaro e Francesco Paolo Sisto. L’incontro ha consentito di verificare la comune volontà di avviare senza indugio e di portare avanti in Parlamento un processo di puntuali modifiche costituzionali relative ad aspetti dell’ordinamento della Repubblica che richiedono di essere adeguati a esigenze da tempo individuate di un più lineare ed efficace funzionamento dei poteri dello Stato”. Napolitano osserva la nascita del governo di Enrico Letta come se fosse, e nei fatti è, un’estensione del Quirinale. L’investitura includeva un programma da eseguire in 18 mesi (al massimo) e, soprattutto, la riforma costituzionale che passa attraverso la modifica dell’articolo 138, la cassaforte della Carta: tempi più rapidi per il presidenzialismo. In più di un’occasione, in pubblico con gli ormai famosi moniti e in privato con riunioni con i capi di partito (spesso democratici), Napolitano ha aumentato le pressioni su Parlamento e Palazzo Chigi. Il 2 di giugno ripeteva: “Vigilerò”. Il 3 giugno Napolitano fa sapere che il governo con un decreto vuole nominare una commissione di saggi per il riassetto costituzionale, precisa che “la composizione dell’organo è discrezione di Palazzo Chigi”. Ma l’appunto ufficiale ricorda che il Quirinale aveva già nominato dei saggi che possono tornare utili anche a Letta (suggerimento accolto). E il 23 ottobre, dopo aver rimproverato Matteo Renzi sulla legge elettorale, arringa: “Il fuoco di sbarramento non ci fermerà”.

Vietata la caccia ai caccia F-35 - 3 luglio 2013
Miliardi e armamenti. Scrive l’Ansa: “Il presidente della Repubblica, in piena sintonia con il governo e i ministri interessati, in una complessa nota ha spiegato come ‘tale facoltà del Parlamento non può tradursi in un diritto di veto su decisioni operative e provvedimenti tecnici che, per loro natura, rientrano tra le responsabilità costituzionali dell’Esecutivo’”.
A cosa si riferisce la “complessa nota”? A una commessa da decine di miliardi di euro che mezzo Parlamento vuole disdire, quella dei fragili (lo dicono svariate perizie di svariati eserciti) caccia F-35. Spesso il Quirinale consiglia al potere legislativo dove, come e quando agire. In questa circostanza, il presidente della Repubblica, capo delle Forze Armate, ammonisce deputati e senatori: la decisione spetta al governo. Che coincide con la decisione del Colle.

La benedizione a Elkann per Rcs - 4 luglio 2013
La casa editrice Rcs soffre un faticoso aumento di capitale, mentre i debiti sono fuori controllo . La Fiat aumenta le quote in Rcs e John Elkann, presidente di Fiat, fa sapere di aver telefonato a Giorgio Napolitano per comunicare la quota di azioni raddoppiata al 20%. Il Quirinale non smentisce e non richiama alla discrezione. Il socio Diego Della Valle s’infuria: “Una cosa da Istituto Luce”.

Lo scudo kazako per Angelino Alfano  - 18 luglio 2013
“Dico che anche, ma non solo, per dei ministri è assai delicato e azzardato evocare responsabilità oggettive, ovvero consustanziali alla carica che si ricopre”. Da una settimana l’Italia s’indigna per l’espulsione notturna, misteriosa e per tanti disumana, di Alma Shalabayeva, moglie di un dissidente kazako, e di una bambina di 7 anni, la figlia Alua. Alfano, ministro degli Interni, liquida uno scandalo internazionale con un pilatesco “non mi avevano informato”. Le notizie rincorrono anche la Farnesina e il ministro Emma Bonino. Così Napolitano interviene e, con un paio di frasi, salva Alfano, Bonino e Letta.

Cavaliere: grazia sì grazia no  - 1 agosto 2013
“Ritengo e auspico che possano ora aprirsi condizioni più favorevoli per l’esame, in Parlamento, di quei problemi relativi all’amministrazione della giustizia, già efficacemente prospettati nella relazione del gruppo di lavoro da me istituito il 30 marzo scorso”.
Non sono trascorse neanche due ore dal dispositivo in Cassazione letto dal giudice Esposito: Berlusconi, condannato a quattro anni per frode fiscale Mediaset. Il Quirinale detta una nota alle agenzie per sottolineare la reazione composta del Cavaliere e, come se fosse uno scambio, per evocare l’ennesima riforma, stavolta della giustizia. A Berlusconi non serve più a nulla. E così, il 13 agosto, il Colle illustra all’ex premier come chiedere la grazia. E lo rassicura: “A proposito della sentenza passata in giudicato, va innanzitutto ribadito che la normativa vigente esclude che Berlusconi debba espiare in carcere la pena detentiva irrogatagli e sancisce precise alternative, che possono essere modulate tenendo conto delle esigenze del caso concreto”. B. opterà per i servizi sociali.

Fuori tutti: amnistia e indulto  - 28 settembre 2013
Da Poggioreale: “Pongo al Parlamento un interrogativo: se esso ritenga di prendere in considerazione la necessità di un provvedimento di clemenza, di indulto e di amnistia”.
Le carceri italiane sono in condizioni pietose, ma anziché rivedere i termini di custodia cautelare e numerose leggi che rendono troppo affollati i penitenziari – come vorrebbe gran parte del Pd – Napolitano ‘propone’ il palliativo. Per un casuale gioco d’incastri, chissà se voluto, il provvedimento favorirebbe anche il condannato Berlusconi, imputato in altri processi. Il Parlamento non è entusiasta, protesta il Movimento Cinque Stelle e Napolitano li accusa: “Se ne fregano del Pa e s e”. Quando Renzi manifesta le sue perplessità, e si dice contrario, il presidente cerca di convincerlo con una telefonata.

La ministra dei Ligresti non si tocca  - 18 novembre 2013
“Il presidente della Repubblica ha apprezzato la chiarezza e il rigore delle decisioni e delle precisazioni venute dalla Procura di Torino”. Mancano due giorni al voto a Montecitorio sulla mozione di sfiducia al ministro Anna Maria Cancellieri, un pezzo del Pd vuole le dimissioni. La Procura di Torino, nel trasferire gli atti ai magistrati competenti di Roma, non iscrive la Cancellieri nel registro degli indagati per una questione tecnica, e non di merito. Ma dal Colle arriva la segnalazione al governo: la faccenda è chiusa, la Cancellieri (in quota Quirinale) resta dov’è. Lo stesso Letta sarà costretto a immolarsi davanti all’assemblea del Pd, che si allinea.



PASTICCIO DOROTEO (Massimo Giannini)



Come i peggiori azzeccagarbugli della Prima Repubblica, hanno provato a sopire la vicenda Cancellieri con un pasticcio doroteo. Un compromesso al ribasso che, a dispetto delle apparenze, ammacca ulteriormente la credibilità della politica e intacca irrimediabilmente la stabilità del governo. Ma com’era ovvio anche questo tentativo fallisce. Tre minuti dopo il voto della Camera, dalla Procura di Milano arrivano i verbali imbarazzanti di un interrogatorio di Salvatore Ligresti. E così, proprio nel giorno in cui si doveva chiudere, il caso riesplode in tutta la sua gravità. E la cortina fumogena, generosamente profusa dai palazzi romani, non può più nasconderlo.
La bocciatura della mozione grillina non è una convinta fiducia riconfermata a un ministro inattaccabile, ma una sofferta «non sfiducia » concessa a un ministro ricattabile. Nella battaglia di Via Arenula escono tutti sconfitti. E tutti ugualmente consapevoli che la guerra non è affatto finita, ma semmai è appena cominciata. Esce sconfitto il ministro della Giustizia. Annamaria Cancellieri continua a negare ogni evidenza. Continua a ripetere un’arringa difensiva che non cambia mai, nonostante le palesi incongruenze emerse dall’incrocio tra gli atti giudiziari e le spiegazioni fornite ai magistrati, al Parlamento e ai giornali.
Continua a gridare indignata la sua correttezza politica di Guardasigilli, che non ha mai violato le regole e non ha mai mentito a nessuno, e la sua rettitudine morale di donna, che sul caso di Giulia Ligresti ha agito sempre e solo per spirito umanitario. Ma continua a non capire che quelle sue telefonate con i parenti di Don Salvatore, prima smentite e poi ammesse con mille ambiguità, l’hanno marchiata a fuoco. Continua a non comprendere che quei suoi rapporti intimi e oggettivamente preferenziali con la famiglia di Paternò ne hanno vulnerato per sempre l’immagine personale e il profilo funzionale. Continua a non realizzare che il suo «scandalo » non attiene al codice penale (almeno fino a prova contraria), ma a un codice etico al quale si risponde sempre e comunque, se si hanno davvero a cuore le istituzioni e la loro onorabilità. Questa onorabilità, piaccia o no, è stata scalfita agli occhi dell’opinione pubblica. Per questo il Guardasigilli doveva e dovrebbe dimettersi, invece di restare al suo posto in un ruolo che aveva detto di non voler mai accettare: quello di un ministro «dimezzato». Ora lo è, a tutti gli effetti.
E lo è, a maggior ragione, dopo la lettura dell’interrogatorio di Don Salvatore, che ai pm di Milano dice testualmente: «Mi feci latore, presso Silvio Berlusconi, del desiderio dell’allora Prefetto Cancellieri che era in scadenza a Parma e preferiva rimanere in quella sede anziché cambiare destinazione ». Il ministro smentisce con sdegno anche questa circostanza. Ma il quadro d’insieme che emerge tra Torino e Milano ripropone interrogativi inquietanti sui rapporti tra i Peluso-Cancellieri e i Ligresti. Tutto — compresa la vicenda del figlio del Guardasigilli, assunto e poi fuggito da Fonsai dopo averne scoperchiato il buco da 1 miliardo — sembra alimentare i sospetti sull’esistenza di una qualche «obbligazione » che lega le due famiglie, e che il ministro si sente in dovere di «saldare». È sempre più difficile, in queste condizioni, raccontarsi al Paese e alle Camere come «una persona libera», che non ha «contratto debiti di riconoscenza verso nessuno ».
Esce sconfitto il presidente del Consiglio. Enrico Letta, qualunque cosa accada, continua a parlare di «governo più forte». Lo ha fatto la scorsa settimana, dopo la diaspora berlusconiana che ha scisso in laboratorio le due destre per coprire sul mercato elettorale sia la domanda moderata sia quella esagitata. Lo fa oggi, dopo una blindatura della Cancellieri incomprensibile (se non in virtù dell’alto patronato quirinalizio sul Guardasigilli). Per ottenerla, il premier ha imposto un teorema presentato come indimostrabile: sfiduciare quel ministro vuol dire sfiduciare il governo. Perché mai? A questa domanda non c’è risposta. «Respingere l’assalto del Movimento 5Stelle» non lo è, perché proprio per evitare l’ordalia pentastellata la Cancellieri avrebbe dovuto esser costretta a dimettersi prima del voto sulla mozione. Letta non l’ha fatto, o non c’è riuscito. Il risultato è che ora ha in squadra un’anatra zoppa sulla quale continuano a volteggiare falchi e avvoltoi, convinti che l’affare Ligresti promette altri sviluppi.
Esce sconfitto il Pd. In tutte le sue «anime». Da una parte c’era Matteo Renzi,che aveva trasformato il caso Cancellieri in un atto fondativo, quasi un «battesimo del fuoco» per la sua leadership nascente. La richiesta irrevocabile di dimissioni, per il futuro segretario del partito, serviva a lanciare due messaggi molto precisi. Il primo proiettato all’esterno: forte novità «culturale», per affermare i valori della moralità e del cambiamento profondamente avvertiti dagli elettori e dagli iscritti. Il secondo rivolto all’interno: chiara discontinuità «strutturale», per ridefinire subito i rapporti di forza con il resto del partito, il presidente del Consiglio e perfino il presidente della Repubblica. Alla fine, per disciplina, per responsabilità, per realpolitik, il candidato leader ha dovuto suo malgrado piegarsi al teorema di Letta. Gli resta appuntata sul petto un’onorificenza: quella di aver combattuto la buona e giusta battaglia. Ma la battaglia l’ha persa comunque, anche lui.
Dall’altra parte c’era il resto del partito, che pur di nondare partita vinta al Gianburrasca fiorentino si è schierato a prescindere con Letta e la Cancellieri (la vecchia guardia dei «resistenti» guidati da D’Alema) o ha finito per ingoiare il boccone indigesto della «non-sfiducia » al Guardasigilli (la nouvelle vague incarnata da Cuperlo e Civati). In mezzo c’era il segretario pro-tempore Guglielmo Epifani, che stavolta si è dimostrato decisamente al di sotto del ruolo. Il suo discorso alla Camera è stato rinunciatario e contraddittorio: ha rilanciato tutte le critiche alla Cancellieri, salvo poi confermarle la fiducia e suggerirle addirittura, quasi come grottesca «espiazione», l’apertura di un call center per i carcerati non «eccellenti» come i Ligresti.
Escono sconfitti i soliti berlusconiani di complemento (l’intervento di Renato Brunetta, tuttora esponente di un partito di maggioranza, grondava di futili rancori contro il premier e di inutili livori contro il Pd) e i soliti grillini da combattimento (la scenata dei telefonini che squillano nell’emiciclo è degna di un’assemblea di condominio, non di un’aula parlamentare). Ed esce sconfitta persino la magistratura: resta un rebus il comportamento della Procura di Torino, che annuncia con tanto di comunicato «il ministro Cancellieri non è indagato», ma al tempo stesso invia gli atti alla Procura di Roma per «i necessari, ulteriori approfondimenti». Delle due l’una: se non c’erano profili penali da chiarire, nella posizione del Guardasigilli, l’inchiesta andava archiviata. Se invece c’erano, allora la Cancellieri andava indagata (fermo restando il problema della competenza territoriale). I magistrati torinesi, sorprendentemente, non hanno fatto né l’una né l’altra scelta.
Alla fine, nella disfatta complessiva del sistema, l’unica ad aver prevalso è la ragion di Stato. La Cancellieri resta al suo posto, perché questo è deciso e perché questo serve per garantire la «stabilità». Una scelta miope, e sbagliata due volte. La prima, perché la stabilità coincide ormai sempre più spesso con l’immobilismo. La seconda, perché come dimostrano le nuove carte della Procura di Milano la mina Cancellieri è tutt’altro che disinnescata. Stupisce che a non capirlo, ancora una volta, sia proprio il Partito democratico. Rimasto ormai quasi solo a tenere sulle spalle il governo delle Intese sempre meno Larghe, ma sempre più Pesanti.


 

martedì 19 novembre 2013

La farsa e i pupari in sottana. Tutti d’accordo: Napolitano, Letta, Alfano, Berlusconi, con la benedizione di Ruini


Sabato sera ho acceso la tv e ho trovato la diretta della farsa del Pdl che ritorna FI con il delinquente che pontifica e alla fine fa finta anche di svenire per dare un tocco thrilleresco con partecipazione del veterano che adduce rhum per dare «corpo» visibile alla sceneggiata del dolore. Ci siamo abituati al marchiapone. Quando il delinquente corrotto, finto emozionato, ha detto di non dire che il figlioccio (nel senso mafioso) Al Fano è un traditore perché è «uno dei nostri gruppi», mi si è spalancata la visione come fossi a Lourdes e ho capito. Ho capito che la farsa era avanspettacolo ed era stato tutto studiato a tavolino come da copione, magari al Quirinale. Ecco la scena da cui si potrebbe trarre la trama di un film da Cetto La Qualunque VII.

Napolinano vuole che il governo vada avanti. Serve Letta Nipote, campione d’immobilismo (sta fermo anche quando dice che sta agganciando la ripresa), Berlusconi non può più stare al governo senza perdere la faccia, ma nemmeno lui vuole che cada il governo Letta, nipote di ziuccio. Se dovesse cadere dove lo trova un altro governo così ricattabile come questo? (vedi Ici, Imu, Tuc, Cancellieri, ecc.). Come fare? Basta trovare la quadra.

Tutti d’accordo, mentre sorseggiano una grolla di grappa alla puttanesca, decidono la strategia vincente, quella che permetterà di salvare i cavoli di Berlusconi, le capre del Quirinale, l’immobilismo del governo e anche il semestre bianco della Ue che spetta all’Italia. Prendete carta e penna e scrivete perché la strategia è un metodo che può venirvi bene a casa, con la moglie, con il marito, con i figli, con l’amante, sul lavoro, ecc. ecc.

All’unanimità Quirinale, Governo, Pdl-FI, Pd, Berlusconi, Letta, Al Fano ed ecclesiastici in servizio permanente decidono per scelta oculata e pensata:

1. Berlusconi si dimette dal governo, così può stare all’opposizione e cominciare la campagna elettorale europea e nazionale e continuare a dare degli «assassini» al Pd che incassa e ringrazia.

2. Al Fano è ben felice di immolarsi per il padrone a cui ha «dato tutto», più della vita e quindi accetta di fare la finta scissione, restando, infatti, fedele al capo che difenderà al governo con le unghie e con i denti e lotterà contro la decadenza del ladro delinquente, cioè sta al governo per conto di B. contro il Pd.

3. Letta può stare al governo, a patto che non faccia nulla, eccetto che aumentare i premi di produzione per i dirigenti di Palazzo Chigi con cifre astronomiche; ma non era quello che doveva tagliare gli sprechi e tutta quella roba lì? Dà dei bonus a chi deve fare il proprio dovere per fare il proprio dovere: è il massimo della democristianità berlusconista.

4. Il re Giorgio II, il Monitore da Gazzetta Ufficiale, può portare avanti il suo disegno incostituzionale e ormai fuori di ogni grazia di Dio, di riforma della Costituzione con il grande spirito delle grandi e larghe praterie, Quagliarelloquaglia, fottendosene ormai di tutto perché a 90 anni è al di là e al di qua della Costituzione come del Bene e del Male e meno male che trova il tempo per monitare i cattivi che trattano male le donne o le uccidono. Signore, a tutto c’è un limite!

5. Il Pd tira un sospiro di sollievo perché così può portare avanti l’avanspettacolo delle finte primarie perché lo sanno tutti che la maggior parte delle tessere o sono di morti, o sono di vivi morti o sono di morti che non riescono proprio a vivere o sono di delinquenti e mafiosi che sono la vera anima del Pd post Prodi. Il quale Prodi, l’unico onesto che hanno segato con gusto e determinazione, anzi con goduria, con la sua scelta di non prendere la tessera e di non andare a votare alle primarie, ha posto la croce di requiem sul partito che non c’è. Il Pd è un fantasma a servizio permanente ed effettivo di Berlusconi Silvio, sempre pronto col cappello in mano e sempre adeguato al ricatto. Prodi era troppo pulito per i loro zozzi gusti.

In questo modo facendo finta che vi sia stata una scissione nel Pdl, drammatizzata in tutte le tv che presentavano Al Fano come uno Statista, tipo Mandela, novello De Gaspari, non solo sono tutti salvi, ma si salva anche Berlusconi che così ha tempo ed energie, medico al seguito, per prepararsi a farli morire tutti. E’ il grande inganno del 2013, la tredicesima, quattordicesima e quindicesima messe insieme.

No, non riusciranno a succhiarmi un’oncia di cervello e mi difenderò con ogni mezzo dalle loro trame di illegali, immorali, indecenti, incostituzionali, antidemocratici. Hanno fatto una cosa illegale, simile a chi si separa per finta per intestarsi anche la seconda casa come prima. Molti oggi divorziano, senza divorziare, per motivi fiscali e patrimoniali. Non avrei mai immaginato che potesse farlo un presidente della repubblica che ripudio, un presidente del consiglio dei ministri, che ripudio e i loro compari delinquenti, compagni di delinquenti, mafiosi e cattolici.

Il retroscena

Entrando un po’ dentro gli eventi, scopro che i fautori della finta «scissione» da Berlusconi sono quasi tutti «cattolici», con qualche escrescenza di contorno: Cicchitto (P2), Saccomanni, cattolico perché già socialista craxiano. Al Fano, Formigoni, Lupi, Mauro, Lorenzin, Di Gerolamo, Giovanardi (ah! Beato chi ha un Giovanardi tra le costole, non avrà mai male di schiena), et similia. O meglio, costoro dicono di essere «cattolici», ma non lo sono. Come può essere cattolico un Formigoni o peggio uno Schifani che è ancora indagato per Mafia? Beh, mi direte che mafia e religione sono sempre andati a braccetto. Ed è vero! Non basterà un Francesco anche papa a salvare il grano dal loglio.

Tornando a bomba, ma ci siamo dentro fino al collo, pare che la «scissione» sia stata voluta da Ruini, da parte della Cei e spezzoni del Vaticano che mal sopportano papa Francesco che ha dato ordini di non volere ingerenze nelle politiche dei Paesi e dei partiti. Costoro infatti, tramano nell’ombra e come sicari si muovono rasenti i muri, in silenzio, travestiti per la «maggior gloria di Dio».

La Cei e il Vaticano non hanno rinunciato al sogno dell’unità politica dei cattolici, cioè quelli che sono pronti a ubbidire per spartirsi il potere e la carogna che resterà dell’Italia e ci provano ogni volta, anche contro la logica, la grammatica, la sintassi e anche contro la Storia. Non demordono mai, perché pensano di essere al di sopra di Dio, il quale Dio se vuole mantenere il posto a tempo indeterminato deve ubbidire a loro, miscredenti e pagani senza ritegno e senza scrupoli. Dio è lo strumento del loro potere.

Ecco come è nata la santa scissione che mantiene le mani libere a Berlusconi e inguaia il Pd perché una parte, quella che resterà delusa, si aggregherà al «Nuovo Centro Destra», nome che prova che non ci credono nemmeno loro. Resta l’amara conclusione che in Italia chi comanda è sempre una sottana di prete che fa e disfa pretendendo anche l’inchino e il baciapiede da governo e collaterali.

Un mio amico di Siracusa, Aurelio Caliri, mi informa che a Lampedusa durante un tg abbia detto: «Una scena orribile che spero la Divina Provvidenza abbia fatto verificare per fare aprire gli occhi all’Europa». Se questo scempio deve essere detto da un cattolico, protetto dagli eminentissimi cardinali, allora voglio essere ateo, miscredente, agnostico e altro ancora. Come si fa a dire una bestialità del genere, sufficiente per una scomunica nella debita forma? Siamo in mano di questa gentaglia qua, che dice l’ignominia di una gravità inaudita. Nessun prete ha risposto.

Papa Francesco? Poveretto, ce la mette tutta, ma presso di lui la «scissione» è già riuscita: lui fa il papa delle folle e quelli tramano incontri, fanno piani di guerra, disegnano strategie elettorali perché il gioco non è la veste bianca, per giunta povera, ma il cuore dello Stato italiano che deve diventare l’espressione visibile del Regno di Dio – pardon! – del regno ecclesiastico. La loro forza è nel fatto che il papa non consoce la situazione italiana.

Papa Francesco domenica 17 novembre 2013 ha fatto cilecca e mi dispiace: si è messo a propagandare la «misericordina», la scatoletta fatta dai polacchi più retrogradi: dentro c’è un par di santini e un rosario. Una volta, Ernesto Calindri beveva un Cynar nel gorgheggio del traffico «contro il logorio della vita moderna», oggi se non c’è di meglio, abbiamo la «misericordina» made in Polsky. Ah! Cecco, Cecco! Non è così che si riforma la Chiesa.

don Paolo Farinella (La Repubblica/MicroMega - 19 novembre 2013)