Banca locale o del territorio: realtà o illusione?
(Daniele Corsini)
Le grandi banche da qualche tempo dichiarano di voler tornare sul territorio e per dare corpo alle intenzioni stendono piani che prevedono radicali mutamenti nelle loro configurazioni organizzative. Con una inversione di tendenza rispetto a pochi anni fa quando andava di moda la banca di sistema, esse si stanno riposizionando sui mercati più piccoli riducendo centinaia di inutili sportelli, elefantiache società strumentali, migliaia di dipendenti ed esternalizzando numerose attività di back office.
In sostanza, per corrispondere più efficacemente alla domanda di credito dei mercati locali, il decentramento decisionale dovrebbe prendere rapidamente il posto dell'accentramento fino a poco tempo fa perseguito con assoluta determinazione e, in qualche caso, anche oltre ogni ragionevole senso del limite. Dopo gli obiettivi di gigantismo inseguiti per molti anni da qualificatissimi manager, bisogna interrogarsi se questa inversione di rotta possa essere veramente realizzabile dai nuovi vertici aziendali messi da poco a capo delle maggiori banche.
Soprattutto ci si deve chiedere se detta inversione possa realizzarsi in un lasso di tempo consono con le crescenti esigenze di finanziamento dell'economia reale, oramai prossima all'asfissia da mancanza di crediti. Il dubbio e' legittimo, se non altro per la rilevanza degli ostacoli che dovranno essere superati in tema di riposizionamento e downsizing della rete distributiva e di riduzione del personale, al punto che la portata dei problemi da affrontare viene, sempre più spesso, assimilata ad un vero e proprio processo di riconversione industriale, pertanto ad elevata complessità strategica, gestionale ed operativa.
Sono questi piani industriali o di rilancio percorribili e soprattutto credibili?
Tralasciamo le variabili macroeconomiche prese in considerazione - di per sè, soprattutto in questi tempi, opinabili e soggettive - e concentriamoci maggiormente sul modello di banca che si ha in mente quando si disegnano scenari nel tempo.
L’analisi di alcuni di questi piani, talvolta acriticamente ripresi dalla stampa specializzata, non lasciano intravvedere una chiara filosofia di fondo, cosa che, per certi versi, è preoccupante. Due i target principali che si assegnano le grandi banche: la banca on line con il parziale superamento della rete degli sportelli e un modello di produttività che passa, secondo un gergo che si va affermando, da volumi (dell’intermediazione) a un modello di produttività da
servizi. Vi è quindi l’evoluzione verso logiche di affari maggiormente fee based e di conseguenza una maggiore produzione di commissioni richieste alla clientela.
Due le principali e stridenti contraddizioni che ci sembrano non sottolineate in modo adeguato: il ritorno a dinamiche di sviluppo locali nelle intenzioni delle grandi banche non corrisponde a maggiori finanziamenti dell’economia locale; l’affermarsi della banca on line implica una drastica riduzione delle commissioni sui servizi di pagamento, sul risparmio gestito ecc., esattamente il contrario di quanto auspicato come una manna dal cielo nei progetti di cui sopra.
Un esempio tratto dalla relazione del Governatore della Banca d'Italia di quest’anno (p.280) e riferito ai servizi di pagamento dimostra chiaramente le tendenze in atto, anche nel mercato italiano del retail, di una sostanziale riduzione man mano che ci sposta dalla carta all’elettronica.
Commissioni applicate alla clientela sui principali servizi di pagamento (importi in euro)
VOCI 2010 2011
Bonifico disposto con modalità tradizionali 2,80 3,10
Bonifico disposto via internet 0,64 0,55
Addebito Diretto 0,64 0,70
Disposizione di incasso (preautoriz.) 1,21 1,03
Prelievo da ATM (incl. stessa banca) 0,19 0,27
Incasso con carta POS 0,82 0,82
Diversa e' storicamente la condizione del sistema delle banche locali, che, nomen-omen, sul territorio ci sono sempre state, anche se stanno pagando un prezzo progressivamente elevato in termini di sopravvivenza.
Due dati, tratti dalla relazione della dr.ssa Annamaria Tarantola “sul credito cooperativo del domani” del dicembre di un anno fa, fanno da sfondo alle dinamiche di sviluppo di queste Banche e ne condizionano pesantemente il futuro. A fine 2011 i comuni nei quali era presente almeno uno sportello di una BCC erano circa 2.700 e le BCC, che rappresentano poco più del 5 per cento dei fondi intermediati del sistema bancario, hanno ben il 13 per cento degli sportelli del sistema.
Ciò fa scorgere una elevata concentrazione territoriale delle aziende della specie cosa che pone seri dubbi quando si parla di fusioni per risolvere i loro numerosi problemi; insomma, un capillare presidio del territorio, è, ormai, diventato costosissimo.
Se sono le grandi banche a chiudere gli sportelli figuriamoci quanto impellente lo stesso problema sia per le BCC che evidentemente hanno una produttività per sportello inferiore al 50% della media del sistema.
Il risultato finale di queste logiche di impresa – a prescindere dai seri problemi della qualità del credito e della liquidità – si traduce in costi operativi che nel 2011 sono stati pari al margine di interesse (4 miliardi di euro), con un utile netto complessivo di appena 312 milioni di euro, cioè pari, per le 411 BCC italiane, a meno di un milione procapite, secondo quanto esposto nella Relazione del Governatore e nella Relazione al Parlamento e al Governo della Banca d’Italia di quest’anno.
Se si tratta di tendenze non solo congiunturali, è di tutta evidenza che la struttura dell’intermediazione per queste banche territoriali si avvia a un triste epilogo.
Per le BCC si tratta dunque di impostare correttivi forse più drastici e impopolari, ma non meno coraggiosi delle altre banche italiane, necessari comunque ad ammodernarne, ineludibilmente, il ruolo.
Essi attengono a:
a) riqualificazione delle politiche creditizie in favore del credito a breve alle imprese del proprio mercato di riferimento;
b) miglioramento del governo societario, da nettare soprattutto dai rischi, purtroppo più diffusi che in passato, di conflitto di interesse degli esponenti con la banca da essi amministrata;
c) rivisitazione della macchina operativa aziendale in direzione di una maggiore efficienza, con soluzioni tecnologico/organizzative adeguate tanto al controllo dei costi, quanto al fabbisogno di servizi bancari più qualificati espresso anche dalla clientela dei mercati minori.
Questi fattori debbono essere considerati dalle banche locali oltre che singolarmente, soprattutto nelle loro interconnessioni ed essere assecondati da strategie di funding più complesse, ma, anche, più attente ai rischi (di scadenza e di tasso) di quelle finora perseguite, al fine di rendere meno stringenti i vincoli derivanti dalla attuale situazione generale dei mercati finanziari.
1. Riposizionamento del business creditizio della banca locale.
Che, nel primo decennio del secolo, vi sia stato, anche da parte della banca locale, un’eccessiva propensione al finanziamento al settore edilizio e immobiliare, e' cosa purtroppo nota.
La tendenza ha riguardato sia il comparto residenziale che quello industriale; il progressivo appesantirsi della situazione ha portato ad allungamento delle scadenze dei crediti, alla rimodulazione dei tassi, alla acquisizione di maggiori garanzie. Gli effetti di irrigidimento degli attivi sono ben visibili nei bilanci delle banche e non sembrano modificabili a breve. La struttura delle scadenze e' fortemente allungata e non deve trarre in inganno la quota, ancora alta, dei conti correnti attivi sul totale dei crediti, fenomeno che spesso nasconde ulteriori e improprie proroghe al rimborso. La fase attuale vede i mutui ancora protagonisti, essendo la loro caduta alla base della decelerazione degli impieghi.
Dare maggiore impulso ai crediti a breve e' quindi necessario per vari motivi: dallo sviluppo del business, alla esigenza di allineare le scadenze tra attivo e passivo, relativamente al quale le difficoltà di raccolta spingono ad accrescere la quota a breve, da attirare a tassi crescenti. Come cogliere dunque opportunità di sviluppo, intercettando la domanda di credito delle pmi, dalla cui attività dipendono le sorti economiche dei territori e in definitiva quelle delle banche?
1.1 Banche locali e imprese del territorio
Riteniamo che, per le banche locali, quattro siano le prospettive da vagliare attentamente.
La prima e' di ordine generale e attiene alla rivisitazione del portafoglio dei crediti commerciali. La ripresa di questa tipologia di crediti, oltre a una maggiore flessibilità finanziaria della relazione creditizia, porta con sé benefici indotti, quali la migliore conoscenza delle condizioni attuali e prospettiche del cliente, la possibilità di estendere i rapporti alle sue controparti commerciali, i maggiori flussi operativi che generano commissioni economiche. All'obiezione che il mercato della carta commerciale offre margini ridotti di convenienza, dato
che su di esso si esercita la maggiore pressione concorrenziale tra le banche affidanti, si deve provare a rispondere che, ove correttamente valutato il rischio delle operazioni autoliquidantesi, una maggiore dimensione delle quantità trattate può rendere ancora conveniente, anche in via prospettica, il rapporto.
Un secondo punto riguarda l'espansione da imprimere ai crediti all’esportazione.
Al momento, l'export e' uno dei pochi aspetti positivi della congiuntura e costituisce un tradizionale terreno di attività della media impresa italiana, vero motore di ripresa e sviluppo. Le banche locali debbono aprire (o riaprire) questi canali, impiantando strutture più professionalizzate specie sulle piazze in cui più alta e' la propensione ad esportare, ivi comprese quelle aree dove si svolgono attività complementari (spedizionieri, infrastrutture di trasporto via mare e via terra, servizi). Corsi professionalizzanti intensivi possono rapidamente riallineare le conoscenze tecniche del personale addetto per svolgere le più ricorrenti tipologie di operazioni con l'estero, in un contesto di contenuta rischiosità.
Terzo aspetto: non tutti i settori versano nella stessa condizione congiunturale e non tutte le aziende di settori in crisi sono in situazione di debolezza. Vi sono settori virtuosi e imprese virtuose in misura superiore rispetto a quanto un diffuso pessimismo ci vorrebbe far credere. Investire sulla conoscenza del territorio, cogliendone meglio le dinamiche consentirebbe di uscire da un patrimonio di informazioni che va rivitalizzato e aggiornato, essendo stato forse trascurato dalle energie informative assorbite dal comparto edilizio/immobiliare.
L'invito e' di riesaminare il contesto generale nel quale la banca opera, acquisendo più sistematicamente informazioni da interpretare secondo tecniche di valutazione dei rischi creditizi più elaborate e complesse.
Strumenti direzionali adeguati anche sotto il profilo informatico sono disponibili e di pronta applicazione. Settori che stanno mostrando maggiore tenuta sono, solo a titolo esemplificativo, quelli delle pelli e del cuoio, della meccanica, del bio-medicale e dell'agroalimentare. Nei loro riguardi non mancano opportunità in termini di finanziamento di specifici comparti produttivi, di singole fasi della produzione, di rapporti con il mercato interno ed estero. Si tratta di provare a scegliere, di riprendere attitudini al finanziamento del ciclo produttivo e, subito di seguito, degli investimenti.
Anche un diverso approccio alla dimensione dell'impresa da finanziare (ed e' il quarto punto di questa breve disamina) può aiutare a rivitalizzare la politica creditizia della banca locale, alla quale e' di solito associata, come controparte, la piccola e piccolissima impresa, nei confronti della quale si è in grado di meglio misurare rischi ed esercitare potere contrattuale.
Spostarsi sulla media impresa e' considerato, dalla banca locale, un obiettivo non sempre alla propria portata. L'obiezione da muovere a questo comportamento rinunciatario e' di aver promosso solo raramente iniziative incomune tra banche dello stesso territorio, mediante operazioni in pool, nelle quali rischi e redditività dei finanziamenti possono essere positivamente gestiti anche nei confronti della media impresa. Negli ultimi tempi quest'ultima ha sofferto forse più di altre della minore disponibilità di credito della grande banca, andando alla ricerca di nuove prospettive creditizie che la portino a considerare anche relazioni con le banche più piccole. Occorre essere preparati con soluzioni adeguate e una più marcata disponibilità ad associarsi può far agire vantaggiosamente molte banche locali, conservando la relazione banca impresa su un terreno di prudenza, di trasparenza e di reciproco interesse.
C’è anche chi pensa di utilizzare i margini economici generati dalle operazioni con la BCE, cosiddette LTRO, riducendo le condizioni sugli impieghi alla clientela.
1.2 Le micro relazioni creditizie
Queste attività sono riconducibili al micro credito e alla micro finanza e debbono essere viste come possibilità di relazioni creditizie per sviluppare un nuovo business da parte della banca locale, tenendo presente fabbisogni dei prenditori più piccoli, ma soprattutto trovando soluzioni alla esclusione finanziaria di fasce crescenti di popolazione. Pensiamo quindi alla promozione di nuovi intermediari a minore assorbimento di capitale, che possano vedere la partecipazione di banche locali, magari in unione con soggetti pubblici e privati sensibili al degrado delle condizioni sociali di parti delle comunità da esse servite. Scopo ultimo di queste iniziative, se si esclude l'aspetto meramente assistenziale, e' quello del progressivo inserimento (o reinserimento) di queste fasce di prenditori in relazioni bancarie soggette a requisiti più stringenti.
In sintesi, quali sono le condizioni per poter perseguire rinnovate politiche creditizie, mantenendo i requisiti di banca locale? La prima motivazione e' la consapevolezza che altre scelte siano, al momento, difficilmente praticabili, stanti le prospettive in materia di riduzione dei consumi interni e l'ancor lungo periodo che ci separa dal rilancio dell'edilizia.
La seconda e' che si può continuare a essere banca locale soltanto se si accresce il grado di integrazione con il proprio territorio, sostenendo le attività produttive, vero legame economico/sociale che tiene insieme le comunità, con nuove relazioni di clientela. In campo più specifico, occorre investire in nuovi processi sia decisionali sia tecnici relativamente alla attività “core” del credito. Ad alcune riflessioni su questi ultimi aspetti sono dedicati i paragrafi che seguono.
1.3 Gestione delle posizioni creditizie immobilizzate
La pesantezza del mercato immobiliare residenziale e, soprattutto corporate, e' comune a grandi e piccoli intermediari. I primi tentativi di alleggerire la situazione viene dalla costituzione di fondi immobiliari chiusi che raccolgano cespiti provenienti da garanzie creditizie. Ad essi possono utilmente aggiungersi acquisti di crediti immobilizzati, in tutte le fasi del recupero da quello stragiudiziale fino alle aste, cui viene fatta partecipare una società immobiliare partecipata alla banca per rilevare gli immobili. Strumenti come quelli succintamente richiamati sono alla portata anche delle banche minori, specie se si uniscono in forme di joint venture, ad esempio partecipando ad un fondo ad esse riservato.
L'obiettivo e' di evitare le perdite, anche rilevanti, che sicuramente si avrebbero in caso di recupero forzoso, spostando in avanti il momento di reimmissione del cespite su un mercato ora assai asfittico.
La proposta e' quindi quella di una maggiore diffusione di veicoli della specie che vedono finora poche esperienze concrete ed offrirebbero opportunità di aggregazione per una gestione avente masse di manovra sufficienti ad assicurare la convenienza economica delle operazioni, alle quali potrebbero partecipare anche altri intermediari finanziari alla ricerca di occasioni di investimento in una prospettiva di medio termine.
A parere di chi scrive, iniziative come queste dovrebbero essere messe in campo il più rapidamente possibile, dato che l'appesantimento degli attivi impedisce una politica di espansione creditizia, ricomponendo il portafoglio verso impieghi a più breve durata, connessi con le esigenze di finanziamento del ciclo produttivo.
2. Governance della banca locale: questioni irrisolte e bisogno di cambiamento nei processi decisionali
La governance della banca locale presenta ampie aree di miglioramento, se si osservano le cause delle sempre più frequenti crisi bancarie dei soggetti di minore dimensione.
Si notano infatti tre fenomeni: gli squilibri a) toccano le aziende più grandi, b) insediate in regioni sviluppate del territorio italiano e c) vedono spesso nel conflitto di interesse le loro ragioni ultime.
A prescindere da queste situazioni di forte patologia, nel governo societario della banca locale vi e' comunque necessità di cambiamenti essenziali dei processi decisionali.
Due sono i problemi essenziali che solo marginalmente sono stati risolti da una serie di interventi promossi negli ultimi anni.
Il primo è la nuova governance che ha portato gran parte delle BCC ad adottare il nuovo statuto tipo e il secondo è connesso con la costituzione, su base volontaria, di un Fondo di garanzia istituzionale, del quale la Banca d’Italia ha approvato lo Statuto verso la fine del 2011.
Si tratta di azioni importanti, ma non decisive in quanto la cause di numerosi dissesti o situazioni critiche delle BCC sono da ricollegare all’eccessiva concentrazione degli impieghi nei confronti di pochi soggetti, talvolta riconducibili direttamente o indirettamente a esponenti aziendali.
Se le BCC non si (auto)imporranno limiti molto selettivi e anche più restrittivi rispetto alla regolamentazione, appena varata, sulle parti correlate, le questioni connesse al rischio di controparte saranno sempre emblematicamente devastanti per i fragili equilibri di queste banche. Al rischio di concentrazione fa da naturale antidoto l'ampliamento del mercato, sfruttandole opportunità già presenti nelle proprie tradizionali aree operative, quali servizi di pagamento per l'impresa e per il consumatore finale, servizi fiduciari e di trustee, gestione di
patrimoni mobiliari per la clientela effettuati con l'ausilio di intermediari specializzati e affidabili, per tenere sotto controllo i rischi finanziari, nonché quelli legali e di immagine. Vedere nell'ampliamento dell'offerta un modo per migliorare il governo societario e' la sfida in direzione di una rinnovata attitudine al ruolo da svolgere sul territorio.
Sempre in tema di governance, si devono assicurare e, in concreto, far rispettare regole di avvicendamento dei vertici più severe e programmate, stabilendo un numero massimo di mandati per gli esponenti e l'obbligo di inserire gradualmente, ma sistematicamente, nuove professionalità. Il tasso di ricambio va in uno con le aspettative di rinnovamento del governo societario, cui, in fin dei conti, tutto si rapporta e si definisce.
Strumenti evoluti di "misurazione" della governance per individuare i migliori interventi necessari per riequilibrare eventuali scompensi verso una gestione eccessivamente accentrata (caso più ricorrente negli assetti societari della banca minore), ovvero eccessivamente assembleare sono disponibili e costituiscono punti di riferimento molto utili. Bisogna iniziare ad utilizzare questi schemi analitici con più frequenza.
Gli equilibri di governance sono poi essenziali per conferire efficacia al sistema dei controlli interni, destinato a restare pressoché formale ove i poteri essenziali sono incentrati su pochi punti, quando non su uno soltanto, della struttura aziendale. Governance e controlli sono facce inscindibili della stessa moneta, in rapporto quasi simbiotico.
La banca minore dovrebbe interrogarsi più spesso e con modalità più approfondite sulla adeguatezza della propria governance, anche in termini di stabilità dell'impresa, di recente messa in crisi da penetranti e inattesi interventi dell'Organo di vigilanza o addirittura della magistratura che, azzerando i vertici, hanno imposto soluzioni di discontinuità non più rinviabili.
3. Adeguamento della macchina operativa della banca locale: tra aumento dei servizi offerti, crescita dell'efficienza e utilizzo della variabile tecnologica
Negli ultimi anni, la banca locale ha investito poco nell'ampliamento dei servizi offerti sul proprio territorio, o, in taluni casi, ha addirittura ridotto l'offerta concentrandosi su una gamma di attività addirittura più ristrette rispetto a qualche decennio addietro: leggi, prevalentemente credito alle costruzioni e raccolta obbligazionaria. Come già detto, la situazione generale ha decretato la fine di questo modello di sviluppo. Altre opportunità di business vanno perseguite, pena la progressiva uscita di scena.
Posto che al centro di tutto deve essere posta la politica del credito opportunamente reindirizzata ai fabbisogni del territorio, altre tipologie di servizi debbono arricchire l'offerta bancaria anche dei soggetti minori che va decisamente orientata allo sfruttamento dell’informatica e della tecnologia.
Per un campione di principali gruppi bancari italiani si dispone dei costi connessi all’IT e ciò è molto utile per indirizzare anche le BCC verso un uso più consapevole e attento degli investimenti in tecnologia. Proseguendo un trend che dura da qualche anno, anche nel 2010 l’andamento dei costi IT, ha registrato una riduzione, seppure significativamente inferiore rispetto a quella dell’anno passato. La diminuzione rispetto al 2009 è stata del 6,4%,
attestandosi i costi a 3.799 milioni di euro.
ANDAMENTO TCO PER I PRINCIPALI GRUPPI BANCARI ITALIANI 1
2007 4,7
2008 4,8
2009 4,0
2010 3,8
2011 3,9 (previsioni)
1 Il TCO ovvero il total cost of ownership è l’insieme di costi correnti e ammortamenti e include le svalutazioni riferite ai costi dell’IT. Fonte: CIPA 2010 Rilevazione economica, dati in miliardi di euro
La diminuzione del TCO segnala la minore tendenza agli investimenti e quindi è di per sé fattore negativo nella attuale congiuntura, che richiede di reingegnerizzare interi processi, soprattutto quelli che gestiscono i rapporti con la clientela, ancora improntati massicciamente sulla presenza diretta degli utenti allo sportello per molte operazioni.
Il remote banking non ha ancora preso piede nella misura che la tecnologia consente da anni e si e' poco diffuso a causa di insufficienti iniziative per la sua incentivazione. La possibilità di unirvi l'utilizzo della firma digitale, inserita nel nostro ordinamento giuridico da più di quindici anni, non e' stata ancora colta come occasione di rapidità, sicurezza, economicità delle transazioni, venendo preferiti processi ad alto impiego di lavoro, quasi a voler mostrare la fisicità della banca (sportelli, personale, clientela nei saloni) come elemento di affermazione sul mercato. I costi sono così andati fuori controllo, perdendo anche la possibilità di agganciarvi misure di produttività, che oltre a essere rimasta generalmente bassa e fortemente dispersa intorno alla media, vede, come già detto, le banche minori in condizione di svantaggio assoluto rispetto alle altre.
Un punto centrale per riorganizzare secondo logiche industriali il settore del credito cooperativo è di poter disporre di simili informazioni così da modulare in modo concreto gli eventuali risparmi di costo connessi a interventi sulla macchina infrastrutturale, impegnata su pochi e qualificanti aspetti quali l'effettività della continuità operativa, la diffusione del remote banking, la maggiore integrazione delle procedure di front e di back office e dei controlli interni ai vari livelli di funzionalità.
Riteniamo che l'outsourcing, come modalità di ricorso all'acquisizione di servizi da operatori specializzati, sia una irrinunciabile scelta funzionale.
Tra questi chi propone un'offerta plurima e integrata di queste attività, centrandole sulla funzione informatica per estenderle alla formazione del personale, all'internal audit, alla consulenza, ai pagamenti, etc vada preferito, perché assoggetta i servizi proposti alle informazioni quantitative prodotte dal proprio sistema, con comprensibili vantaggi in termini di efficacia, efficienza e sicurezza.
4. Politiche di funding
La recessione in corso, la crisi del debito sovrano e le difficoltà incontrate dalle banche sui mercati della provvista all’ingrosso hanno influito sulla dinamica e sulla composizione dei depositi anche per le BCC. Inoltre, le operazioni di finanza straordinaria della BCE nella prima parte del 2012 hanno arginato solo momentaneamente le esigenze di liquidità delle BCC, che devono evitare di impostare su queste facilitazioni operazioni a leva ad alto rischio, soprattutto nel caso in cui si dovessero, per ragioni diverse e improvvise, smontare.
A dispetto infatti della vocazione locale, il funding di queste banche soffre oggi di tutte le distorsioni che patiscono le banche italiane delle politiche nel settore.
La raccolta bancaria si suddivide, infatti, in due segmenti principali. Il primo è quello all’ingrosso realizzato attraverso l’emissione di obbligazioni destinate anche ai mercati internazionali e il secondo fa riferimento alla clientela retail, essenzialmente le famiglie residenti ove le banche operano. Ora, in entrambi i casi, nel 2011 si è registrata una situazione di difficoltà, poiché i conti correnti sono aumentati di appena un miliardo di euro (da 67 a 68 mentre nel biennio precedente erano aumentati di quasi 14 miliardi) e le obbligazioni si sono ridotte di circa 500 milioni (più 13 miliardi nel biennio precedente).
Le due parti più stabili della raccolta iniziano quindi a dare appariscenti segni di cedimento, facendo emergere l’urgenza di politiche settoriali volte a fidelizzare quanto più possibile la clientela.
I tassi sono in aumento. La forma tecnica del conto di deposito può consentire qualche opportunità di aumento della raccolta seguendo l'esempio delle grandi banche, ma essendo pronti a offerte a particolari condizioni soltanto di breve durata e pronti a correggere subito il tiro, se gli effetti sul margine di interesse si rivelano insostenibili.
Un contributo può venire dai conti di pagamento, non remunerati, che possono accogliere giacenze, che sommate insieme possono rappresentare cifre di qualche entità.
Bisogna, poi, provare a rivolgersi a segmenti di clientela che occupano posizioni più elevate nella scala ricchezza finanziaria, con servizi complementari, come quelli fiduciari o di gestione dei patrimoni, già ricordati, facendosi assistere, in nome della prudenza, da consulenze e professionalità ben selezionate, con prestazioni sistematicamente tenute sotto controllo.
Infine, se vi sono attivi di buona qualità, le banche locali possono farsi ancora arrangiare operazioni di cartolarizzazione multioriginator, che, se gestite con estrema attenzione ai costi, contribuiscono alla acquisizione di mezzi finanziari aggiuntivi, in condizioni di convenienza economica.
5. Conclusioni
L’accumulo di problemi maturati negli anni è tale che è meglio non illudersi per le sorti future delle banche locali, se non drasticamente riposizionate sul territorio. Dalla breve rassegna che ne abbiamo fatto emergono criticità su tutti i profili tecnici ed organizzativi della gestione, ragione per la quale per essere “banca del territorio” non e' sufficiente “essere sul territorio”, ma avere politiche coerenti con i bisogni del proprio mercato di riferimento, sempre commisurate alle proprie dimensioni e quindi ai rischi da assumere.
Una via di uscita dall’attuale situazione di stallo è quella di tentare una politica di sistema, ricercando nuove sinergie in aree ottimali di territorio che sembrano sempre più coincidere con la regione, rinunciando ad aggregazioni su base nazionale che sul fronte tecnico dell'offerta di servizi organizzativi non sembrano più garantire i vantaggi delle economie di scala tanto sbandierati negli anni scorsi. Le difficoltà di mediare tra esigenze diverse sono sempre più evidenti e tamponate di volta in volta con provvedimenti di ripiego piuttosto che
essere frutto di scelte strategiche approfondite e condivise. Il grado di aggregazione, fondato su un associazionismo non rigeneratosi nel tempo, ispiratosi pressoché esclusivamente ad obiettivi dimensionali della categoria, si va sfaldando, acuendo la situazione di fondo, per cui affrontare gli aspetti del retail banking in una ottica completamente rinnovata, e' argomento
indispensabile per nuovi progetti in ordine alla banca locale cooperativa.
E dunque i piani industriali non hanno, per esempio, più senso a livello di singola banca, ma vanno analiticamente considerati all’interno di progetti di ristrutturazione di dimensione più ampia per aree omogenee del territorio.
L’altro aspetto è l’assetto societario delle singole o principali BCC – soprattutto di quelle in crisi - anch'esso da ricondurre al tema della adeguatezza delle strutture federative e dei rispettivi organi di vertice che allo stato appaiono quasi di ostacolo alla modernizzazione del settore.
2 Questi due tasselli che riguardano la banca come impresa ci sembrano imprescindibili per avviare una seria riflessione sul mondo che le BCC immaginano domani, evitando - per dirla con D’Annunzio sempre più infatuato di Ermione - di farsi illudere dalle belle favole.
2 Quanto alle altre tipologie di Banche (popolari, spa, casse di risparmio non inserite i n gruppi) sussiste il problema di
essere assistite da provider di servizi, per evitare il rischio di isolamento.
E’ poco accettabile vedere ancora operatori di piccola dimensione che gestiscono in proprio centri elettronici,
infrastrutture che richiedono una crescente attenzione e l’esigenza di non diventare fattori di costo sempre più
pesanti.
Anche altri servizi, in primis quelli di pagamento, vanno acquistati all’esterno da fornitori specializzati per avere
garanzia di qualità e concentrarsi di più, con il proprio personale, sul business bancario. L’outsourcer, con un’offerta
ampia ed integrata di servizi incentrata sulla tecnologia dell’innovazione, sembra essere la risposta più adeguata ai
problemi delle banche locali. Ciò è possibile senza inseguire progetti improntati sulla sola dimensione, ma abbinando
meglio le economie di scopo per una efficiente risposta ai bisogni delle Banche del territorio
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