Vero: i politici di casa nostra hanno una faccia di bronzo che potrebbe essere usata per lo scampanìo di Pasqua. Ma è anche vero che i cittadini italiani soffrono di amnesia per gli eventi che non li toccano personalmente: un po’ di indignazione, due o tre giorni di proteste e poi ricominciano a lamentarsi dell’eccessivo peso fiscale.
L’azione sinergica del bronzo e dell’assenza di memoria fa sì che la classe politica italiana sia, giustappunto, quella che Renzi
vuole rottamare (va detto: senza convincenti sostituzioni e senza
garanzie che, al posto del bronzo, ci sia solo più una grottesca
maschera veneziana). Tutti sanno che il problema è resistere
(lo aveva già detto Borrelli): qualche giorno, un paio di settimane,
nei casi gravi un mesetto; e poi – come un’oca che sbuca dall’acqua più
asciutta di prima – niente dimissioni, si ricomincia.
Abbiamo un presidente della Repubblica
che manteneva frequenti rapporti con un imputato di falsa testimonianza
in un processo che, se l’accusa fosse fondata, ferirebbe a morte i
sopravvissuti della classe dirigente dell’epoca, tutta
gente saldamente ancorata alla roccia del potere. Attenzione: che
l’accusa sia fondata o no non ha nessuna importanza; un presidente della
Repubblica non può avere amicizia con indagati, imputati, condannati;
men che meno per reati quali quello ascritto a Mancino.
Abbiamo un ministro dell’Interno
che ha permesso (perché ha collaborato attivamente, perché ha omesso di
intervenire, perché ha trascurato di sorvegliare quello che succedeva
nel suo ministero; non importa, è lo stesso) un sequestro di persona
eseguito sul territorio italiano da emissari di una potenza straniera
(come si dice nei film di spionaggio) e organizzato da un ambasciatore
impadronitosi dei locali e delle strutture del ministero.
Abbiamo un ministro della Giustizia
che mantiene rapporti di stretta amicizia con una famiglia di
imprenditori il cui patriarca è stato condannato (nel 1992; erano già
amici) a 2 anni e 4 mesi di prigione per il reato di corruzione. Che è
arrestato insieme ai figli per un colossale falso in bilancio. Che,
invece di spiegare ai suoi amici (magari con tristezza) che un pubblico
funzionario (nel 1992 era prefetto) ovvero un ministro (come è ora) non
può mantenere rapporti con persone che hanno problemi (gravissimi, non
si tratta di una guida senza patente) con la giustizia, si mette a
disposizione per “tutto quello che può fare ”. Che qualcosa (non
penalmente rilevante allo stato della legislazione attuale)
effettivamente fa. E che si giustifica dicendo che non ha mai fatto
pressioni sulla magistratura. Che dunque non si rende conto che il
problema non sono le pressioni non fatte (ci mancherebbe altro) ma la deviazione dei pubblici poteri di cui è investita.
Di Napolitano e di Alfano
non si parla più. Napolitano è stato eletto una seconda volta
presidente ed è osannato come salvatore della Patria. Alfano si prepara a
incassare il consenso degli pseudo moderati che, con B. al potere,
erano onorati di fargli da tappetino della doccia. Di Cancellieri,
tra un mese, nessuno ricorderà gli abusi commessi. Sicché c’è poco da
scandalizzarsi: la mutua assistenza tra le facce di bronzo riposa
sul-l’impunità garantita dall’amnesia dei cittadini.
Alla fine provo un po’ di pena per B.
Di lui si continua a ricordare tutto. Un capro espiatorio per ripulire
la coscienza del popolo. Che, come ai tempi delle indulgenze plenarie
(ma ci sono ancora?), è pronto a ricominciare. Nel nostro caso, a
dimenticare.
Bruno Tinti (Il Fatto Quotidiano, 8 Novembre 2013)
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