Siamo a un passaggio critico, tra diversi tipi e modelli di democrazia
rappresentativa. Tra diversi tipi e modelli di partito. E tra diversi
tipi e modelli di comunicazione e di opinione pubblica. D'altronde, la
relazione fra partiti, opinione pubblica e democrazia è molto stretta.
Quasi inestricabile. Ebbene, oggi assistiamo a trasformazioni profonde,
che coinvolgono i principi del modello di democrazia rappresentativa
dominante - da molti anni. Mi riferisco alla "democrazia del pubblico",
come l'ha definita Bernard Manin. Un modello che, ormai da vent'anni, ha
superato e sostituito la "democrazia dei partiti" (di massa). Nella
"democrazia del pubblico", com'è noto, i partiti tendono a
personalizzarsi, anzi, diventano macchine al servizio delle persone.
Perlopiù, di "una" persona. L'ideologia e l'identità declinano, a favore
della fiducia (nella persona). La partecipazione sociale e
l'organizzazione sul territorio vengono rimpiazzate, progressivamente,
dalla comunicazione. In particolare: dalla televisione. I leader e i
partiti, di conseguenza, per conquistare gli elettori, coltivano
l'immagine e curano il linguaggio. E si servono, per questo, di
professionisti di marketing politico e di sondaggi. Così, i cittadini
diventano "pubblico", spettatori. Entità demoscopiche da intervistare e
analizzare. E il voto diventa (più) fluido.
In Italia questo modello ha assunto formato e caratteri del tutto diversi rispetto ad altrove. Per la discesa in campo di Silvio Berlusconi. Imprenditore mediatico - ma anche pubblicitario - dominante, non solo su base nazionale. Tutti l'hanno imitato, a modo loro e con le risorse di cui disponevano (o "non" disponevano). Hanno, cioè, inseguito la personalizzazione, la mediatizzazione, il marketing. Per alimentare la "fiducia" - e dunque l'audience - del pubblico. Non a caso il Centrosinistra, che ha radici nei partiti di massa, , è sempre rimasto piuttosto "impersonale". E, in un'arena di partiti personalizzati oppure personali, si dimostrato, per questo, poco competitivo.
In questa fase, tuttavia, la "democrazia del pubblico" sta cambiando in fretta. E mostra molti segni di logoramento. Perché i suoi stessi elementi costitutivi appaiono in rapida e profonda trasformazione. Sulla spinta, davvero violenta, della crisi economica, che ha lacerato i legami con le istituzioni e con gli attori politici, ma anche fra le persone. Peraltro, lo spazio della politica è divenuto un campo dove si confrontano partiti senza società e, dunque, leader senza partiti. In rapporto diretto con il pubblico attraverso la televisione. Così, il legame di fiducia fra leader, partiti e società si è consumato. E la crisi economica l'ha logorato ulteriormente. Il marketing politico e la comunicazione hanno, di conseguenza, cambiato segno, elaborando messaggi e immagini centrati non più sulla fiducia, ma nel suo opposto. La sfiducia verso gli altri - leader, partiti, politici...
Da ciò, l'onda populista del nostro tempo, che rovescia la "sfiducia popolare" contro i leader politici. I quali, a loro volta, si rivolgono, direttamente, al "popolo" indistinto, in modo diretto e im-mediato. O meglio, mediato dai media. E lo arringano. Aizzano il popolo, meglio, il "pubblico" contro gli altri leader. Contro i "politici". Dunque, anche contro se stessi, alimentando un gioco a somma negativa, che investe l'intero sistema politico e dei partiti. L'intera democrazia rappresentativa.
Tuttavia, la "democrazia del pubblico" è stata coinvolta e trasformata anche dall'irrompere e dal diffondersi della Rete. Da Internet e i Social Media, usati, in modo crescente, come canali di comunicazione e di partecipazione politica.
La rete, infatti, è tra i fattori di successo delle mobilitazioni che hanno investito numerose aree, ben oltre l'Europa: gli USA e, negli ultimi anni, il Nord Africa. Con effetti "rivoluzionari" (come nelle Primavere Arabe). In Italia, la rete ha permesso ai nuovi movimenti di "organizzarsi", con risultati rilevanti, nell'ultimo decennio. Inoltre, ha fornito le basi per l'affermazione di Grillo e del M5S, negli ultimi anni.
I "nuovi media", in particolare, hanno permesso a esperienze locali e sociali periferiche di connettersi, al di fuori del controllo "verticale" dei soggetti politici e dei media tradizionali. Hanno favorito, inoltre, il coinvolgimento e l'intervento diretto, a livello soggettivo, di un'area ampia di persone. Per questo, la rete ha costituito il riferimento per un modello diverso e alternativo di partecipazione politica. Ma anche di democrazia. In nome della dis-intermediazione. Contro i "corpi intermedi". E, quindi, in nome della democrazia diretta. Rivendicata, esplicitamente, da Grillo come argomento polemico "contro" i partiti, il parlamento. Attori e istituzioni della democrazia rappresentativa. E, ancora, contro giornali e giornalisti. Tutti coloro che pretendono di parlare, informare, decidere "per conto" e "al posto" dei cittadini.
Tuttavia, la Rete, la partecipazione attraverso i Social Media non ha rimpiazzato del tutto i media tradizionali e, in particolare, la televisione. Soprattutto in ambito politico. Lo abbiamo potuto verificare anche alle elezioni recenti. Per alcune ragioni evidenti.
Anzitutto, la Rete è accessibile e frequentata da un'area crescente di persone, ma c'è ancora un settore ampio che ne resta fuori. Pari quasi a metà della popolazione. In particolare, un quarto degli elettori si informa "soltanto" attraverso la televisione. Così, per "vincere" le elezioni oppure per conquistare un consenso largo intorno a un progetto, un problema, un'iniziativa occorre, comunque, andare "oltre" la Rete. Usare la televisione.
La televisione, inoltre, continua a dettare gli standard dell'immagine e del linguaggio. Comunque, i Social Media, Twitter, Facebook dialogano in contatto costante con i media tradizionali. Per prima la tivù. E viceversa. Una convergenza espressa dalla Social TV. Alle ultime elezioni, il maggiore traffico di tweet è avvenuto in occasione della presenza di Berlusconi a Servizio Pubblico, ospite di Santoro e di Travaglio. D'altronde, twitter è utilizzato soprattutto dalla cerchia degli opinion maker. Per fare e scambiare opinioni, appunto.
Lo stesso rapporto fra Grillo e la televisione risulta, quantomeno, ambivalente. Perché Grillo è molto presente in tivù, anche se non ci va direttamente. I suoi comizi, i video del suo blog: entrano direttamente nel circuito televisivo. Perché la sua presenza fa audience.
Peraltro, attraverso la Rete vengono promosse manifestazioni e mobilitazioni tradizionali, nelle piazze e nelle strade. Come ai tempi dei partiti di massa. Con la differenza che oggi si trasferiscono immediatamente sui media tradizionali. In tivù, sui giornali. Com'è avvenuto e avviene nelle iniziative organizzate da Grillo e dal M5S.
Per questo ci troviamo di fronte a una comunicazione politica "ibrida", che scavalca i confini tra Rete, tv, giornali, tra nuovi e vecchi media. E li incrocia, reciprocamente. Secondo una "logica" che Andrew Chadwick - e prima ancora Nestor Canclini, in prospettiva antropologica - hanno spiegato in modo chiaro.
Quel che è certo, è che la Rete e i suoi attori hanno modificato le forme della partecipazione e della democrazia, accentuando e orientando le principali spinte "oltre" la democrazia del pubblico. Perché, di certo, la Rete ha dato voce all'insoddisfazione popolare, ne ha amplificato i toni, allargato i confini. Non solo, ma ha fornito canali e spazio alle manifestazioni di protesta direttamente rivolte "contro" le istituzioni e gli attori della democrazia rappresentativa. Partiti e politici, per primi. Si pensi alla protesta dei "forconi". Ancora: ha rafforzato le logiche e le azioni di "contro-democrazia", per echeggiare la definizione di Pierre Rosanvallon. Volte, cioè, a controllare e a contrastare, se necessario, i centri di governo e di decisione, in nome di una democrazia fondata sulla "sfiducia nel potere".
Per questo conviene parlare di "democrazia ibrida". Perché sta trasformando in profondità i tratti del modello precedente. La democrazia del pubblico. Di cui si riconoscono ancora i principali elementi, ma sensibilmente ridisegnati. Perlopiù, in negativo.
I partiti, per primi, si trasformano in anti-partiti. O in non-partiti. Antagonisti dei partiti in quanto tali.
Al posto dei leader, si affermano gli anti-leader. Antagonisti rispetto a tutti i partiti e ai dirigenti di partito, come Grillo. Che agiscono e re-agiscono attraverso mobilitazioni - sociali e mediatiche come i V-Day. Oppure "rottamatori", come Renzi, legittimati dal rito di massa delle primarie.
Nel complesso, oggi i leader sono imprenditori politici che utilizzano la sfiducia, più che della fiducia. Perché la sfiducia è la principale risorsa del consenso. In nome di un cambiamento radicale che investe i partiti dall'interno oppure dall'esterno.
La "democrazia ibrida" che stiamo attraversando denuncia la crisi della democrazia rappresentativa. Apertamente sfidata dalla democrazia diretta. E propone una miscela di elementi vecchi e nuovi, che si combinano a fatica. Così che diventa difficile capire e vedere quel che succederà domani.
Il testo propone alcuni fra i principali passaggi della Lectio Magistralis, dal titolo "Democrazia ibrida", tenuta da Ilvo Diamanti in occasione del Convegno annuale dell'Associazione di Comunicazione Politica e della rivista ComPol (Università degli Studi di Milano, 12-13 dicembre 2013)
In Italia questo modello ha assunto formato e caratteri del tutto diversi rispetto ad altrove. Per la discesa in campo di Silvio Berlusconi. Imprenditore mediatico - ma anche pubblicitario - dominante, non solo su base nazionale. Tutti l'hanno imitato, a modo loro e con le risorse di cui disponevano (o "non" disponevano). Hanno, cioè, inseguito la personalizzazione, la mediatizzazione, il marketing. Per alimentare la "fiducia" - e dunque l'audience - del pubblico. Non a caso il Centrosinistra, che ha radici nei partiti di massa, , è sempre rimasto piuttosto "impersonale". E, in un'arena di partiti personalizzati oppure personali, si dimostrato, per questo, poco competitivo.
In questa fase, tuttavia, la "democrazia del pubblico" sta cambiando in fretta. E mostra molti segni di logoramento. Perché i suoi stessi elementi costitutivi appaiono in rapida e profonda trasformazione. Sulla spinta, davvero violenta, della crisi economica, che ha lacerato i legami con le istituzioni e con gli attori politici, ma anche fra le persone. Peraltro, lo spazio della politica è divenuto un campo dove si confrontano partiti senza società e, dunque, leader senza partiti. In rapporto diretto con il pubblico attraverso la televisione. Così, il legame di fiducia fra leader, partiti e società si è consumato. E la crisi economica l'ha logorato ulteriormente. Il marketing politico e la comunicazione hanno, di conseguenza, cambiato segno, elaborando messaggi e immagini centrati non più sulla fiducia, ma nel suo opposto. La sfiducia verso gli altri - leader, partiti, politici...
Da ciò, l'onda populista del nostro tempo, che rovescia la "sfiducia popolare" contro i leader politici. I quali, a loro volta, si rivolgono, direttamente, al "popolo" indistinto, in modo diretto e im-mediato. O meglio, mediato dai media. E lo arringano. Aizzano il popolo, meglio, il "pubblico" contro gli altri leader. Contro i "politici". Dunque, anche contro se stessi, alimentando un gioco a somma negativa, che investe l'intero sistema politico e dei partiti. L'intera democrazia rappresentativa.
Tuttavia, la "democrazia del pubblico" è stata coinvolta e trasformata anche dall'irrompere e dal diffondersi della Rete. Da Internet e i Social Media, usati, in modo crescente, come canali di comunicazione e di partecipazione politica.
La rete, infatti, è tra i fattori di successo delle mobilitazioni che hanno investito numerose aree, ben oltre l'Europa: gli USA e, negli ultimi anni, il Nord Africa. Con effetti "rivoluzionari" (come nelle Primavere Arabe). In Italia, la rete ha permesso ai nuovi movimenti di "organizzarsi", con risultati rilevanti, nell'ultimo decennio. Inoltre, ha fornito le basi per l'affermazione di Grillo e del M5S, negli ultimi anni.
I "nuovi media", in particolare, hanno permesso a esperienze locali e sociali periferiche di connettersi, al di fuori del controllo "verticale" dei soggetti politici e dei media tradizionali. Hanno favorito, inoltre, il coinvolgimento e l'intervento diretto, a livello soggettivo, di un'area ampia di persone. Per questo, la rete ha costituito il riferimento per un modello diverso e alternativo di partecipazione politica. Ma anche di democrazia. In nome della dis-intermediazione. Contro i "corpi intermedi". E, quindi, in nome della democrazia diretta. Rivendicata, esplicitamente, da Grillo come argomento polemico "contro" i partiti, il parlamento. Attori e istituzioni della democrazia rappresentativa. E, ancora, contro giornali e giornalisti. Tutti coloro che pretendono di parlare, informare, decidere "per conto" e "al posto" dei cittadini.
Tuttavia, la Rete, la partecipazione attraverso i Social Media non ha rimpiazzato del tutto i media tradizionali e, in particolare, la televisione. Soprattutto in ambito politico. Lo abbiamo potuto verificare anche alle elezioni recenti. Per alcune ragioni evidenti.
Anzitutto, la Rete è accessibile e frequentata da un'area crescente di persone, ma c'è ancora un settore ampio che ne resta fuori. Pari quasi a metà della popolazione. In particolare, un quarto degli elettori si informa "soltanto" attraverso la televisione. Così, per "vincere" le elezioni oppure per conquistare un consenso largo intorno a un progetto, un problema, un'iniziativa occorre, comunque, andare "oltre" la Rete. Usare la televisione.
La televisione, inoltre, continua a dettare gli standard dell'immagine e del linguaggio. Comunque, i Social Media, Twitter, Facebook dialogano in contatto costante con i media tradizionali. Per prima la tivù. E viceversa. Una convergenza espressa dalla Social TV. Alle ultime elezioni, il maggiore traffico di tweet è avvenuto in occasione della presenza di Berlusconi a Servizio Pubblico, ospite di Santoro e di Travaglio. D'altronde, twitter è utilizzato soprattutto dalla cerchia degli opinion maker. Per fare e scambiare opinioni, appunto.
Lo stesso rapporto fra Grillo e la televisione risulta, quantomeno, ambivalente. Perché Grillo è molto presente in tivù, anche se non ci va direttamente. I suoi comizi, i video del suo blog: entrano direttamente nel circuito televisivo. Perché la sua presenza fa audience.
Peraltro, attraverso la Rete vengono promosse manifestazioni e mobilitazioni tradizionali, nelle piazze e nelle strade. Come ai tempi dei partiti di massa. Con la differenza che oggi si trasferiscono immediatamente sui media tradizionali. In tivù, sui giornali. Com'è avvenuto e avviene nelle iniziative organizzate da Grillo e dal M5S.
Per questo ci troviamo di fronte a una comunicazione politica "ibrida", che scavalca i confini tra Rete, tv, giornali, tra nuovi e vecchi media. E li incrocia, reciprocamente. Secondo una "logica" che Andrew Chadwick - e prima ancora Nestor Canclini, in prospettiva antropologica - hanno spiegato in modo chiaro.
Quel che è certo, è che la Rete e i suoi attori hanno modificato le forme della partecipazione e della democrazia, accentuando e orientando le principali spinte "oltre" la democrazia del pubblico. Perché, di certo, la Rete ha dato voce all'insoddisfazione popolare, ne ha amplificato i toni, allargato i confini. Non solo, ma ha fornito canali e spazio alle manifestazioni di protesta direttamente rivolte "contro" le istituzioni e gli attori della democrazia rappresentativa. Partiti e politici, per primi. Si pensi alla protesta dei "forconi". Ancora: ha rafforzato le logiche e le azioni di "contro-democrazia", per echeggiare la definizione di Pierre Rosanvallon. Volte, cioè, a controllare e a contrastare, se necessario, i centri di governo e di decisione, in nome di una democrazia fondata sulla "sfiducia nel potere".
Per questo conviene parlare di "democrazia ibrida". Perché sta trasformando in profondità i tratti del modello precedente. La democrazia del pubblico. Di cui si riconoscono ancora i principali elementi, ma sensibilmente ridisegnati. Perlopiù, in negativo.
I partiti, per primi, si trasformano in anti-partiti. O in non-partiti. Antagonisti dei partiti in quanto tali.
Al posto dei leader, si affermano gli anti-leader. Antagonisti rispetto a tutti i partiti e ai dirigenti di partito, come Grillo. Che agiscono e re-agiscono attraverso mobilitazioni - sociali e mediatiche come i V-Day. Oppure "rottamatori", come Renzi, legittimati dal rito di massa delle primarie.
Nel complesso, oggi i leader sono imprenditori politici che utilizzano la sfiducia, più che della fiducia. Perché la sfiducia è la principale risorsa del consenso. In nome di un cambiamento radicale che investe i partiti dall'interno oppure dall'esterno.
La "democrazia ibrida" che stiamo attraversando denuncia la crisi della democrazia rappresentativa. Apertamente sfidata dalla democrazia diretta. E propone una miscela di elementi vecchi e nuovi, che si combinano a fatica. Così che diventa difficile capire e vedere quel che succederà domani.
Il testo propone alcuni fra i principali passaggi della Lectio Magistralis, dal titolo "Democrazia ibrida", tenuta da Ilvo Diamanti in occasione del Convegno annuale dell'Associazione di Comunicazione Politica e della rivista ComPol (Università degli Studi di Milano, 12-13 dicembre 2013)
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