Sono molto affascinato dalla correttezza del giornalismo italiano, soprattutto quello piddino (cioè quasi tutto).
Secondo una strana regola tutta italiana, chi vota Pd è libero e
illuminato mentre chi non vota Pd è “fazioso” e “servo”, ancor più se
grillino. I berlusconiani, tutto sommato, vanno bene: in fondo sono i
migliori alleati di Renzi. Per dire: Gad Lerner, che è
iscritto al Pd, è libero e democratico. Addirittura e anzitutto
imparziale (e ne ho citato volutamente uno bravo: citare il Menichini
Madido sarebbe stato troppo facile). Il Fatto Quotidiano, che non vota nessuno e a nessuno appartiene, è invece “l’house organ dei 5 Stelle” (anche se da giorni sta massacrando i 5 Stelle per l’accordo con Farage e la consultazione online di due giorni fa).
E a chiamarci “house organ di Grillo” sono proprio coloro che passano
il tempo a venerare Renzi: ah, l’Italia, che strano e ameno paese.
Per
anni ce l’hanno menata con la litania della democrazia interna nei 5
Stelle. Fior fiore di editorialisti e conduttori pensosi hanno
tratteggiato figure caricaturali e frignoni di professione come novelli
Solženicyn. Ora che il quasi-dittatore è Renzi, peraltro comico nella
sua prosa sputicchiante e nella sua espressività da triglia ilare, tutto
– di colpo – va bene. Anzi benissimo. Li vedo proprio
orgasmici all’idea di fungere da megafono piddino. Se è questa la loro
ambizione, prevedo per loro un futuro gramo: per una cosa indovinata (la Serracchiani che costringe Orsoni alle dimissioni: brava), tanti rospi dovranno ingoiare. Da nuovi patti segreti del Nazareno a svariate riforme orride (leggere Rodotà per credere).
Il “vincolo di mandato”, che non esiste nella Costituzione Italiana e
che Grillo vorrebbe (sbagliando) introdurre, d’un tratto è qualcosa che
eccita oltremodo i renziani. Renziani ovviamente dell’ultima ora, perché
tanti colleghi erano fino a ieri bersaniani e Renzi gli stava neanche
troppo cordialmente sulle palle.
In un paese normale dovrebbero essere tutti solidali con Mineo,
anzitutto i giornalisti. Vedo e leggo invece che, secondo non pochi
tromboni para-democratici, Renzi ha forse esagerato nei toni ma “in
fondo ha fatto bene”, perché Mineo è “in cerca di visibilità”. E’ vero
che lo stesso Mineo ha una propensione da Don Abbondio: uno come lui,
che a RaiNews non mancava certo di coraggio, si sta facendo trattare
quasi come uno zerbino dai Nardella qualsiasi, che lo apostrofano con
infantili e sprezzanti “Mineo chi?”. Invece di
sfancularli, Mineo – per ora – se ne sta quieto quieto. Del resto i
“dissidenti” del Pd sono così: alzano saltuariamente la voce, poi Renzi
gli regala uno strapuntino inutile di potere (l’ex bersaniano mai stato giovane né turco Orfini Presidente Pd) e i “dissidenti” tornano nei ranghi. Cornuti e mazziati.
Mettono un po’ malinconia, mai però quanto i “giornalisti liberi” che
accettano tutto – ma proprio tutto – da Renzi e renziani. Decenni di
carriere spese a scrivere, spesso bene, per reinventarsi servi sciocchi
delle Karina Huff Boschi: che triste declino. Come ricorda oggi Travaglio sul Fatto, gli stessi che ieri gridavano al nazismo di Grillo e Casaleggio trovano oggi più che naturali le purghe renziane.
Dimenticano
pure – ma in realtà lo sanno benissimo – che Mineo non ha infranto
nessuna regola: se è vero che partiti e movimenti hanno regole da
rispettare, è altrettanto vero che la riforma-schifezza del Senato non
era nel programma sottoscritto da Mineo quando si è candidato nel
febbraio 2013. Se poi Mineo e Chiti sono “traditori”, non si capisce cosa sia Giachetti, che giorni fa – contro il programma del Pd – ha votato la responsabilità civile dei magistrati con Fi, Lega e 70 franchi tiratori del Pd
(però Giachetti è renziano e Mineo no: oops). Abbiamo una classe
politica quasi sempre – non sempre – sconfortante. Ed è anche colpa di
una classe giornalistica quasi sempre – non sempre – sconfortante. Così
sconfortante che perfino il concetto di faziosità e fazioso: se voti Pd
sei un “fazioso libero”, se non voti Pd sei un “fazioso servo”. Funziona
così. E funziona male. Buona catastrofe.
Andrea Scanzi (Il Fatto Quotidiano - 14 giugno 2014)
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