sabato 28 giugno 2014

“Il ritorno del Principe” è uno di quei volumi che non merita di accumulare polvere nello scaffale di una libreria


Oggi, che si parla molto di riforme istituzionali, ritorna d’attualità il libro “Il ritorno del Principe”, pubblicato nel giugno 2008 dalla casa editrice Chiare Lettere.
L’acutezza ed al contempo la semplicità con le quali vengono trattati i complessi argomenti, mostrano tuttora la validità di un saggio che avrebbe meritato maggiore eco e di certo degno di poter figurare fra i migliori prodotti socio-politici editi nell’ultimo decennio.
Utilizzando un classico schema di scrittura il giornalista Saverio Lodato pone una serie di questioni al Procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato che, con estrema chiarezza  le disamina, leggendone le varie sfaccettature.
Uno scritto a quattro mani, che si incentra su una serie di aspetti riguardanti il potere: dal raggiungimento alla gestione, dal suo mantenimento al consolidamento.
La sicilianità e la competenza specifica di entrambi gli autori li porta ad addentrarsi nelle questioni di mafia, focalizzandone anche l’espansione finanziaria, ma non solo.
Del resto è ormai storia il fatto che la domanda di taluni di acquisire capitali per alimentare investimenti e sviluppo, incontrandosi con quello di chi necessita di riciclare eccessi di disponibilità liquide in un’economia reale, ha facilitato flussi osmotici opachi e fatto si che, nel tempo, un modello in qualche modo poco trasparente venisse progressivamente interiorizzato non soltanto nell’Italia del Nord; il tutto facilitato o reso percorribile attraverso legislatori sempre più favorevoli.
Richiamandosi al Machiavelli, risultano centrali dei passaggi che riguardano il governo di una comunità (“Dobbiamo tornare alla consacrazione nazionale del Principe del Machiavelli. Lo spirito e la cultura del Principe - proprio perchè costitutive della normalità italiana nel senso che ho precisato - non sono mai morte. Trasmettendosi di generazione in generazione, hanno continuato ad attraversare nei secoli la nostra storia nazionale, riciclandosi nelle varie forme di Stato che si sono succedute nel tempo; dall'Italia preunitaria alla monarchia, al fascismo, alla prima e seconda Repubblica, giungendo sino ai nostri giorni”).
Di assoluta attualità e freschezza risultano altresì le osservazioni sul sistema elettorale vigente, parzialmente bocciato e corretto recentemente dalla stessa Corte Costituzionale (“Il Parlamento, come è noto, è eletto dal popolo solo formalmente. In realtà è "nominato" da ristrettissimi gruppi, una trentina di persone in tutto; componenti organiche del Palazzo, come lo definiva Pasolini, o del "circolo dei grandi decisori", come gli analisti del potere definiscono i luoghi nei quali un ristretto nucleo di detentori del potere reale assume decisioni che poi vengono ratificate nei luoghi formali del potere istituzionale.
Grazie alla nuova legge elettorale che ha abolito il voto di preferenza, gli elettori non possono scegliere i rappresentanti da eleggere, ma solo ratificare a scatola chiusa le scelte effettuate dall'alto, compresi personaggi impresentabili e pregiudicati”
).
Al di la dei due esempi estrapolati, l’analisi risulta ampia, si sviluppa nell’esame dei diversi aspetti del potere, dell’amministrazione della cosa pubblica, focalizzandone le variegate e spesso complesse interconnessioni (più o meno visibili).
La lettura del volume risulta scorrevole, sollecita interrogativi e illumina sulla genesi delle questioni. Quanto trattato e le considerazioni ben esposte dagli autori non sono mai banali, né limitate ad aspetti evidenti; esse palesano la piena coscienza e conoscenza dei fenomeni, ma giammai una resa e, men che meno, una rassegnazione.  
Appare superfluo raccomandarne una attenta lettura. “Il ritorno del Principe” è uno di quei volumi che merita di non accumulare polvere nello scaffale di una libreria, è un libro da tenere sempre sottomano, insomma. 

Essec


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