La legge sull’immunità parlamentare da concedere anche ai fortunati sindaci e consiglieri regionali che siederanno nel nuovo Senato minaccia di far finire in anticipo sul previsto la luna di miele tra Matteo Renzi e il suo 40 per cento di elettori. Tre giorni di goffo scaricabarile tra gli esponenti del Pd sulla paternità del provvedimento, amplificati dall’eloquente e imbarazzato silenzio del premier, bastano (e forse avanzano) per riportare alla mente le molte dichiarazioni in materia di privilegi della casta che tanto avevano reso popolare Renzi quando ancora era sindaco di Firenze.
Frasi forti e ricche di buon senso che oggi paiono essere state
pronunciate da una persona diversa dall’attuale inquilino di Palazzo
Chigi: “Se dobbiamo parlare degli articoli della costituzione che
parlano dei parlamentari bisognerebbe avere il coraggio di dire che i
parlamentari andrebbero dimezzati e che andrebbe dimezzata anche la loro
indennità”. “L’immunità aveva un valore in un altro momento, in un altro contesto”. E ancora: “Non abbiamo bisogno di dare altre garanzie ai parlamentari, ma di farli diventare sempre più normali”.
Intendiamoci, non è una novità che le bugie vadano di moda tra chi fa politica. Due secoli fa il barone Otto Von Bismark,
avvertiva: “Non si mente mai così tanto prima delle elezioni, durante
la guerra e dopo la caccia”. Stupisce però che, passate le Europee,
Renzi non si ponga più il problema del consenso.
Solo
chi non si cura del parere dei cittadini, quasi fosse certo di essere
destinato a non dover più subire nell’urna il loro giudizio, può davvero
credere che, in Paese rapinato e offeso dalle malefatte della propria
classe dirigente, sia popolare l’idea di permettere in futuro a 95
fortunati nuovi senatori di rubare in casa propria (regioni e comuni)
per poi salvarsi a Palazzo Madama.
Eppure il premier tace. Segno che per lui le questioni più importanti da risolvere sono altre. In sua vece parlano però i renziani secondo i quali “non è il caso di di mettere a rischio la riforma della Costituzione per un solo articolo” (Ivan Scalfarotto) visto che la “questione non è centrale” (Maria Elena Boschi, ministro per le Riforme).
Ovviamente
non è vero. Far eleggere 95 senatori da mille consiglieri regionali, un
terzo dei quali sono attualmente indagati, imputati o condannati,
significa popolare l’assemblea di palazzo Madama di personaggi il cui
principale obbiettivo sarà quello di entrare in Senato per difendersi dai processi e regolare i propri conti con la giustizia.
Per
esorcizzare il dubbio di molti (a questo punto, perfettamente
legittimo) che l’emendamento sull’immunità non sia frutto di
cialtroneria, ma di calcolo, il ministro Boschi ha tentato di levarsi d’impaccio accusando il presidente della commissione affari costituzionali, Anna Finocchiaro,
di essersi mossa all’insaputa del governo. Poi quando documenti alla
mano la compagna di partito le ha dimostrato che il governo sapeva (e condivideva) ecco che il ministro ha cambiato registro. E ha spiegato che tutti i gruppi, tranne il Nuovo centro destra, avevano presentato emendamenti per garantire il privilegio pure ai nuovi senatori non eletti dai cittadini.
Ora, anche a voler sorvolare sui distinguo (i
5 stelle ricordano di aver presentato pure due emendamenti per rendere
perquisibili e intercettabili i parlamentari senza autorizzazione delle
Camere), il così fan tutti della Boschi, è utile forse per ripulirsi
la coscienza, ma non certo per tranquillizzare gli elettori. Mentre a Venezia l’ex sindaco Orsoni dice ai magistrati di aver incassato finanziamenti illeciti per ordine del partito
(lo avrebbe mai fatto se scelto come senatore?) e gli investigatori
sono sulle tracce di personaggi sospettati di aver creato fondi neri
“per esponenti milanesi di Forza Italia”, un fatto è chiaro: l’impunità torna prepotentemente di moda.
A poco a poco il combinato disposto tra la nuova legge elettorale e riforma del Senato
appare per quello che è: un sistema per espropriare definitivamente i
cittadini dalla possibilità di scegliere i propri rappresentanti (a
Montecitorio le liste saranno bloccate) e consegnare in toto la nomina
delle due Camere alle segreterie dei partiti. Che in qualche caso, come
monarchi illuminati, concederanno al di fuori di ogni controllo e regola
il divertissement delle primarie. Povera Italia e poveri
italiani. Votando Renzi pensavano di abbattere la casta. Ma se continua
così molti di loro si convinceranno che l’unica rottamazione in corso è quella della speranza.
Peter Gomez (Il Fatto Quotidiano - 24 giugno 2014)
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