Perché a Matteo Renzi viene perdonato tutto ciò che non è stato perdonato a Silvio Berlusconi?Breve promemoria. Nel famigerato ventennio, più volte gli scherani del sultano di Arcore provarono a liberarsi delle intercettazioni telefoniche e ambientali comprovanti i loro traffici. Con la scusa della privacy
da difendere, minacciarono la chiusura dei giornali che avessero
pubblicato quei verbali e altri sfracelli. Si coniò giustamente il
termine “bavaglio”, si organizzarono piazze ricolme di
sdegno e gli strilli fecero tremare le vetrate del Quirinale e di
Palazzo Chigi. Non se ne parlò più.
L’altroieri, dagli uffici del ministro Orlando è stata fatta filtrare una riforma della giustizia riguardante anche la (non) pubblicazione delle intercettazioni
per vedere l’effetto che faceva. L’obiettivo è il medesimo perseguito
dal crudele Caimano: evitare che finiscano sui giornali conversazioni
sconvenienti per i potenti. Ma quella che un tempo sembrava una
macelleria messicana oggi è una elegante sala da tè dove giornalisti ed
esperti trattano il non più bavaglio con grazia e soavità come
piluccassero pasticcini. E che dire della soppressione del Senato elettivo che il premier di Rignano sull’Arno ha proposto,
ponendo i parlamentari della Repubblica davanti alla cortese
alternativa: o la votate o ve ne andate a casa? Per aver vagheggiato
qualcosa di simile, il presidente-padrone fu paragonato a Mussolini,
mentre al vincitore della Ruota della fortuna ’94 basta enunciare la
supercazzola del bicameralismo perfetto e tutto tace (tranne i soliti
rompiscatole).
La spiegazione più banale del doppiopesismo
all’italiana è che Renzi non è Berlusconi, non ha i suoi trascorsi,
appare meno pericoloso e non si tinge i capelli. Senza contare che
quello stesso Pd che ieri tuonava dall’opposizione
contro la democrazia messa in pericolo dalla destra oggi concorda le
riforme con gli ex nemici in una confusione di ruoli dove non ci sono
più buoni e cattivi, ma solo una grande marmellata dolciastra. O forse,
l’immunità di Renzi nasce dallo spirito del tempo di un
Paese talmente stanco e sfibrato dalle nefandezze subìte e così
imbrogliato e rassegnato, che preferisce lasciar perdere, e il naufragar
gli è dolce in questo mare.
Antonio Padellaro (Il Fatto Quotidiano, 28 Giugno 2014)
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