Per i Mondiali di calcio è boom di puntate. Ma a fare affari
sono solo 5 mila agenzie fantasma. Senza licenza. E che non pagano tasse.
Sottraendo all’erario 500 milioni l’anno
Una scommessa su Brasile 2014 al Fisco l’hanno fatta. E sono
sicuri di vincere: «Milioni di euro andranno in fumo, un’evasione da campionato
del mondo». Ma stavolta non ci sono da immaginare mega-truffe, né giri di soldi
illeciti o valigette che varcano il confine in gran segreto. No, qui tutto
avviene alla luce del sole. Lo sa la polizia, lo sa l’Agenzia delle Entrate, lo
sanno i Monopoli di Stato e lo sa il Parlamento. L’ambientazione, infatti, non
è un grattacielo a sette stelle di Dubai, bensì una ricevitoria, sistemata in
una strada secondaria di qualsiasi città italiana, fra una lavanderia e il
fioraio. Un bancone, un paio di addetti gentili e, tutt’attorno, gli strilli
con le quotazioni delle scomesse: a quanto danno il Brasile? E l’Uruguay? La
Francia paga doppio! E via elencando. Un cliente si presenta allo sportello:
«Buongiorno, vorrei puntare 20 euro sulla partita di stasera». Un paio di clic
e il gioco è fatto. Se poi hai vinto, basta ripassare per incassare il
malloppo.
Tutto normale, insomma, se davvero quell’ufficio fosse un’agenzia di scommesse. Con licenza, concessioni, permessi del Viminale. E se quell’addetto fosse un bookmaker autorizzato. Ma non è così. Quella ricevitoria, in tutto simile a quelle della Sisal o dei privati con le carte in regola e i permessi appesi alla parete, in gergo tecnico si chiama “Ctd”, ovvero “Centro di trasmissione dati”. Significa che lì non si fanno materialmente scommesse. Ma che quel signore gentile che ha annotato la puntata è solo un “trasmettitore di dati”. In pratica spedisce la scommessa all’estero. E il vero affare, il giro dei soldi a sei zeri, avviene fuori dai confini nazionali. Di solito in un paradiso fiscale della Ue: Malta, ma anche l’Irlanda.
Ecco che l’allarme è rosso. Perché, agenzia dopo agenzia, il circuito fantasma è ormai diffuso su tutta la penisola. E, proprio a giugno, a pochi giorni dal Mondiale di calcio, ha superato quota 5 mila punti scommessa, contro i 7.400 autorizzati. Con medie di 3 milioni di euro a partita di scommesse. Se non sarà fermato in fretta, insomma, nel 2016 potrebbe avvenire il sorpasso.
Tutto normale, insomma, se davvero quell’ufficio fosse un’agenzia di scommesse. Con licenza, concessioni, permessi del Viminale. E se quell’addetto fosse un bookmaker autorizzato. Ma non è così. Quella ricevitoria, in tutto simile a quelle della Sisal o dei privati con le carte in regola e i permessi appesi alla parete, in gergo tecnico si chiama “Ctd”, ovvero “Centro di trasmissione dati”. Significa che lì non si fanno materialmente scommesse. Ma che quel signore gentile che ha annotato la puntata è solo un “trasmettitore di dati”. In pratica spedisce la scommessa all’estero. E il vero affare, il giro dei soldi a sei zeri, avviene fuori dai confini nazionali. Di solito in un paradiso fiscale della Ue: Malta, ma anche l’Irlanda.
Ecco che l’allarme è rosso. Perché, agenzia dopo agenzia, il circuito fantasma è ormai diffuso su tutta la penisola. E, proprio a giugno, a pochi giorni dal Mondiale di calcio, ha superato quota 5 mila punti scommessa, contro i 7.400 autorizzati. Con medie di 3 milioni di euro a partita di scommesse. Se non sarà fermato in fretta, insomma, nel 2016 potrebbe avvenire il sorpasso.
AGENZIE FANTASMA
La cifra non rende bene l’idea. Cinquemila agenzie di scommesse che per lo Stato non esistono significa decine di punti in ogni città. Significa un’area di 500 mila metri quadrati senza licenze e senza concessioni. In pratica è un’isola esentasse che galleggia in mezzo al Paese. Niente imposte per lorsignori. Niente concessioni. Niente licenze della Questura. In più, siccome di fatto non esistono, non sono nemmeno tenuti a rispettare i regolamenti e i diktat che regolano il mercato del gioco.
Già, per aprire una di queste agenzie di scommesse basta procurarsi una licenza da Internet point. In alcuni casi quella da copisteria, solo che anziché fotocopiare manoscritti e appunti dell’università, qui si incassano milioni di euro cash in puntate e lotterie. Il meccanismo ormai è oliato. Tanto che i punti vendita spuntano come funghi. Aprono nelle città, in centro e in periferia. Aprono nei piccoli paesi. Scelgono le strade più battute. Si piazzano vicino alle scuole superiori, dove i colleghi del circuito legali hanno il divieto di insediarsi. Confindustria ha una sezione dedicata proprio al gioco legale. E da anni denuncia il fenomeno: «Si tratta nella stragrande maggioranza dei casi di corner o negozi, aperti con le più diverse forme di autorizzazione (call center, Internet point), non controllati, senza nessuna garanzia per i giocatori e, senza nessun gettito erariale per la comunità», denuncia il presidente Massimo Passamonti. Alla gente comune piacciono. La maggioranza nemmeno lo sa che quei centri di scommessa non sono autorizzati. Quel che interessa al cliente, specialmente in periodo di crisi economica, sono i prezzi bassi e la possibilità di mettere via un gruzzolo. «E questi punti di gioco promettono vincite più alte, perché non sono gravati da imposte come gli esercizi autorizzati», continua Passamonti.
E così mentre l’aria da Mundial moltiplica scommettitori e poste in palio, chi perde di sicuro è lo Stato. Tanto che ai Monopoli il dossier sul fenomeno è ormai alto un metro. E i tavoli con Viminale e Guardia di Finanza hanno cadenza settimanale. Se il giro d’affari complessivo del circuito legale sfiora i 3,7 miliardi di euro, secondo l’Agenzia Agimeg, specializzata nel mondo del gioco, gli operatori privi di concessione nel 2013 avevano raccolto 2,4 miliardi. Un testa a testa che non ha precedenti. Grazie a una rete che si espande a macchia di leopardo da Nord a Sud. Con qualche sorpresa, rispetto ai luoghi comuni: la regione con il maggior numero di punti vendita regolari è la Campania (1.618), seguita dalla Lombardia (oltre 900), poi dalla Puglia (700) e dal Lazio (750). Fanalino di coda, la Sardegna, con soli 61 punti scommesse autorizzati, uno ogni 23 mila abitanti. Ma ecco che, in parallelo, cresce il fenomeno dei Ctd. Cifre ormai paragonabili a quelle del circuito regolare. La più diffusa in Italia è la “Stanleybet”, con 900 punti. Seguono “Planetwin” con 750, Goldbet con 650, Bet1128 con 600 e via via fino a BetUnique, BetPassion, BetaLand, Leaderbet e Cmb. «Si tratta di numeri impressionanti, probabilmente arrotondati per difetto», spiegano ai monopoli. «È un fenomeno unico in Europa, le cui dimensioni hanno stupito anche noi».
La cifra non rende bene l’idea. Cinquemila agenzie di scommesse che per lo Stato non esistono significa decine di punti in ogni città. Significa un’area di 500 mila metri quadrati senza licenze e senza concessioni. In pratica è un’isola esentasse che galleggia in mezzo al Paese. Niente imposte per lorsignori. Niente concessioni. Niente licenze della Questura. In più, siccome di fatto non esistono, non sono nemmeno tenuti a rispettare i regolamenti e i diktat che regolano il mercato del gioco.
Già, per aprire una di queste agenzie di scommesse basta procurarsi una licenza da Internet point. In alcuni casi quella da copisteria, solo che anziché fotocopiare manoscritti e appunti dell’università, qui si incassano milioni di euro cash in puntate e lotterie. Il meccanismo ormai è oliato. Tanto che i punti vendita spuntano come funghi. Aprono nelle città, in centro e in periferia. Aprono nei piccoli paesi. Scelgono le strade più battute. Si piazzano vicino alle scuole superiori, dove i colleghi del circuito legali hanno il divieto di insediarsi. Confindustria ha una sezione dedicata proprio al gioco legale. E da anni denuncia il fenomeno: «Si tratta nella stragrande maggioranza dei casi di corner o negozi, aperti con le più diverse forme di autorizzazione (call center, Internet point), non controllati, senza nessuna garanzia per i giocatori e, senza nessun gettito erariale per la comunità», denuncia il presidente Massimo Passamonti. Alla gente comune piacciono. La maggioranza nemmeno lo sa che quei centri di scommessa non sono autorizzati. Quel che interessa al cliente, specialmente in periodo di crisi economica, sono i prezzi bassi e la possibilità di mettere via un gruzzolo. «E questi punti di gioco promettono vincite più alte, perché non sono gravati da imposte come gli esercizi autorizzati», continua Passamonti.
E così mentre l’aria da Mundial moltiplica scommettitori e poste in palio, chi perde di sicuro è lo Stato. Tanto che ai Monopoli il dossier sul fenomeno è ormai alto un metro. E i tavoli con Viminale e Guardia di Finanza hanno cadenza settimanale. Se il giro d’affari complessivo del circuito legale sfiora i 3,7 miliardi di euro, secondo l’Agenzia Agimeg, specializzata nel mondo del gioco, gli operatori privi di concessione nel 2013 avevano raccolto 2,4 miliardi. Un testa a testa che non ha precedenti. Grazie a una rete che si espande a macchia di leopardo da Nord a Sud. Con qualche sorpresa, rispetto ai luoghi comuni: la regione con il maggior numero di punti vendita regolari è la Campania (1.618), seguita dalla Lombardia (oltre 900), poi dalla Puglia (700) e dal Lazio (750). Fanalino di coda, la Sardegna, con soli 61 punti scommesse autorizzati, uno ogni 23 mila abitanti. Ma ecco che, in parallelo, cresce il fenomeno dei Ctd. Cifre ormai paragonabili a quelle del circuito regolare. La più diffusa in Italia è la “Stanleybet”, con 900 punti. Seguono “Planetwin” con 750, Goldbet con 650, Bet1128 con 600 e via via fino a BetUnique, BetPassion, BetaLand, Leaderbet e Cmb. «Si tratta di numeri impressionanti, probabilmente arrotondati per difetto», spiegano ai monopoli. «È un fenomeno unico in Europa, le cui dimensioni hanno stupito anche noi».
REGIONI A RISCHIO
E così ci sono delle Regioni, come la Sardegna o la Puglia, che sono praticamente in mano alla rete parallela dei Ctd. In Puglia i Monopoli di Stato hanno calcolato che ormai i punti autorizzati sono scesi a 723, contro i 900 non autorizzati. Con un danno per le casse dello Stato milionario. Un dato che diventa ancora più grave se si compara con il calo della raccolta di gioco regolare negli ultimi due anni, attestato al 2,6 per cento, a scapito di quello regolare: «Ci troviamo di fronte a un fatto gravissimo, una costante perdita di attrattività dell’offerta legale di gioco ed una significativa crescita di quella illegale», spiega la Guardia di Finanza. Con un conseguente impatto sui conti pubblici: «Tutto questo si traduce in minor gettito per le casse dello Stato, stimabile, per il solo 2013, per la sola Regione Puglia, in circa 16,5 milioni di euro», aggiungono.
Ma se si continua il tour fra le regioni, la situazione cambia di poco. In Sicilia i punti scommesse non autorizzati sono ormai più di 1.100 mentre nel Lazio sono oltre 600, senza contare la Sardegna, dove i non autorizzati sono più del doppio (183) degli autorizzati (73). «In questa regione, quindi, il gioco illegale ha ormai soppiantato quello dello Stato, a cui sono sottratti i proventi, a vantaggio di persone sconosciute al Fisco», spiegano ai Monopoli. È vero, la polizia interviene. Vengono chiesti i sequestri, le chiusure. Ma i tribunali, spesso, nicchiano riscontrando difformità fra il diritto italiano e quello comunitario. Così a sequestro segue dissequestro, a denuncia una controdenuncia, a maggior ragione dopo l’ultima sentenza della Cassazione, nel 2012, che dava ragione di nuovo alla Stanleybet.
E così ci sono delle Regioni, come la Sardegna o la Puglia, che sono praticamente in mano alla rete parallela dei Ctd. In Puglia i Monopoli di Stato hanno calcolato che ormai i punti autorizzati sono scesi a 723, contro i 900 non autorizzati. Con un danno per le casse dello Stato milionario. Un dato che diventa ancora più grave se si compara con il calo della raccolta di gioco regolare negli ultimi due anni, attestato al 2,6 per cento, a scapito di quello regolare: «Ci troviamo di fronte a un fatto gravissimo, una costante perdita di attrattività dell’offerta legale di gioco ed una significativa crescita di quella illegale», spiega la Guardia di Finanza. Con un conseguente impatto sui conti pubblici: «Tutto questo si traduce in minor gettito per le casse dello Stato, stimabile, per il solo 2013, per la sola Regione Puglia, in circa 16,5 milioni di euro», aggiungono.
Ma se si continua il tour fra le regioni, la situazione cambia di poco. In Sicilia i punti scommesse non autorizzati sono ormai più di 1.100 mentre nel Lazio sono oltre 600, senza contare la Sardegna, dove i non autorizzati sono più del doppio (183) degli autorizzati (73). «In questa regione, quindi, il gioco illegale ha ormai soppiantato quello dello Stato, a cui sono sottratti i proventi, a vantaggio di persone sconosciute al Fisco», spiegano ai Monopoli. È vero, la polizia interviene. Vengono chiesti i sequestri, le chiusure. Ma i tribunali, spesso, nicchiano riscontrando difformità fra il diritto italiano e quello comunitario. Così a sequestro segue dissequestro, a denuncia una controdenuncia, a maggior ragione dopo l’ultima sentenza della Cassazione, nel 2012, che dava ragione di nuovo alla Stanleybet.
UN LIMBO SOPRA LA LEGGE
L’ultimo che ci sta provando è proprio il questore di Cagliari, Filippo Dispenza. Non si capacita che nella sua provincia, dove c’è il mare più bello del mondo, ripete sempre, «qualche brocker straniero possa pensare che l’Italia sia una terra di conquista per chiunque. Dove c’è più depressione, c’è più gioco. In quelle sale ci vanno studenti, disoccupati, madri di famiglia. Abbiamo visto gente simulare rapine di stipendi e pensioni per giustificare scommesse e perdite al gioco», denuncia. Per quanto riguarda lui, non ha dubbi. «Tutto questo non si chiama “limbo”, ma si chiama “illegale”». E infatti nel cagliaritano sale scommesse e sale da gioco non autorizzate si sono moltiplicate. «Ne abbiamo più di cento, una cosa che non ha senso», spiega il questore.
E così, una settimana fa, ha disposto l’ultimo sopralluogo. Meta dei suoi uomini sono state otto di quelle sale. Tutte aperte con il meccanismo del Ctd: uffici in Sardegna, tasse chissà dove. «L’ho fatto perché c’è un profilo di sicurezza che lo Stato ha il compito di garantire e siccome questi signori non chiedono la licenza al Questore, noi abbiamo disposto il sequestro preventivo dei personal computer e delle attrezzature informatiche con cui effettuano le giocate», continua Dispenza. Martedì mattina la buona notizia. Il Gip di Cagliari ha convalidato i provvedimenti, che potrebbero diventare una testa d’ariete e modificare la percezione del fenomeno anche in altre province italiane, dove finora era stato difficile intervenire con strumenti repressivi. «Quando ero in servizio ad Alessandria», spiega ancora il questore,«avevo tentato la strada del sequestro, ma il magistrato l’aveva stoppata. La decisione del Gip di Cagliari, invece, per noi è fondamentale perché afferma che stiamo operando all’interno del diritto e della legge».
L’ultimo che ci sta provando è proprio il questore di Cagliari, Filippo Dispenza. Non si capacita che nella sua provincia, dove c’è il mare più bello del mondo, ripete sempre, «qualche brocker straniero possa pensare che l’Italia sia una terra di conquista per chiunque. Dove c’è più depressione, c’è più gioco. In quelle sale ci vanno studenti, disoccupati, madri di famiglia. Abbiamo visto gente simulare rapine di stipendi e pensioni per giustificare scommesse e perdite al gioco», denuncia. Per quanto riguarda lui, non ha dubbi. «Tutto questo non si chiama “limbo”, ma si chiama “illegale”». E infatti nel cagliaritano sale scommesse e sale da gioco non autorizzate si sono moltiplicate. «Ne abbiamo più di cento, una cosa che non ha senso», spiega il questore.
E così, una settimana fa, ha disposto l’ultimo sopralluogo. Meta dei suoi uomini sono state otto di quelle sale. Tutte aperte con il meccanismo del Ctd: uffici in Sardegna, tasse chissà dove. «L’ho fatto perché c’è un profilo di sicurezza che lo Stato ha il compito di garantire e siccome questi signori non chiedono la licenza al Questore, noi abbiamo disposto il sequestro preventivo dei personal computer e delle attrezzature informatiche con cui effettuano le giocate», continua Dispenza. Martedì mattina la buona notizia. Il Gip di Cagliari ha convalidato i provvedimenti, che potrebbero diventare una testa d’ariete e modificare la percezione del fenomeno anche in altre province italiane, dove finora era stato difficile intervenire con strumenti repressivi. «Quando ero in servizio ad Alessandria», spiega ancora il questore,«avevo tentato la strada del sequestro, ma il magistrato l’aveva stoppata. La decisione del Gip di Cagliari, invece, per noi è fondamentale perché afferma che stiamo operando all’interno del diritto e della legge».
TASSE, QUESTE SCONOSCIUTE
Intanto a rimetterci sono le casse dello Stato. E se a giugno 2013 proprio gli inglesi di Stanleybet, pionieri del mercato non autorizzato in Italia, avevano annunciato di voler versare l’imposta unica – come tutti i concessionari autorizzati – all’Agenzia la pratica è classificata sotto l’etichetta “non pervenuto”. Parole, parole, parole, ripetono a piazza Mastai. Annunci, quando invece il vulnus resta aperto. Anzi, spalancato: pochi mesi fa, infatti, era stato siglato un accordo di conciliazione proprio tra Monopoli e società inglese dopo le verifiche fiscali dello scorso anno. Ma, nemmeno in questo caso, «alla firma è per ora seguito alcun versamento».
Per capire di quanti soldi parliamo, basta fare un calcolo a spanne. Se si raffronta il giro d’affari delle agenzie autorizzate – di cui si conoscono le cifre esatte – a quello dei Ctd, il conto è presto fatto: «La rete legale delle scommesse, nel solo 2013, ha restituito in vincite mediamente l’80 per cento della raccolta, lasciando quindi in mano ai bookmaker esteri, secondo una stima per difetto, circa 500-600 milioni di euro, cioè un fiume di soldi che non paga tasse, non è censito, non è controllato», proseguono ai Monopoli. Non solo, c’è pure la concorrenza sleale. I Ctd, infatti, non essendo formalmente agenzie di scommesse e non pagando quindi le concessioni, hanno meno spese per fare lo stesso lavoro, e possono quindi offrire ai giocatori condizioni migliori rispetto ai concessionari regolari, con offerte più vantaggiose, puntate più basse, moltiplicatori più appetibili per lo scommettitore: «Un elemento che rende probabile che l’introito finale della rete dei Ctd sia addirittura superiore alle stime», concludono ai Monopoli.
Intanto a rimetterci sono le casse dello Stato. E se a giugno 2013 proprio gli inglesi di Stanleybet, pionieri del mercato non autorizzato in Italia, avevano annunciato di voler versare l’imposta unica – come tutti i concessionari autorizzati – all’Agenzia la pratica è classificata sotto l’etichetta “non pervenuto”. Parole, parole, parole, ripetono a piazza Mastai. Annunci, quando invece il vulnus resta aperto. Anzi, spalancato: pochi mesi fa, infatti, era stato siglato un accordo di conciliazione proprio tra Monopoli e società inglese dopo le verifiche fiscali dello scorso anno. Ma, nemmeno in questo caso, «alla firma è per ora seguito alcun versamento».
Per capire di quanti soldi parliamo, basta fare un calcolo a spanne. Se si raffronta il giro d’affari delle agenzie autorizzate – di cui si conoscono le cifre esatte – a quello dei Ctd, il conto è presto fatto: «La rete legale delle scommesse, nel solo 2013, ha restituito in vincite mediamente l’80 per cento della raccolta, lasciando quindi in mano ai bookmaker esteri, secondo una stima per difetto, circa 500-600 milioni di euro, cioè un fiume di soldi che non paga tasse, non è censito, non è controllato», proseguono ai Monopoli. Non solo, c’è pure la concorrenza sleale. I Ctd, infatti, non essendo formalmente agenzie di scommesse e non pagando quindi le concessioni, hanno meno spese per fare lo stesso lavoro, e possono quindi offrire ai giocatori condizioni migliori rispetto ai concessionari regolari, con offerte più vantaggiose, puntate più basse, moltiplicatori più appetibili per lo scommettitore: «Un elemento che rende probabile che l’introito finale della rete dei Ctd sia addirittura superiore alle stime», concludono ai Monopoli.
TASK FORCE TRA MINISTERI
E così Polizia, Monopoli e Guardia di Finanza cercano di affinare un sistema coordinato per fermare l’espansione dei Ctd. E per aprirsi un varco nel complicato puzzle giuridico che finora ha difeso le strutture parallele delle scommesse. Fino all’ultima sentenza chiave, datata 2012, che ha visto la Stanlaybet vincere in Cassazione dopo avere impugnato un provvedimento che voleva fermarne l’attività.
Una sentenza dai contorni ambigui, secondo la task force interministeriale. È vero che assolve il Ctd, ma afferma anche che «essi godono di una situazione di ingiustificato privilegio commerciale e giuridico rispetto alla rete autorizzata». E, in più, possono «stipulare contratti con persone non sottoposte a controlli». Cioè gente sconosciuta alle forze dell’ordine, che schiva la radiografia imposta a chi opera nel settore del gioco.
Perché degli operatori dei Ctd, in realtà, lo Stato non sa nulla. Schivano le norme, sono esclusi dalle verifiche. Sia da quelle antimafia, secondo cui per aprire un’agenzia di scommesse è obbligo dichiarare le persone che detengono una partecipazione nella società concessionaria. Sia da quelle sulle condanne: «La società non può ottenere o mantenere la concessione se uno di questi soci assume la qualifica di imputato o condannato per una serie di reati che vanno dalla corruzione, concussione, abuso d’ufficio, peculato, associazione a delinquere, anche semplice, frode fiscale», elencano al ministero dell’Interno, titolare delle licenze. Ma tutto questo non vale per i gestori dei Ctd. I bookmaker esteri lavorano per società che potrebbero essere controllate da chiunque, anche da italiani, schermati dietro le solite scatole cinesi.
E così Polizia, Monopoli e Guardia di Finanza cercano di affinare un sistema coordinato per fermare l’espansione dei Ctd. E per aprirsi un varco nel complicato puzzle giuridico che finora ha difeso le strutture parallele delle scommesse. Fino all’ultima sentenza chiave, datata 2012, che ha visto la Stanlaybet vincere in Cassazione dopo avere impugnato un provvedimento che voleva fermarne l’attività.
Una sentenza dai contorni ambigui, secondo la task force interministeriale. È vero che assolve il Ctd, ma afferma anche che «essi godono di una situazione di ingiustificato privilegio commerciale e giuridico rispetto alla rete autorizzata». E, in più, possono «stipulare contratti con persone non sottoposte a controlli». Cioè gente sconosciuta alle forze dell’ordine, che schiva la radiografia imposta a chi opera nel settore del gioco.
Perché degli operatori dei Ctd, in realtà, lo Stato non sa nulla. Schivano le norme, sono esclusi dalle verifiche. Sia da quelle antimafia, secondo cui per aprire un’agenzia di scommesse è obbligo dichiarare le persone che detengono una partecipazione nella società concessionaria. Sia da quelle sulle condanne: «La società non può ottenere o mantenere la concessione se uno di questi soci assume la qualifica di imputato o condannato per una serie di reati che vanno dalla corruzione, concussione, abuso d’ufficio, peculato, associazione a delinquere, anche semplice, frode fiscale», elencano al ministero dell’Interno, titolare delle licenze. Ma tutto questo non vale per i gestori dei Ctd. I bookmaker esteri lavorano per società che potrebbero essere controllate da chiunque, anche da italiani, schermati dietro le solite scatole cinesi.
BATTAGLIA IN PARLAMENTO
E così il caso dei Ctd è approdato in Parlamento. A sollevarlo un’interrogazione del Movimento 5 stelle che, per la prima volta, mette il dito nella piaga, chiedendo al governo Renzi se sia vero che «gli esercizi irregolari in Italia per l’attività di gestione e di raccolta delle scommesse, fra cui molti Ctd, siano circa seimila», ancora più del censimento ufficiale, e secondo i pentastellati «un numero superiore a quello dei punti legali, con un’evasione che si aggira attorno ai 400 milioni di euro, un’immensa cifra sottratta al Paese». Con un monito all’esecutivo perché intervenga presto anche contro l’uso del contante.
Denuncia che sale anche dal mondo del gioco autorizzato, in prima fila la Snai, il concessionario storico delle scommesse. Fra i privati, invece, il leader in Italia si chiama “Intralot”, che opera nel nostro Paese dal 2006, con un investimento di circa 90 milioni di euro e l’apertura di 500 punti vendita. La guida Emilio Iaia, che mette al lavoro circa 2.500 addetti (fra diretti ed indiretti) e fattura oltre 300 milioni: «Malgrado la concorrenza dei Ctd, anomalia esclusivamente italiana nell’intera Unione europea, il panorama del gioco legale sta maturando», dice Iaia. «C’è sempre una maggiore attenzione e responsabilità contro tutti i fenomeni compulsivi e vi è il rigido rispetto delle regole per la tutela dei minori e delle fasce di soggetti considerati più deboli». Come a dire che la guerra contro il gioco legale, alla fine, ha portato al proliferare di quello senza controlli. Con maggiori rischi per il giocatore. «Il panorama futuro del gioco legale passa proprio per un maggior livello qualitativo dell’offerta ma anche per l’ampliamento di tutte le necessarie tutele per i più deboli». Con investimenti anche nella prevenzione delle dipendenze. Anello debole. Ancora più debole quando la catena dei controlli si spezza. All’insaputa del legislatore.
E così il caso dei Ctd è approdato in Parlamento. A sollevarlo un’interrogazione del Movimento 5 stelle che, per la prima volta, mette il dito nella piaga, chiedendo al governo Renzi se sia vero che «gli esercizi irregolari in Italia per l’attività di gestione e di raccolta delle scommesse, fra cui molti Ctd, siano circa seimila», ancora più del censimento ufficiale, e secondo i pentastellati «un numero superiore a quello dei punti legali, con un’evasione che si aggira attorno ai 400 milioni di euro, un’immensa cifra sottratta al Paese». Con un monito all’esecutivo perché intervenga presto anche contro l’uso del contante.
Denuncia che sale anche dal mondo del gioco autorizzato, in prima fila la Snai, il concessionario storico delle scommesse. Fra i privati, invece, il leader in Italia si chiama “Intralot”, che opera nel nostro Paese dal 2006, con un investimento di circa 90 milioni di euro e l’apertura di 500 punti vendita. La guida Emilio Iaia, che mette al lavoro circa 2.500 addetti (fra diretti ed indiretti) e fattura oltre 300 milioni: «Malgrado la concorrenza dei Ctd, anomalia esclusivamente italiana nell’intera Unione europea, il panorama del gioco legale sta maturando», dice Iaia. «C’è sempre una maggiore attenzione e responsabilità contro tutti i fenomeni compulsivi e vi è il rigido rispetto delle regole per la tutela dei minori e delle fasce di soggetti considerati più deboli». Come a dire che la guerra contro il gioco legale, alla fine, ha portato al proliferare di quello senza controlli. Con maggiori rischi per il giocatore. «Il panorama futuro del gioco legale passa proprio per un maggior livello qualitativo dell’offerta ma anche per l’ampliamento di tutte le necessarie tutele per i più deboli». Con investimenti anche nella prevenzione delle dipendenze. Anello debole. Ancora più debole quando la catena dei controlli si spezza. All’insaputa del legislatore.
Tommaso Cerno (Jack’s Blog -L’Espresso- 28 giugno 2014)
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