Per
come è stato pubblicizzato, in “Ammazziamo di gattopardo” forse ci si immagina
di trovare solo una serie di retroscena collegati alla caduta dell’ultimo
governo Berlusconi.
In
verità Alan Friedman, racconta si del suo scoop riguardante le consultazioni “borderline”,
avviate da Giorgio Napolitano per un eventuale incarico a Mario Monti alla
Presidenza del Consiglio, nonché del contestuale bizzarro mandato affidato a Corrado
Passera per l’approntamento di un programma di governo, ma sviluppa anche
un’ampia analisi economico-politica e propone una sua ricetta per portare a
soluzione la profonda crisi economica che attanaglia da troppo tempo il nostro
paese.
Nella
prima parte, quindi, Friedman illustra
interessanti ed argute interviste giornalistiche fatte a una serie di personaggi
politici, accompagnandole con sue suggestioni, intuizioni e fantasie “americane”.
Nella parte centrale si dilunga su soluzioni ad una lista di problematiche stigmatizzate in
dieci punti (con scarsità di analisi, senza cioè i sufficienti approfondimenti
che le complesse questioni richiederebbero). In ultimo si avvicina
all’attualità con un’intervista ad un maramaldesco Matteo Renzi, impegnato a
bruciare le tappe che lo porteranno ad occupare l’ambito ruolo di Presidente del Consiglio.
In
alcuni casi le visioni di Friedman risultano geniali. La sua scuola
giornalistica d’oltre oceano fornisce, infatti, delle istantanee che
fotografano con efficacia i tratti. Mentre però i quadretti per taluni risultano
impietosi e pittoreschi, per altri invece appaiono più superficiali, se non
accondiscendenti.
In
qualche caso la sua narrazione racconta più di quanto emerge dal dialogo
scritto. Emblematici i casi di
Berlusconi e D’Alema, già oggetto entrambi di felici intuizioni
cinematografiche di Nanni Moretti. In un caso Friedman descrive la fluida
disinvoltura di Silvio Berlusconi unitamente alla naturalezza dell’irrompere sulla
scena dell’ormai famoso cane Dudù; nell’altro, nel descrivere un Massimo D’Alema
reticente, associa il suo vuoto politichese alla figura di colui che ne fu gran
maestro: segnatamente “Belzebù-Andreotti”.
Continuando,
mentre un’idea precisa accompagna la serenità realistica di Romano Prodi, assai
parziali risultano i riferimenti su Giorgio Napolitano. Seppur dilungandosi sul
suo trascorso politico, Friedman non fa apparire chiaro l’eccesivo recente interventismo; infatti, tralascia del tutto l’immobilismo che ha caratterizzato il suo primo
quinquennio di Presidenza. Troppa l’accondiscendenza garantita al Governo
Berlusconi sulle tante incostituzionalità giuridiche in atti da lui promulgati,
che hanno spesso riguardato forzate tutele, sempre bocciate dai pronunciamenti
successivi della Corte Costituzionale.
Spietato
si rivela Friedman su tutto quanto attiene ad Enrico Letta, insignificante
risulta la sua attenzione per Angelino
Alfano e il suo NCD. Brevi flash illuminano Grillo ed il suo movimento, con
giudizi talora severi ma che riconoscono sempre la valenza dei contenuti.
Il
risultato dell’operazione editoriale non corrisponde però agli ambiziosi propositi. La
soluzione adottata, quella cioè di accorpare due libri in uno, lascia dei vuoti in entrambe le parti. Forse questo libro avrebbe avuto maggior valenza se ci
si fosse astenuti dal dilungarsi su tutta una parte dedicata a
soluzioni assai taumaturgiche, immaginate per risolvere una complessa e prolungata
stagnazione socio-economica. Le soluzioni teorizzate, peraltro, seppur frammentate, si ritrovano nei contenuti delle interviste (nelle domande o nelle
risposte rese dagli interessati).
Se
dalla lettura dovessi descrivere i concetti che più mi sono rimasti in mente,
al primo posto metterei senza ombra di dubbio la risposta fornita a Friedman da
Emma Bonino che, in relazione alla crisi italiana, evidenzia essenzialmente la
improrogabilità di una riforma della giustizia per ripristinare in Italia la
certezza dello stato di diritto, da tempo smarrita.
Essec
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