I limiti del bicameralismo perfetto: alibi per una controriforma
Da oltre vent'anni in Italia si punta il dito sull'anomalia rappresentata da un sistema legislativo incentrato su due Camere che hanno uguali competenze e che comportano una duplicazione del procedimento legislativo e del dibattito per la fiducia e l'indirizzo politico fra Governo e Parlamento, con il fenomeno (nella realtà piuttosto raro!) dei disegni di legge che fanno la navetta all'infinito fra Camera e Senato, fin quando non vengono approvati nel medesimo testo dai due rami del Parlamento. Ciò comporta un inevitabile affaticamento della decisione politica ed un rallentamento dei tempi.
Questi inconvenienti si sono incrementati a seguito dell'introduzione di sistemi elettorali non proporzionali che, attraverso premi di maggioranza, soglie di esclusione etc. producono una forte distorsione fra la volontà espressa dal corpo elettorale ed i seggi attribuiti in Parlamento. Data la differenza fra Camera e Senato dei meccanismi premiali e/o di esclusione, è altissimo il rischio che si creino maggioranze politiche differenti fra la Camera ed il Senato, con la conseguente ingovernabilità del sistema politico, effetto perverso, per l’eterogenesi dei fini, dei meccanismi elettorali manipolatori che dovrebbero garantire la stabilità.
Da anni, inoltre, a seguito del rafforzamento dei poteri delle Regioni, si discute dell'opportunità di una seconda Camera che, in qualche modo sia rappresentativa delle autonomie locali, destinata a svolgere una funzione di raccordo fra l'esercizio del potere legislativo da parte dello Stato centrale e le esigenze delle istituzioni territoriali.
A questo riguardo sono stati avanzati dei progetti di riforma tendenti a ridisegnare il ruolo e le funzioni della seconda Camera, elaborati dapprima dalla Commissione bicamerale istituita nel 1997 e presieduta da Massimo D'Alema, e poi nel disegno complessivo di riforma della II parte della Costituzione approvato da una maggioranza di centro destra nel 2005 e bocciato dagli elettori grazie al referendum del 25/26 giugno 2006.
Tutti questi progetti sono naufragati per la loro insostenibilità politica e la loro inutilità istituzionale.
E' singolare che si elimini il Senato, corpo politico elettivo di rappresentanti dei cittadini, per inventare un preteso Senato delle Autonomie, proprio quando si è esaurito il ciclo espansivo dei regionalismo e si prevede di ricondurre allo Stato centrale competenze che, troppo superficialmente sono state assegnate alle Regioni con la riforma del titolo V del 2001.
E' certo, comunque che il c.d. Senato delle Autonomie previsto dalla riforma Renzi non è quell'organismo che una parte della dottrina giuridica aveva preconizzato per raccordare il sistema delle autonomie con lo Stato centrale. Si tratta di un organismo privo di poteri effettivi, politicamente neutro, incapace di avere un ruolo politico.
Da oltre vent'anni in Italia si punta il dito sull'anomalia rappresentata da un sistema legislativo incentrato su due Camere che hanno uguali competenze e che comportano una duplicazione del procedimento legislativo e del dibattito per la fiducia e l'indirizzo politico fra Governo e Parlamento, con il fenomeno (nella realtà piuttosto raro!) dei disegni di legge che fanno la navetta all'infinito fra Camera e Senato, fin quando non vengono approvati nel medesimo testo dai due rami del Parlamento. Ciò comporta un inevitabile affaticamento della decisione politica ed un rallentamento dei tempi.
Questi inconvenienti si sono incrementati a seguito dell'introduzione di sistemi elettorali non proporzionali che, attraverso premi di maggioranza, soglie di esclusione etc. producono una forte distorsione fra la volontà espressa dal corpo elettorale ed i seggi attribuiti in Parlamento. Data la differenza fra Camera e Senato dei meccanismi premiali e/o di esclusione, è altissimo il rischio che si creino maggioranze politiche differenti fra la Camera ed il Senato, con la conseguente ingovernabilità del sistema politico, effetto perverso, per l’eterogenesi dei fini, dei meccanismi elettorali manipolatori che dovrebbero garantire la stabilità.
Da anni, inoltre, a seguito del rafforzamento dei poteri delle Regioni, si discute dell'opportunità di una seconda Camera che, in qualche modo sia rappresentativa delle autonomie locali, destinata a svolgere una funzione di raccordo fra l'esercizio del potere legislativo da parte dello Stato centrale e le esigenze delle istituzioni territoriali.
A questo riguardo sono stati avanzati dei progetti di riforma tendenti a ridisegnare il ruolo e le funzioni della seconda Camera, elaborati dapprima dalla Commissione bicamerale istituita nel 1997 e presieduta da Massimo D'Alema, e poi nel disegno complessivo di riforma della II parte della Costituzione approvato da una maggioranza di centro destra nel 2005 e bocciato dagli elettori grazie al referendum del 25/26 giugno 2006.
Tutti questi progetti sono naufragati per la loro insostenibilità politica e la loro inutilità istituzionale.
E' singolare che si elimini il Senato, corpo politico elettivo di rappresentanti dei cittadini, per inventare un preteso Senato delle Autonomie, proprio quando si è esaurito il ciclo espansivo dei regionalismo e si prevede di ricondurre allo Stato centrale competenze che, troppo superficialmente sono state assegnate alle Regioni con la riforma del titolo V del 2001.
E' certo, comunque che il c.d. Senato delle Autonomie previsto dalla riforma Renzi non è quell'organismo che una parte della dottrina giuridica aveva preconizzato per raccordare il sistema delle autonomie con lo Stato centrale. Si tratta di un organismo privo di poteri effettivi, politicamente neutro, incapace di avere un ruolo politico.
Che il nuovo Senato delle autonomie non debba giocare alcun ruolo
politico ce lo spiega a chiare lettere la relazione introduttiva che ci
svela perchè per Renzi è inaccettabile l'elezione diretta dei Senatori.
Perchè: “potrebbe trascinare con sé il rischio che i senatori si facciano portatori di istanze legate più alle forze politiche che alle istituzioni di appartenenza, ovvero di esigenze particolari circoscritte esclusivamente al proprio territorio, e che la loro legittimazione diretta da parte dei cittadini possa, inoltre, indurli a voler incidere anche sulle scelte di indirizzo politico che coinvolgono il rapporto fiduciario, riservate in via esclusiva alla Camera dei deputati, in tal modo contraddicendo le linee portanti cui è ispirato il disegno di riforma.”
Insomma il nuovo Senato non deve mettere becco nelle questioni politiche, non deve entrare nel gioco delle scelte politiche di governo per non disturbare il manovratore.
Se è lecito nutrire opinioni differenti riguardo alle soluzioni possibili ed opportune per superare gli inconvenienti del bicameralismo perfetto, tuttavia, prima di mettere mano alla riforma, occorre chiedersi che valore ha il bicameralismo nell'esperienza costituzionale della Repubblica italiana e qual'è il senso di una doppia deliberazione parlamentare nel percorso di formazione delle leggi.
Il Bicameralismo è una garanzia politica
Orbene nell'esperienza costituzionale italiana degli ultimi vent'anni, che ha visto avvicendarsi al potere forze politiche animate da una cultura estranea ai principi e valori costituzionali ed inclini a facili abusi ai danni dei diritti fondamentali del cittadino, è emerso tutto il valore del bicameralismo come garanzia politica di primaria importanza per il mantenimento degli equilibri democratici.
Il sistema del bicameralismo, pur in presenza di un Parlamento nel quale è stata annichilita la rappresentanza, grazie ai guasti prodotti dal porcellum, ha consentito di rallentare e rendere più meditata la decisione politica, dando la possibilità alla società civile di interloquire con i suoi rappresentanti istituzionali per correggere le scelte più inaccettabili ed impedire colpi di mano.
Proprio l'esperienza storica di questi ultimi anni ci ha insegnato che, se non vi fosse stato il bicameralismo, sarebbero divenuti legge progetti folli che nella XVI legislatura (2008-2013) sono stati approvati dall'uno o dall'altro ramo del Parlamento, come l'espulsione di migliaia di fanciulli dalle scuole italiane (inserita nel pacchetto di sicurezza Maroni), come il c.d. “processo breve” che consegnava la resa dello Stato alla mafia, o la c.d. legge bavaglio, che disarmava la polizia e la magistratura dei mezzi di investigazione moderni, aprendo la strada all'impunità.
Se è opportuno articolare delle riforme per porre rimedio agli inconvenienti del bicameralismo perfetto, tuttavia non è lecito buttare a mare il bambino e l'acqua sporca. Non si può mettere mano alle riforme senza tenere presente i dati dell'esperienza costituzionale italiana dai quali emerge un'allarmante tendenza al disprezzo dei valori repubblicani ed all'abuso di potere da parte del ceto politico di governo.
Nessuno si oppone, pertanto, ad un’opera di manutenzione della Costituzione che possa rimediare agli inconvenienti del bicameralismo perfetto, ma la grande riforma di Renzi, non interviene sulle inefficienze del bicameralismo.
Essa persegue un altro obiettivo: quello di aggredire la centralità del Parlamento, cominciando ad eliminare una Camera ed assoggettando l'altra, eletta con metodo supermaggioritario, alla supremazia del Governo attraverso l'istituto della tagliola e del voto bloccato.
Il disegno complessivo
In questo modo attraverso la riforma elettorale e la riforma costituzionale che interagiscono fra di loro, viene completamente mutato il volto della democrazia costituzionale come prefigurato dai padri costituenti.
Da un sistema basato sulla rappresentanza e sulla centralità del Parlamento, si passa ad un sistema basato sull'investitura del Capo politico e sulla centralità del Governo;
da un sistema basato sulla distribuzione ed equilibrio dei poteri ad un sistema basato sulla concentrazione dei poteri nelle mani del Capo politico e sull'indebolimento delle istituzioni di garanzia (Presidente della Repubblica, Corte Costituzionale e – per conseguenza – indipendenza della magistratura).
A questo punto possiamo comprendere il grido d'allarme lanciato da Libertà e Giustizia, che vede fra i primi firmatari autorevoli esponenti della cultura costituzionale come Gustavo Zagrebelsky, Stefano Rodotà, Lorenza Carlassare, Alessandro Pace, che il ceto politico renziano vede come fumo negli occhi:
“stiamo assistendo impotenti – recita l'appello – al progetto di stravolgere la nostra Costituzione (..) per creare un sistema autoritario che dà al Presidente del Consiglio poteri padronali. Con la prospettiva di un monocameralismo e la semplificazione accentratrice dell’ordine amministrativo – prosegue l'appello –, l’Italia di Matteo Renzi e di Silvio Berlusconi cambia faccia mentre la stampa, i partiti e i cittadini stanno attoniti (o accondiscendenti) a guardare. La responsabilità del Pd è enorme poiché sta consentendo l’attuazione del piano che era di Berlusconi, un piano persistentemente osteggiato in passato a parole e ora in sordina accolto.”
Sono parole pesanti come pietre che devono farci riflettere. Questo progetto di stravolgere la Costituzione per operare una vera e propria svolta autoritaria può diventare un gigante dai piedi d'argilla e sfaldarsi in corso d'opera, com'è capitato agli analoghi progetti articolati in un passato recente, se noi saremo in grado di far comprendere il suo significato ad un pubblico sempre più vasto. Il punto centrale è la conoscenza; occorre una straordinaria mobilitazione di base, come avvenne con il referendum del 2006; occorre che un popolo di formiche si metta in moto per costruire un senso comune ed una corretta informazione sulle riforme di Matteo.
Noi riteniamo che la conoscenza sia l'ostacolo principale a questo progetto, convinti che le riforme di Matteo: se le conosci le eviti.
Domenico Gallo (Micromega - 7 luglio 2014)
Perchè: “potrebbe trascinare con sé il rischio che i senatori si facciano portatori di istanze legate più alle forze politiche che alle istituzioni di appartenenza, ovvero di esigenze particolari circoscritte esclusivamente al proprio territorio, e che la loro legittimazione diretta da parte dei cittadini possa, inoltre, indurli a voler incidere anche sulle scelte di indirizzo politico che coinvolgono il rapporto fiduciario, riservate in via esclusiva alla Camera dei deputati, in tal modo contraddicendo le linee portanti cui è ispirato il disegno di riforma.”
Insomma il nuovo Senato non deve mettere becco nelle questioni politiche, non deve entrare nel gioco delle scelte politiche di governo per non disturbare il manovratore.
Se è lecito nutrire opinioni differenti riguardo alle soluzioni possibili ed opportune per superare gli inconvenienti del bicameralismo perfetto, tuttavia, prima di mettere mano alla riforma, occorre chiedersi che valore ha il bicameralismo nell'esperienza costituzionale della Repubblica italiana e qual'è il senso di una doppia deliberazione parlamentare nel percorso di formazione delle leggi.
Il Bicameralismo è una garanzia politica
Orbene nell'esperienza costituzionale italiana degli ultimi vent'anni, che ha visto avvicendarsi al potere forze politiche animate da una cultura estranea ai principi e valori costituzionali ed inclini a facili abusi ai danni dei diritti fondamentali del cittadino, è emerso tutto il valore del bicameralismo come garanzia politica di primaria importanza per il mantenimento degli equilibri democratici.
Il sistema del bicameralismo, pur in presenza di un Parlamento nel quale è stata annichilita la rappresentanza, grazie ai guasti prodotti dal porcellum, ha consentito di rallentare e rendere più meditata la decisione politica, dando la possibilità alla società civile di interloquire con i suoi rappresentanti istituzionali per correggere le scelte più inaccettabili ed impedire colpi di mano.
Proprio l'esperienza storica di questi ultimi anni ci ha insegnato che, se non vi fosse stato il bicameralismo, sarebbero divenuti legge progetti folli che nella XVI legislatura (2008-2013) sono stati approvati dall'uno o dall'altro ramo del Parlamento, come l'espulsione di migliaia di fanciulli dalle scuole italiane (inserita nel pacchetto di sicurezza Maroni), come il c.d. “processo breve” che consegnava la resa dello Stato alla mafia, o la c.d. legge bavaglio, che disarmava la polizia e la magistratura dei mezzi di investigazione moderni, aprendo la strada all'impunità.
Se è opportuno articolare delle riforme per porre rimedio agli inconvenienti del bicameralismo perfetto, tuttavia non è lecito buttare a mare il bambino e l'acqua sporca. Non si può mettere mano alle riforme senza tenere presente i dati dell'esperienza costituzionale italiana dai quali emerge un'allarmante tendenza al disprezzo dei valori repubblicani ed all'abuso di potere da parte del ceto politico di governo.
Nessuno si oppone, pertanto, ad un’opera di manutenzione della Costituzione che possa rimediare agli inconvenienti del bicameralismo perfetto, ma la grande riforma di Renzi, non interviene sulle inefficienze del bicameralismo.
Essa persegue un altro obiettivo: quello di aggredire la centralità del Parlamento, cominciando ad eliminare una Camera ed assoggettando l'altra, eletta con metodo supermaggioritario, alla supremazia del Governo attraverso l'istituto della tagliola e del voto bloccato.
Il disegno complessivo
In questo modo attraverso la riforma elettorale e la riforma costituzionale che interagiscono fra di loro, viene completamente mutato il volto della democrazia costituzionale come prefigurato dai padri costituenti.
Da un sistema basato sulla rappresentanza e sulla centralità del Parlamento, si passa ad un sistema basato sull'investitura del Capo politico e sulla centralità del Governo;
da un sistema basato sulla distribuzione ed equilibrio dei poteri ad un sistema basato sulla concentrazione dei poteri nelle mani del Capo politico e sull'indebolimento delle istituzioni di garanzia (Presidente della Repubblica, Corte Costituzionale e – per conseguenza – indipendenza della magistratura).
A questo punto possiamo comprendere il grido d'allarme lanciato da Libertà e Giustizia, che vede fra i primi firmatari autorevoli esponenti della cultura costituzionale come Gustavo Zagrebelsky, Stefano Rodotà, Lorenza Carlassare, Alessandro Pace, che il ceto politico renziano vede come fumo negli occhi:
“stiamo assistendo impotenti – recita l'appello – al progetto di stravolgere la nostra Costituzione (..) per creare un sistema autoritario che dà al Presidente del Consiglio poteri padronali. Con la prospettiva di un monocameralismo e la semplificazione accentratrice dell’ordine amministrativo – prosegue l'appello –, l’Italia di Matteo Renzi e di Silvio Berlusconi cambia faccia mentre la stampa, i partiti e i cittadini stanno attoniti (o accondiscendenti) a guardare. La responsabilità del Pd è enorme poiché sta consentendo l’attuazione del piano che era di Berlusconi, un piano persistentemente osteggiato in passato a parole e ora in sordina accolto.”
Sono parole pesanti come pietre che devono farci riflettere. Questo progetto di stravolgere la Costituzione per operare una vera e propria svolta autoritaria può diventare un gigante dai piedi d'argilla e sfaldarsi in corso d'opera, com'è capitato agli analoghi progetti articolati in un passato recente, se noi saremo in grado di far comprendere il suo significato ad un pubblico sempre più vasto. Il punto centrale è la conoscenza; occorre una straordinaria mobilitazione di base, come avvenne con il referendum del 2006; occorre che un popolo di formiche si metta in moto per costruire un senso comune ed una corretta informazione sulle riforme di Matteo.
Noi riteniamo che la conoscenza sia l'ostacolo principale a questo progetto, convinti che le riforme di Matteo: se le conosci le eviti.
Domenico Gallo (Micromega - 7 luglio 2014)
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