sabato 12 luglio 2014

Le bugie più diffuse sulla "questione palestinese"

 La fondazione dello Stato d’Israele ha provocato, nella popolazione araba, massacri, terre confiscate, proprietà devastate e centinaia di migliaia di profughi. Una ferita che continua a sanguinare da oltre 60 anni, mostrando la “questione palestinese” come senza soluzione. È effettivamente difficile vedere uno spiraglio di luce nelle tenebre che attanagliano l’area; di certo nessuna speranza può diventare realtà se continuano a essere diffuse menzogne propagandistiche. Storici e opinionisti hanno scritto chilometri di saggi e studi a tal proposito; noi ci siamo limitati a decostruire alcuni miti che vengono tramandati di generazione in generazione.
 Dal 15 maggio 1948 la popolazione palestinese ha subito un esodo senza precedenti, a seguito della dichiarazione di indipendenza dello Stato di Israele (nato all’indomani della fine del mandato britannico sulla Palestina). Questo evento viene rievocato annualmente nel ricordo della “Nakba“, in arabo “catastrofe”. Gli arabi espulsi dalle proprie terre sono stati oltre 700mila. Ai discendenti viene negato ancora oggi il diritto al ritorno: circa 4.250.000 persone non possono mettere piede sulla terra dei propri padri. Ma com’era la vita nella Palestina prima della Nakba? Vi proponiamo una gallery (le cui foto sono state prese principalmente, ma non solo, da questa pagina).
 
Bugia n.1: “Tra Israele e Palestina è in corso una guerra”
Nulla di più falso. Non esiste una guerra israelo-palestinese, così come non esistono due eserciti. Esiste un’occupazione militare riconosciuta come tale anche dalla Corte Internazionale di Giustizia (si legga a tal riguardo l’advisory opinion del 9 luglio 2004 sull’illegalità del muro dell’apartheid).
La Quarta Convenzione di Ginevra regolamenta le condizioni umanitarie dei civili in zona di guerra e, in particolare nella sezione 3, pone dei limiti di condotta nei territori sottoposti a occupazione militare; all’art.49 dichiara proibita ogni deportazione di civili da e verso i territori occupati, qualsiasi sia la ragione.
L’Assemblea Generale della Nazioni Unite – nella risoluzione A/RES/33/24 del 29 novembre 1978 - “riafferma la legittimità della lotta dei popoli per l’indipendenza, l’integrità territoriale, l’unità nazionale e la liberazione dalla dominazione coloniale straniera e dall’occupazione straniera attraverso tutti i mezzi a disposizione, in particolar modo la lotta armata” e “il diritto inalienabile del popolo palestinese all’autodeterminazione, all’indipendenza nazionale, all’integrità territoriale, all’unità nazionale e alla sovranità senza alcun interferenza esterna”.
Nella risoluzione A/RES/3246 (XXIX) del 29 novembre 1974, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite “condanna fortemente tutti i governi che non riconoscono il diritto all’autodeterminazione e all’indipendenza dei popoli sotto dominazione straniera e coloniale e sotto l’oppressione esterna, in particolar modo i popoli d’Africa e il popolo palestinese”.
  
Bugia n.2: “Il problema di fondo è la convivenza tra religioni diverse”
Questo è il messaggio più pericoloso che possa arrivare. L’assioma dello ‘scontro tra civiltà’ – i cui sostenitori non possono né dimostrarlo né metterlo in discussione – sostiene che giudaismo e Islam siano incompatibili. Ed è l’Islam – seguendo questo paradigma – a fungere da parafulmine delle accuse e delle paure dell’Occidente. Quello che questa posizione evita di dire è che esiste una lunghissima e consolidata storia di pacifica convivenza tra i credenti delle due religioni monoteistiche.
Nel 711 gli ebrei accolsero con speranza la conquista musulmana della Spagna. L’esercito dei mori lasciò la difesa di Cordoba nelle mani degli ebrei; Granada, Malaga e Siviglia furono invece protette da un esercito misto di ebrei e mori. Dopo un secolo di persecuzioni per mano dei cristianissimi visigoti, gli ebrei spagnoli poterono finalmente vivere in serenità, pace e prosperità, a tal punto che la Spagna musulmana divenne polo di attrazione per ebrei da tutta Europa.
Per secoli gli ebrei – per citare un altro dei tantissimi esempi storici -  hanno coesistito con i musulmani nell’Impero Ottomano, che accolse attivamente il popolo ebraico per “alleviare i tormenti subiti nel mondo cristiano” offrendo loro “sicurezza e prosperità”, come scriveva nel XV sec. il rabbino Yitzhak Sarfati di Edirne.
Anche se per un solo istante provassimo a non considerare le barbarie dell’Olocausto, sapremmo comunque che l’Europa è stata raramente cordiale con gli ebrei. Sono stati perseguitati per secoli. Come nel XIV sec. in Italia o nel XV sec. in Spagna, dove – a causa dell’Inquisizione – ci furono deportazioni ed espulsioni di massa. Nello stesso periodo gli ebrei d’Europa furono accolti in Medio Oriente, dove poterono finalmente godere di diritti sociali e politici ed esercitare la propria fede religiosa all’ombra della protezione delle autorità islamiche.
Lasciando la Storia e tornando ai giorni nostri, resta comunque estremamente superficiale pensare che in Palestina ci sia uno scontro tra ebrei e musulmani, ignorando del tutto – tra l’altro – l’identità dei cristiani palestinesi.
Professare il giudaismo non vuol dire essere sionisti. Basti pensare ai Naturei Karta o ai True Torah Jews, organizzazioni di ebrei ortodossi che si oppongono alle violazioni dei diritti umani dello “Stato ebraico” – da cui non si sentono affatto rappresentati.
Così come essere musulmani non implica in automatico sostenere le aspirazioni all’autodeterminazione del popolo palestinese. Il sionismo islamico ha le proprie radici nello stesso Corano. Ad esempio, nella sura 5 aya 21, il profeta Musa (Mosè) parla ai figli d’Israele, dicendo: “O popol mio, entrate nella terra santa che Allah vi ha destinata”. È interessante anche considerare che l’ex-presidente dell’Indonesia (il più grande stato islamico al mondo) Abdurrahman Wahid (1999-2001), è noto per le sue posizioni dichiaratamente sioniste.

Bugia n.3: “I governi arabi sono – sempre e comunque – con i palestinesi”
È ora che cada anche questo mito. In molti paesi arabi i palestinesi (arrivati come rifugiati dopo la Nakba) non possono diventare cittadini – coerentemente con la risoluzione 1547/1959 della Lega Araba, per “preservare l’identità palestinese” – e neanche i bambini nati da genitori palestinesi  possono avere la cittadinanza, violando l’art.7 della Convenzione dei diritti del fanciullo. Se da un lato Israele nega ai profughi palestinesi il diritto al ritorno (garantito dalla risoluzione 194/1948 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite), dall’altro molti paesi arabi hanno adottato una politica di intransigenza nei confronti della questione. Lasciando i palestinesi in condizioni spesso disumane e in totale dipendenza dalle erogazioni assistenziali delle agenzie ONU.
Giordania
1967: I gazawi immigrati dopo la Guerra dei Sei Giorni non possono diventare cittadini giordani. Ancora oggi circa 165mila persone non possono godere della cittadinanza e dipendono quasi esclusivamente dall’UNRWA.
1970: Settembre Nero, uccisi tra i 3500 e i 5000 palestinesi.
2010: I palestinesi che hanno la cittadinanza non hanno un trattamento equo nell’esercito, nell’ottenimento delle borse di studio e nell’accesso in alcune università.
Egitto:
1949 – 1956: Ai palestinesi era negata l’istruzione e l’occupazione professionale.
2013: Centinaia di palestinesi rifugiati dalla Siria sono stati imprigionati alla frontiera.
2013: Chiuso il valico di Rafah, imprigionando de facto un milione e mezzo di Gazawi già assediati da Israele.
Libano:
1962: Palestinesi classificati come “stranieri”. Ben 73 professioni erano negate – fino al 2010 – per i palestinesi. Ora sono “solo” 50. Non possono lavorare come fisici, giornalisti, farmacisti o avvocati. Non possono costruire case né possedere proprietà. Non sono autorizzati a vivere all’infuori dei campi profughi.
1975-78: Almeno 5000 palestinesi uccisi nella guerra civile
1985-88: Migliaia di vittime nella “Guerra dei campi”
2013: I profughi siriani di origine palestinesi iniziano a non essere più accolti nel Paese
Kuwait:
1991: Guerra del Golfo, 200mila palestinesi scappano dopo che l’esercito iracheno di occupazione uccide circa 4mila dimostranti palestinesi.
Libia:
1994-1995: Vengono espulsi circa 30mila palestinesi.
2011: Imposta una tassa speciale di 1550 dollari per i palestinesi.
Iraq:
2005: Dopo la caduta di Saddam Hussein, i palestinesi in Iraq hanno subito violenze estreme da parte dei gruppi armati. In un clima di discriminazione mediatica e politica, circa 15mila palestinesi sono stati costretti a lasciare il Paese.
Qatar:
1994: Negato il rilascio di permessi di soggiorno per lavoro ai palestinesi.
Siria:
1970:  I palestinesi non possono votare, né possedere fattorie o più di una proprietà.
2005-2008: Alle migliaia di palestinesi in fuga dall’Iraq è stato negato l’ingresso in Siria.
2012-oggi: Oltre 2200 palestinesi uccisi durante la Rivoluzione siriana. Di questi circa 150 nel campo di Yarmouk, assediato dalle truppe del regime.

 4) La Palestina era una terra disabitata.
Guardate questa fotogallery, vale più di mille parole.
Valerio Evangelista (Frontierenews.it - 11 luglio 2014)
 

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