Prendete un qualunque manuale di diritto.
Consultate il capitolo «fonti normative ». Cercate la voce «linee guida
». Non la troverete. Dunque, dal punto di vista giuridico, al Consiglio
dei ministri non è successo nulla. La sede è ufficiale, la rivoluzione è
virtuale. Il governo «parla» di riforma della giustizia. Non «approva»
la riforma della giustizia. Accenna un «indice» generico. Non licenzia
un provvedimento legislativo .
È una differenza sostanziale, che lo spin renziano tende a
dissimulare. Ma nella giustizia, come nell’economia, è necessario
distinguere con rigore i risultati dagli obiettivi. Nel metodo, sarebbe
troppo facile ricordare le promesse fatte e tradite. Era il 17 febbraio,
e Renzi aveva appena ricevuto l’incarico da Napolitano, quando
annunciava il suo famoso «cronoprogramma » da «una riforma al mese»:
legge elettorale e Senato a febbraio, mercato del lavoro a marzo,
Pubblica Amministrazione ad aprile, fisco a maggio, giustizia e Welfare a
giugno. Da allora il premier non ha «arretrato di un millimetro»: «La
riforma della giustizia si fa entro giugno». L’ha giurato e rigiurato:
il 30 maggio in conferenza stampa a Palazzo Chigi, il 31 maggio in
un’intervista alla “Stampa”, il 1° giugno al Festival dell’economia di
Trento, il 7 giugno alla “Repubblica delle Idee” di Napoli, il 13 giugno
dopo il Consiglio dei ministri, il 14 giugno all’assemblea del Pd.
L’ultima promessa se l’è intestata Maria Elena Boschi il 20 giugno: «La
riforma della giustizia sarà al Consiglio dei ministri del 30».
Il fatidico 30 è arrivato. Com’era prevedibile, la riforma non c’è.
Ci sono, appunto, le «linee guida». Le «dodici palle» buttate in campo
dal ministro Orlando, come le ha definite lo stesso Renzi, tanto per
dare più credibilità al progetto. Dove rotoleranno queste «palle», nei
prossimi due mesi di «discussione», nessuno lo può sapere. Ma questo,
più che un grande esercizio di «democrazia partecipata», ha l’aria di
essere un astuto escamotage per comprare tempo e per vendere una merce
che non si possiede. Come accade spesso a Renzi, affezionato a una
visione quasi schopenaueriana del «governo come rappresentazione della
volontà ». Un leggero vizio nel dispiegamento della leadership, se è
vero che questo metodo lo ha sempre adottato anche da sindaco a Firenze.
Ma anche un pesante fardello imposto dall’Europa, se è vero che nelle
«Raccomandazioni all’Italia» approvate dal Consiglio europeo venerdì
scorso si legge, al punto 11 di pagina 9: «La corruzione continua a
pesare in modo significativo sul sistema produttivo… C’è bisogno di
rivedere i tempi dell’istituto della prescrizione. Un’effettiva lotta
contro la corruzione richiede il conferimento di poteri adeguati
all’Autorità Nazionale Anti-corruzione. Persistono inefficienze nella
giustizia civile e l’impatto delle misure adottate avrà bisogno di
essere attentamente monitorato». Dunque, nella settimana in cui assume
la presidenza di turno dell’Unione, è chiaro che l’Italia non può
presentarsi a mani vuote di fronte all’Europa, anche sul tema della
giustizia. E dunque le «linee guida» sono meglio di niente.
Nel merito, i «titoli» dell’indice renziano sono condivisibili.
Dimezzare i 5 milioni di cause arretrate nel civile è doveroso. Com’è
doveroso per il Csm fondare la progressione di carriera sul merito e non
sulle correnti. Inasprire le norme sul falso in bilancio e
l’autoriciclaggio è urgente. Com’è urgente accelerare il processo penale
e allungare i termini della prescrizione. Una forma di responsabilità
civile «indiretta» per i magistrati può essere opportuna. Com’è
opportuna una disciplina più stringente sulla pubblicazione delle
intercettazioni. Ed è bene che su una materia così sensibile il governo
rinunci a diktat che riecheggiano le leggi-bavaglio di Berlusconi. Ma a
Renzi, che chiede «consigli» ai giornalisti, basterebbe ricordare quello
che scriveva Giuseppe D’Avanzo su questo giornale, l’11 giugno 2008:
«Occorre separare le conversazioni utili a formare la prova da quelle,
non utili, relative alla vita privata degli indagati e delle persone
estranee alle indagini, le cui conversazioni siano state raccolte per
caso. Bisogna separare le prime dalle seconde dinanzi a un giudice, alla
presenza delle difese e, per impedire la divulgazione e la
pubblicazione delle conversazioni non utili alle indagini, è necessario
estendere a questa procedura il vincolo della segretezza, prevedendo
sanzioni severe per i trasgressori…».
Com’è chiaro da queste parole, non è
vero che in Italia sulla giustizia «da 20 anni si litiga senza
discutere» come sostiene il premier, affezionato all’idea che dal 1994
in poi si sia combattuto un «derby ideologico» tra fazioni (e non si sia
invece consumata l’aggressione sistematica dell’esecutivo contro il
giudiziario, attraverso il braccio armato e servente del legislativo).
Durante il Ventennio berlusconiano molto è andato distrutto. E per
questo molto si è discusso. Ma molto si è anche proposto, per chi si
fosse preso la briga di studiare testi e ricostruire fatti. Fino a pochi
giorni fa, disegni di legge sull’autoriciclaggio e sulla prescrizione
lunga erano già in discussione in Parlamento. Li ha congelati proprio
Renzi, rivendicando legittimamente al governo il diritto-dovere di
varare una «riforma organica». Ma proprio per questo, adesso, aspettiamo
quella, non le «dodici palle» di Orlando.
Massimo Giannini (Jack's Blog - La Repubblica - 1 luglio 2014)
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