Secondo fonti sperabilmente non autorevoli,
Roberto Calderoli avrebbe chiesto la revoca della macumba orchestrata ai
suoi danni dal padre del ministro italoafricano Cécile Kyenge (clicca qui) , offeso per le dichiarazioni razziste del politico italopadano. Una macumba fortunatamente non è una fatwa.
Ma sfortunatamente ha coinciso con una consistente raffica di
sciagure ai danni del suo destinatario: ricoveri in ospedale, acciacchi
di varia entità, lutti familiari, infine l’intrusione in casa di un
ragguardevole serpente (enorme per i parametri italiani), un magnifico
biacco di un paio di metri, non velenoso, che Calderoli ha accoppato a
randellate attirandosi la peggiore di tutte le disgrazie, l’ira degli
animalisti che vogliono vederlo ai ceppi.Va detto che la superstizione è un territorio nel quale anche il più savio e ragionevole degli umani rischia di perdere la trebisonda, e dare il peggio di sé. Ma che un così autorevole leader (sta lavorando, anzi ri-lavorando al riassetto istituzionale della Repubblica italiana, già da lui ampiamente manomesso in passato) possa collegare eventi della propria esistenza a una maledizione tribale, non è una notizia che rallegri. O meglio: fa ridere. Ma non rallegra. Perché rivela una vulnerabilità culturale piuttosto rattristante, e davvero inspiegabile in uno dei capi più insigni di un movimento identitario come la Lega, che alle macumbe dovrebbe guardare con irridente distacco, come l’evoluto uomo bianco guarda al folklore primitivo.
Lo stesso ministro Kyenge, che il macumbato paragonò a un orango confermando — vedi biacco — un rapporto totalmente scriteriato con il mondo animale, ha in qualche modo richiamato Calderoli alle credenze e ai costumi a lui propri, tipo il cattolicesimo (che condanna severamente magia e superstizione). Ma non è certo che l’invito possa essere raccolto, e sia di conforto al nostro. I più attenti osservatori del costume nazionale, nonché regionale, ricorderanno infatti che Calderoli volle prendere moglie, a suo tempo, secondo il rito celtico, con tiritere druidiche e costumi boschivi, chissà se importati da un varietà di Las Vegas o cuciti da sartine padane (comunque su cartamodelli di Las Vegas).
Giù in quella pittoresca cerimonia, a ripensarci, si poteva intuire un notevole eclettismo religioso, e una lodevole apertura a culture anche molto distanti dalla Padania odierna. Levato il razionalismo, che è l’ideologia morente di un’Europa in totale crisi di panico, dalle parti di Calderoli il terreno è fertile per credenze di ogni natura e di ogni taglia, macumbe, pozioni magiche, gli elmi cornuti, Braveheart che corre urlando nella brughiera, i dolmen che comunicano con gli alieni, perfino il Sole delle Alpi, simbolo cultuale così poco conosciuto fino a ieri l’altro che neppure la redazione di Voyager sarebbe in grado di costruirci sopra un servizio decente.
Le statistiche, del resto, dicono cose
molto poco confortanti sul dilagare delle pratiche magiche in
proporzione all’aggravarsi della crisi e al sentimento dell’insicurezza,
economica e personale. Nel Nord Italia il fatturato del comparto è
fiorentissimo, anche se in nero (la fattura senza fattura piace molto a
maghi e fattucchiere). Almeno in questo senso, tra eletti ed elettori la
sintonia è perfetta. Si convochi a Pontida una cerimonia di guarigione e
salvezza contro la macumba, elmi cornuti e cornamuse contro il suono
minaccioso del tam tam (lo stesso dei telefilm di Tarzan). Facendo
attenzione, per carità, a non calpestare i serpenti.
Michele Serra (Jack's Blog - La Repubblica - 27 agosto 2014)
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