Ma
è mai possibile che in Italia appena uno pone una questione un po’
seria, anche se scomoda, debba essere sommerso dal coro di indignazione
bipartisan come sta capitando al deputato Cinquestelle Alessandro Di
Battista (‘abominevole’, ‘pericoloso’, ‘ignorante’, ‘nemico interno’
fino al ‘minchione’ appioppatogli da Francesco Merlo)? Eppure Di
Battista affronta un nodo cruciale per capire la nascita, la crescita e
l’affermarsi del radicalismo islamico: di fronte a un nemico invisibile o
irraggiungibile, perché ti bombarda con robot teleguidati da migliaia
di chilometri di distanza o con caccia che, senza una contraerea, non
possono essere colpiti, che cosa resta a una resistenza? O subire
passivamente o darsi al terrorismo. La questione non è nuova e prende il
nome di ‘guerra asimmetrica’ che si ha quando la sproporzione
tecnologica degli armamenti fra due contendenti è tale che uno può
colpire e l’altro solo subire o opporsi col proprio corpo. Tutte le
guerre occidentali degli ultimi anni sono state ‘asimmetriche’ e hanno
incoraggiato anzi imposto metodi terroristi ai nostri avversari.
La
prima fu in Afghanistan. Gli afgani, storicamente, non sono mai stati
terroristi, tantomeno kamikaze. Il terrorismo è estraneo alla loro
tradizione. Sono dei guerriglieri, che è cosa diversa. Nel 2006 ci fu
un’importante riunione fra i comandanti talebani e il Mullah Omar. I
comandanti dissero, pressappoco, al loro leader: “Guarda che noi non
possiamo combattere solo con le tecniche della guerriglia. Come
ingaggiamo uno scontro arrivano i bombardieri della Nato e per un nemico
che uccidiamo perdiamo quindici uomini. Non è possibile andare avanti
così.” Chiesero quindi al Mullah l’autorizzazione ad utilizzare anche il
terrorismo. Omar, sulle prime, era contrario. Per due motivi. Perché,
appunto, il terrorismo è estraneo alla cultura afgana e a lui, custode
fanatico della tradizione del suo Paese, la cosa non piaceva. Il secondo
motivo era molto più pragmatico. L’attentato terrorista, anche se
mirato a obbiettivi militari o politici, provoca inevitabilmente anche
vittime civili. E a tutto avevano interesse i Talebani tranne che a
inimicarsi la popolazione sul cui appoggio si sostengono. Ma alla fine
dovette cedere di fronte all’evidenza. Nacque così il terrorismo
interno afgano.
Noi
oggi ci scandalizziamo per la ferocia dei guerriglieri dell’Isis (che
chiamiamo ‘terroristi’ perché tutti coloro che ci combattono sono, ai
nostri occhi, terroristi, solo noi non lo siamo) che mozzano le teste ai
nemici e uccidono anche i bambini (che li seppelliscano vivi mi sembra
una leggenda propagandistica tipo quella d’antan che voleva che
i comunisti mangiassero i bambini). Ma nella prima guerra del Golfo,
nel 1990, i bombardamenti americani hanno ucciso 160 mila civili, fra
cui 39.812 donne e 32.195 bambini (dati al di sopra di ogni sospetto:
del Pentagono) che non sono meno bambini dei bambini curdi e sciiti o
dei nostri bambini. Ma nessuno, in Occidente, si scandalizzò. Se devo
scegliere in questa guerra degli orrori scelgo quelli dell’Isis. Perché
perlomeno il guerrigliero si implica personalmente, mentre il pilota che
telecomanda il drone da Nellis nel Nevada non corre alcun rischio e,
dopo aver fatto la sua bella strage, se ne torna a casa dove la sua
linda mogliettina americana gli ha preparato una cenetta.
Ci
scandalizziamo, oggi, per la persecuzione degli yazidi. Gli yazidi, sia
pur di religione sufi, sono curdi iracheni. E per dieci anni la Turchia
e Saddam Hussein, in combutta fra di loro, hanno massacrato i curdi
iracheni, e quindi anche gli yazidi, la prima col pieno appoggio degli
americani che han sempre temuto che l’indipendentismo curdo-iracheno
innescasse quello dei curdi di Turchia, la loro grande alleata nella
regione (in Turchia i curdi sono 12 milioni), il secondo foraggiato
direttamente dagli Stati Uniti che gli fornirono anche le famose ‘armi
di distruzione di massa’ in funzione antiraniana e , appunto, anticurda.
Ma in Occidente tutti facevano orecchio da mercante. Quando ci fu, nel
1989, la strage nel villaggio di Halabya (5000 curdi ‘gasati’ in un sol
colpo) diedi la notizia sull’’Europeo’. Ma nessuno, almeno in Italia, la
riprese. Saddam era un amico.
Nel
suo ‘excursus’ storico, tutt’altro che ‘scombiccherato’ come scrive
Merlo, Di Battista ricorda che è dal 1920 che gli occidentali, prima gli
inglesi e i francesi, poi anche gli americani, fanno il bello e il
cattivo tempo in Medio Oriente e altrove. Proprio l’Iraq è una creazione
cervellotica degli inglesi che nel 1930 misero insieme in uno Stato tre
comunità che non avevano niente a che vedere fra loro: curdi, sunniti e
sciiti. Ma rimaniamo a tempi più recenti. Sono quindici anni che
l’Occidente democratico è all’attacco del mondo arabo-musulmano. Nel
2001 c’è stata l’invasione e l’occupazione dell’Afghanistan che ha
provocato una guerra che dura da quattordici anni, la più lunga degli
ultimi secoli, e un numero di vittime civili incalcolabile,
incalcolabile in quanto non calcolato perché degli afgani, non essendo
arabi né tantomeno cristiani o ebrei, si può fare carne di porco. I
Talebani dopo aver sconfitto i ‘signori della guerra’ e posto fine alla
guerra civile avevano riportato l’ordine e la legge, sia pur una dura
legge, nel Paese. Ma non erano democratici e quindi andavano spazzati
via.
Nel
2003 c’è stata l’invasione e occupazione dell’Iraq che ha provocato,
direttamente o indirettamente, dai 650 ai 750 mila morti. Ma Saddam, che
avevamo sostenuto per vent’anni, era un dittatore che non ci piaceva
più. L’Iraq doveva diventare democratico. Dopo che gli americani se ne
sono andati è scoppiata la guerra civile tra sunniti e sciiti. C’erano
centinaia di morti alla settimana, però la cosa ai sensibili democratici
occidentali non interessava più. Eppure è proprio da quella situazione,
combinata col conflitto siriano, che nasce l’Isis, una sorta di
internazionale del radicalismo islamico dove, oltre a iracheni e
siriani, convergono libici, libanesi, somali e anche europei. Ma della
pericolosità dell’Isis i democratici occidentali, impegnati in altri
affari, non si sono resi conto. Io la denunciavo già in un articolo sul
‘Fatto’ del 21 giugno: “Guerra in Iraq: trappola per l’Occidente”. Le
‘teste d’uovo’ occidentali (e anche papa Bergoglio) se ne sono accorte
solo un paio di settimane fa.
Nel
2006/2007 c’è stato l’attacco, per interposta Etiopia, alla Somalia
dove le Corti Islamiche (una sorta di talebani africani) avevano
sconfitto i ‘signori della guerra’ locali e come in Afghanistan
riportato l’ordine e la legge, sia pur una dura legge, in quel Paese. Ma
le Corti non erano democratiche. Dovevano essere eliminate. Ora la
Somalia è in piena guerra civile.
Nel
2011 c’è stato l’attacco alla Libia del dittatore Gheddafi, con cui
avevamo fornicato fino al giorno prima. Ma bisognava portare la
democrazia anche in quel Paese. E adesso la Libia è nel caos più totale.
Il
fatto è che l’Occidente democratico dopo aver sconfitto i totalitarismi
del Novecento è diventato a sua volta totalitario e pretende di
esportare i propri valori, la propria ‘way of life’ e soprattutto il
proprio modello economico in tutto l’universo mondo. E’ quello che in un
libro fortunato, ho chiamato ‘Il vizio oscuro dell’Occidente’. Ed è
proprio questa pretesa di omologazione universale, questa pressione
ossessiva, militare, economica, ideologica, culturale (la donna
musulmana deve assimilarsi a quella occidentale, eccetera) che evoca un
radicalismo islamico che reagisce con un ideologismo altrettanto
totalitario. Anche un musulmano moderato a furia di sentirsi incalzato
dall’Occidente diventa un estremista.
In
quanto alla maestrina Merlo, grande esperto di geopolitica benché non
si sia mai letto un suo reportage dall’estero, vorrei che ci spiegasse
perché definire i curdi, gli sciiti e i sunniti tre comunità
profondamente diverse fra loro sia un ‘errore da matita blu’. Attendiamo
ulteriori lezioni.
Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 20 agosto 2014)
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