giovedì 28 agosto 2014

L’ULTIMO BACIO

Ventun anni dopo le prime rivelazioni del suo ex autista pentito Balduccio Di Maggio ai pm di Palermo, Salvatore Riina conferma – intercettato mentre si confida con il suo compagno di ora d’aria – ciò che chiunque conosce le carte del processo ha sempre saputo: e cioè che nel 1987 il capo di Cosa Nostra incontrò per davvero il sette volte capo del governo Giulio Andreotti, allora ministro degli Esteri, in casa di Ignazio Salvo a Palermo. Lo incontrò, ma non lo baciò. Quante ironie, aggressioni e lapidazioni hanno subìto i pm Caselli, Lo Forte, Natoli e Scarpinato che ebbero l’ardire di istruire il processo al politico più potente della Prima Repubblica, indagando su quel summit e portandone le prove. Ironie che partivano da un dettaglio trascurabile, il bacio, anziché dalla sostanza: il colloquio col boss.
Ora a quelle prove si aggiunge l’ammissione di Totò ‘u curtu, ma c’è da giurare che anche questa cadrà nel dimenticatoio: Andreotti è morto da padre della patria, omaggiato dal presidente della Repubblica Napolitano, del Consiglio Letta e del Senato Grasso (già capo della Procura di Palermo e poi di quella Nazionale Antimafia). Tutti sanno benissimo che fu per decenni un complice della mafia, ma questa verità non si poteva dire prima della confessione di Riina, e non si può dirla nemmeno ora. Sarebbe la miglior conferma del patto occulto fra Stato e mafia che aveva retto fino a metà degli anni 80 e che, dopo una breve crisi, fu rinnovato nel 1992-‘93 con la trattativa aperta dai politici della Prima Repubblica tramite il Ros e chiusa dagli alfieri della Seconda tramite Dell’Utri (non a caso condannato per mafia e ora recluso a Parma a poche celle di distanza da Riina). Del resto, non c’era bisogno delle parole di Riina per provare la mafiosità di Andreotti: bastava la sentenza definitiva della Cassazione, che dava per assodati i suoi incontri con i boss Frank “Tre Dita” Coppola, Tano Badalamenti, Stefano Bontate (due volte, per discutere del delitto Mattarella, prima e dopo che venisse perpetrato), Nino e Ignazio Salvo e Andrea Maciaracina (fedelissimo di Riina). Il tutto fino alla primavera del 1980. Ora sappiamo, dalla viva voce dell’unico superstite insieme a Di Maggio, che ci fu pure il summit con Riina nell’87. Che avrebbe comportato per il Divo Giulio non la prescrizione, ma la condanna per mafia, se i giudici non l’avessero considerato insufficientemente provato. 
E dire che, anche senza la parola di Riina, il processo già pullulava di prove. Cosa raccontò Di Maggio il 16 aprile 1993 ai pm Giuseppe Pignatone e Franco Lo Voi? Di aver accompagnato Riina in casa Salvo all’incontro con Andreotti, iniziato con il bacio rituale del boss al ministro. Ciccio Ingrassia, grande attore siciliano, commentò: “Non so se i due si siano incontrati. Ma, se si sono incontrati, sicuramente il bacio c’è stato”. Dopo Di Maggio, di quell’incontro parlano altri 7 collaboratori di giustizia, tutti considerati attendibili: Enzo ed Emanuele Brusca, Calvaruso, Cannella, Cancemi, La Barbera e Camarda. Ma per il Tribunale diventano di colpo inattendibili. Tutti. Di Enzo Brusca i giudici scrivono che “la sua collaborazione è stata preceduta da reticenze, menzogne e persino progetti, concordati col fratello Giovanni, di inquinamento di processi e falsi pentimenti”. Quali? Il Tribunale non lo dice. Per la semplice ragione che ha sbagliato persona: quelle condotte disdicevoli le ha commesse il fratello Giovanni. Non Enzo, che anzi aiutò gli inquirenti a smascherarle. Al processo succede di tutto. I pm dimostrano che il 20 settembre 1987, giorno dell’incontro con Riina, Andreotti è a Palermo per la Festa dell’Amicizia Dc. E, secondo unanimi testimonianze, scompare dall’hotel Villa Igiea dall’ora di pranzo fino quasi alle 18, quando parla alla Festa. Dunque ha tutto il tempo di raggiungere casa Salvo, parlare con Riina e tornare in albergo. Brutto affare, per il senatore. Gli serve un alibi. Così manda avanti ben tre testimoni a giurare di averlo visto ben prima delle 18, per riempire l’imbarazzante buco di 5-6 ore. 
A deporre in suo favore si presentano un regista Rai, il segretario di un ex deputato Dc e l’amico giornalista Alberto Sensini (che risultava nelle liste della P2). Peccato che i tre si rivelino tutti farlocchi, o almeno “smemorati”. Il caso di Sensini è avvincente: l’allora inviato del Corriere della Sera giura di aver intervistato Andreotti quel pomeriggio poco prima del suo comizio alla Festa dell’Amicizia, che secondo la cronaca del “Popolo” si svolse alle 16. Dunque l’intervista fu intorno alle 15. Ma poi i pm scoprono che all’ultimo momento il comizio venne spostato, per il caldo, alle 18. E che Andreotti giunse stranamente in ritardo: dopo le 18,30. Dunque, stando al ricordo di Sensini, l’intervista era iniziata verso le 17,30. E prima, dalle 14 alle 17,30, Andreotti ebbe tutto il tempo per incontrare segretamente chi gli pareva. Fa fede la chiusura dell’intervista di Sensini, uscita l’indomani sul Corriere: “Così Andreotti Belzebù si congeda e va a parlare sotto i terribili tendoni del festival…”. Il buco temporale che Sensini doveva riempire si riapre. Come la risolvono, a questo punto, i giudici del Tribunale? Semplice: “Il Sensini ha espressamente affermato che si trattò di un ‘artificio letterario’”. Peccato che Sensini abbia dichiarato al processo che Andreotti, subito dopo l’intervista, si congedò da lui: l’artificio letterario non era la frase “Andreotti si congeda”, semmai la definizione di “Andreotti Belzebù”. In appello i giudici, che pure ebbero il coraggio di affermare la mafiosità del senatore a vita fino al 1980 ribaltando il verdetto di primo grado, preferirono sorvolare su queste anomalie a proposito del vertice con Riina, confermando per quell’episodio l’insufficienza di prove. 
Ora vedremo come la metteranno quanti sostengono che la storia non si fa nelle aule di tribunale. Giusta teoria, se avessero la decenza di aggiungervi un “soltanto”: la storia si fa anche nell’ora d’aria. Soprattutto se a parlare è il boss che incontrò Andreotti. Il bacio è un apostrofo rosa fra le parole “Stato” e “mafia”.


 

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