sabato 27 settembre 2014

“ARTICOLO 18 SÌ”, ANZI “NO”: IL MATTEO DOUBLE FACE

Uno specchietto per le allodole, un totem ideologico, una cosa che “non interessa nessun imprenditore e nessun precario”. L’articolo 18 è “un falso problema”, un modo per “non parlare dei problemi reali” concentrandosi solo sulle “fisime ideologiche”. Quanto era combattivo Matteo Renzi quando era lontano da Palazzo Chigi e si candidava alle primarie del Pd. Oppure quando si preparava alla rivincita mentre Bersani cercava di vincere le elezioni. Risentire oggi, o rileggere, quelle parole è illuminante oltre che agghiacciante. Lo scarto tra i “due Renzi” è straordinario e descrive egregiamente la natura del personaggio. Quello che era vero ieri oggi diventa falso e viceversa. L’annuncio di allora viene smentito e così via in una girandola di dichiarazioni, frasi a effetto, sortite improntate all’effimero e al giorno per giorno. Fino a quando sarà possibile, fino a quando potrà durare.
Era così netto nelle sue ipotesi di “Jobs Act” – fatto tutto di tutele crescenti, vere, e di ampliamento dei diritti – che il segretario della Fiom, Maurizio Landini, lo prendeva sul serio e gli chiedeva, addirittura, di allargare l’articolo 18 a tutti. Si pensi all’intervista a La Stampa rilasciata all’inizio del 2012 quando il governo Monti stava preparando la riforma dello Statuto tramite la legge Fornero: “L’articolo 18 è un gigantesco specchietto per le allodole” spiegava Renzi tutto serio. “Se ci interessano gli aspetti tecnici sentiamo che hanno da dire Pietro Ichino e Stefano Boeri (in realtà si tratta di Tito, ndr) mentre se ci interessa l’aspetto politico, mi pare che il tema ruoti attorno a un totem ideologico”. Ancora più forte la dichiarazione del 24 marzo di quell’anno, a margine dell’assemblea nazionale dei giovani di Confartigianato: “L’articolo 18 è ormai soprattutto un simbolo, non una discussione concreta per la vita degli imprenditori. Non ho mai trovato un imprenditore che mi abbia posto il problema dell’articolo 18 come ‘il’ problema della sua azienda. E non ho mai trovato un ragazzo di 20 anni che mi abbia posto il tema dell’articolo 18 come fondamentale per la sua carriera”. 
La frase, identica, fu poi ripetuta a giugno dello stesso anno, durante una puntata di Servizio Pubblico di fronte a un attento Michele Santoro (clicca qui) . Non si trattava di battute “dal sen fuggite”, perché Renzi, in quei giorni, spiegava a tutti che per la crescita il governo Monti avrebbe dovuto “snellire la burocrazia, dare tempi certi alla giustizia, abbassare la pressione fiscale”. “È su questo che Bersani dovrebbe incalzare molto di più il governo e che si gioca il futuro del centrosinistra, non sull’articolo 18” affermava in una intervista al Mattino. Il 31 marzo, alla conferenza programmatica del Pd di Firenze, ribadiva il concetto: “L’articolo 18 è un falso problema”. “L’articolo 18 – aggiungeva – è una importante legge del 1970, ma a me interessa dire che se vogliamo aiutare le imprese e l’occupazione di questo territorio bisogna fare cose concrete e creare posti di lavoro”. 
Dopo la riforma Fornero, Renzi decideva di omaggiare il ruolo di Pier Luigi Bersani: “Il fatto che sia stato reintrodotto il principio del reintegro nella riforma dell’articolo 18 segna una vittoria del Pd e del suo segretario Pier Luigi Bersani”. A Lucia Annunziata che lo intervistava il 17 giugno 2012 diceva invece che l’articolo 18 è “un totem, un falso problema”. Poi, lanciando ufficialmente la sua campagna per le primarie del Pd, al Palazzo della Gran Guardia di Verona, ripeteva queste ispirate parole: “Il problema del diritto del lavoro non è l’articolo 18, non c’è collegamento fra quello e la precarietà. Il nostro obiettivo è ridurre le norme sul lavoro e semplificarle”. Anno nuovo, il 2013, stessa musica. Il 7 gennaio, durante l’inaugurazione di Pitti Immagine Uomo, si cimentava in una citazione classica: “Sull’articolo 18 c’è la dimostrazione plastica di guardare il dito mentre il mondo ci chiede di guardare la luna”. 
Quando diventa segretario del Pd, dopo una campagna per le primarie in cui dell’articolo 18 non dice nulla, riunisce la direzione del suo partito per presentare il Jobs Act come una “prospettiva per l’Italia” perché, dice di nuovo senza ridere, “con le riforme istituzionali non si mangia”. “Se rimettiamo il paese a discutere dell’articolo 18 facciamo la solita grande manfrina mediatica che entusiasma gli addetti ai lavori e non riusciamo a essere credibili innanzitutto con i nostri”. Meglio di come lo diceva lui non saprebbe dirlo nessuno. 


2 commenti:

  1. Al di là di qualsiasi inopinabile opinione ma perché dobbiamo sindacare sull'arti. 18 ovvero sui diritti e limiti del lavoratore licenziato e non parliamo sui diritti al lavoro che manca per il 38% degli italiani..

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  2. E che ne parliamo a fare ..... mica siamo al governo ..... e comunque chi vi sta oggi dice di ascoltare tutti ma in verità va velocemente senza guardare avantri se c'è un muro .....
    Intanto seminano differenze genrazionali affinchè si alimentino le lotte interne nel mondo del lavoro ...... come diceva quello: Dividi et impera!

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