Dopo l’ordinanza della Corte d’Assise di
Palermo che vieta agli imputati e alle parti civili di presenziare al
loro processo perché il testimone Napolitano non li vuole e dopo la
sentenza del Tribunale di Roma che condanna due bersagli fissi su Sua
Maestà, De Magistris e Genchi, per abuso d’ufficio senza competenza né
danno ingiusto, cioè senza reato, s’impone un lesto ritorno allo Statuto
Albertino. Art. 2: “Lo Stato è retto da un Governo Monarchico
Rappresentativo”. Art. 3: “Il potere legislativo è collettivamente
esercitato dal Re e da due Camere”. Art. 4: “La persona del Re è sacra
ed inviolabile”. Art. 6: “Il Re nomina a tutte le cariche dello Stato; e
fa i decreti e regolamenti necessari per l’esecuzione delle leggi” Art.
7: “Il Re solo sanziona le leggi e le promulga”. Art. 68: “La Giustizia
emana dal Re, ed è amministrata in suo Nome dai Giudici ch’Egli
istituisce”.
Così si giustificherebbero almeno ex post le due supercazzole
giudiziarie e anche tante altre cose che accadono in Parlamento, al
governo, nel Csm e nei cosiddetti istituti di garanzia, del tutto ignoti
alla Costituzione Repubblicana. Il processo sulla trattativa
Stato-mafia potrà essere dichiarato nullo dalla Corte d’appello, o dalla
Cassazione, o dalla Corte europea dei diritti dell’uomo su richiesta di
qualunque imputato o parte civile esclusa dall’udienza sul Colle. Ma
gettare la croce addosso ai giudici che ieri vi hanno inoculato quella
dose di veleno letale sarebbe ingeneroso. Convinti ingenuamente di
vivere in una Repubblica democratica dove la legge è uguale per tutti,
avevano convocato come teste Sua Altezza Reale e s’erano ritrovato
addosso i dobermann del Quirinale, del governo, dei partiti e della
stampa serva. Se avessero osato preferire un’altra volta la Costituzione
e il Codice di procedura alla legge di Sua Maestà, non ne sarebbero
usciti vivi: sarebbero stati trascinati, come già i pm, dinanzi alla
Consulta e fucilati in effigie sulla pubblica piazza, previa
fustigazione a mezzo stampa e tv. Esattamente quel che sarebbe accaduto
ai giudici di Roma se si fossero azzardati ad assolvere De Magistris e
Genchi, dopo che Napolitano e il solito Mancino avevano dato la linea
fin dal 2009 dai vertici del Csm, cacciando prima il pm da Catanzaro,
poi i tre pm di Salerno che indagavano sulle sue denunce, poi Clementina
Forleo che l’aveva difeso.
Le motivazioni di certi provvedimenti sono imbarazzanti soprattutto
per chi le scrive, però aiutano a capire le motivazioni delle
motivazioni. Per la Corte di Palermo, Riina e Bagarella collegati in
videoconferenza col Quirinale e Mancino presente nell’ufficio dell’amico
con i parenti dei caduti in via dei Georgofili avrebbero violato “le
prerogative di un organo costituzionale qual è il presidente della
Repubblica” e l’“immunità della sua sede”, minacciando financo l’“ordine
pubblico e la sicurezza nazionale”. Mancino si sarebbe avventato su Re
Giorgio che non gli risponde più al telefono? I boss avrebbero potuto
sbucare dal video e piazzare una bomba sotto la sua scrivania? Dai, su,
siamo seri.
Ancor più avvincenti i motivi della
condanna di De Magistris e Genchi. I due imputati sostenevano che, per
chiedere al Parlamento l’autorizzazione a usare tabulati di telefoni in
uso a parlamentari, bisogna prima acquisirli per sapere a chi sono
intestati, quali numeri li chiamano e ne sono chiamati, e da quali celle
territoriali, per accertare se il telefono lo usa il parlamentare o
magari un parente, un portaborse, un amico sprovvisto di immunità. Ma il
Tribunale di Roma taglia la testa al toro: basta che un telefono venga
sfiorato da un parlamentare e diventa di per sé immune, anche se lo usa
un altro che parlamentare non è. L’immunità è contagiosa, come il virus
Ebola. Quindi, se un ladro ruba il cellulare a un onorevole e poi ci
organizza una rapina, per indagare occorre il permesso della Camera.
Fanno tenerezza i mafiosi che seguitano a mandarsi pizzini di mano in
mano. Ma anche il vecchio Moggi, che dotava gli arbitri di Sim svizzere
per non farsi intercettare. Beata ingenuità: basta farsi prestare il
telefono da un amico parlamentare, c’è solo l’imbarazzo della scelta.
Signori delle Corti, abbiamo capito.
Marco Travaglio (Jack's Blog - Il Fatto Quotidiano - 10 ottobre 2014)
..peccati di ..gola!
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