lunedì 17 novembre 2014

Ma perché si festeggia un compleanno?

Sono davvero settanta. Non uno di più, non uno di meno. Ho compiuto settant’anni sommerso, commosso da un oceano di auguri che rendono questa giornata un po’ speciale, rispetto alle altre 364 dell’anno che sta per concludersi.  Da alcuni anni li festeggio a decenni, 10, 20, 30 e così via molto meglio così, poiché il tempo passa in fretta. Sono trascorsi ad oggi sette decenni. Sette come i vizi capitali, come le virtù teologali e cardinali. Sette come i cieli dell’antichità: Sole, Luna, Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno; come le stelle più luminose dell’Orsa maggiore e dell’Orsa Minore. Sette come i colori dell’arcobaleno. Sette come i mari. Sette come le isole Eolie. Sette i simboli alchemici come sono le arti liberali, come le chiavi musicali e le note. Sette come i giorni della settimana. Sette sono i nani della favola di Biancaneve. BubuSETTEte diceva mio padre me bambino.
Ma perché si festeggia un compleanno? La tradizione vuole che quello della nascita sia un giorno da celebrare. Sofocle diceva: “Meglio per un uomo non essere mai nato e, se nato, morire giovane”. Ma gli uomini, che filosofi non sono, nonostante le difficoltà della vita, festeggiano la data della loro nascita o quella dei loro cari e degli amici, anno dopo anno. Fino alla fine dei giorni. Festeggiare il compleanno, per chi ne ha già festeggiati tantissimi può aiutare ad accettare la propria età, sapendo di essere circondato da persone care, da attenzioni, da stima e sentimenti di affetto. Forse è importante festeggiare, un pretesto come tanti altri,  per inventare un momento affrancato dai problemi, nei vari momenti della vita, alcuni molto difficili. Forse un modo, non dichiarato, per verificare a noi stessi la solidità dei legami affettivi, parentali, amicali, ma anche un metaforico certificato di esistenza in vita.
Nel lontano 1944 mio padre, all’anagrafe del Municipio di Tripoli, dichiarò che il 16 novembre era il giorno della mia nascita, mentendo. La verità però è un’altra. Sono nato in ospedale alle ore 1,00 di venerdi17, secondo la testimonianza di mia madre e la conferma-confessione di mio padre molto, ma molto tempo dopo. Avrebbe dovuto dichiarare la mia nascita il 17 venerdì e non il 16 giovedì. Erano soltanto 60 minuti in meno. Sufficienti per consentire a mio padre di dichiarare come data anagrafica il giorno precedente della mia nascita, alle ore 11,46, quindici minuti prima della mezzanotte, per mettersi al sicuro e soprattutto per mettermi al sicuro dalla catastrofe di non essere nato il 17 venerdì, giorno particolarmente sfortunato. Con la complicità di mia madre che in tutto e per tutte condivideva le sue decisioni. Insomma aveva detto, mio padre, per proteggere il mio futuro, una piccola bugia per scaramanzia. Mi confessò che non se la era sentito di dichiararmi di essere nato il 17 venerdì. Perché gli chiesi? Era come se segnassi il tuo destino negativamente, mi rispose. Anche perché, all’Ospedale di Tripoli, una infermiera, appena nato invece del collirio, usò maldestramente la tintura di jodio con il rischio concreto di accecarmi. Potete immaginare. Ebbi problemi, ma tutto si risolse bene, per fortuna della mia vista. Mia madre disperata per ciò che stavo passando, si affidò a Santa Lucia e fece un voto. Avrebbe mangiato la cuccia per devozione tutta la vita e nel voto incluse anche me. Anch’io avrei mangiato la cuccia il giorno dedicato alla Santa protettrice della vista. Me lo fece promettere solennemente appena giunsi all’età della ragione. Ed ho sempre rispettato la volontà di mia madre. Questo incidente agli occhi che mi era capitato, io appena nato, per mio padre era un brutto segno. Che male c’è, mi disse, se ti ho dichiarato un’ora prima? Ho fatto torto a qualcuno? Certamente no. Il travaglio è stato lungo. Un’ora più o un’ora in meno non cambia nulla - sostenne- e poi sei il mio primogenito. Ascoltavo con rispettoso silenzio. Li ascolto ancora, lui e mia madre, da settant’anni con un ricordo delicato e riconoscente. E li ringrazio, come sempre faccio, per avermi messo al mondo. Per avermi dato l’irripetibile possibilità di vivere la vita assieme ad Aurelia, ai miei fratelli Mario e Jose, ai miei nipoti, alle persone a me care, agli amici sinceri. Condividere la gioia di amare gli altri, poiché noi siamo fatti soprattutto degli altri. Forse è bene anche per una festa di compleanno non dimenticarlo.

Nicolò D'Alessandro - Palermo, 16 novembre 2014


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