Sono davvero settanta. Non uno di più, non uno di meno. Ho compiuto
settant’anni sommerso, commosso da un oceano di auguri che rendono
questa giornata un po’ speciale, rispetto alle altre 364 dell’anno che
sta per concludersi. Da alcuni anni li festeggio a decenni, 10, 20, 30 e
così via molto meglio così, poiché il tempo passa in fretta. Sono trascorsi
ad oggi sette decenni. Sette come i vizi capitali, come le virtù
teologali e cardinali. Sette come i cieli dell’antichità: Sole, Luna,
Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno; come le stelle più luminose
dell’Orsa maggiore e dell’Orsa Minore. Sette come i colori
dell’arcobaleno. Sette come i mari. Sette come le isole Eolie. Sette i
simboli alchemici come sono le arti liberali, come le chiavi musicali e
le note. Sette come i giorni della settimana. Sette sono i nani della
favola di Biancaneve. BubuSETTEte diceva mio padre me bambino.
Ma
perché si festeggia un compleanno? La tradizione vuole che quello della
nascita sia un giorno da celebrare. Sofocle diceva: “Meglio per un uomo
non essere mai nato e, se nato, morire giovane”. Ma gli uomini, che
filosofi non sono, nonostante le difficoltà della vita, festeggiano la
data della loro nascita o quella dei loro cari e degli amici, anno dopo
anno. Fino alla fine dei giorni. Festeggiare il compleanno, per chi ne
ha già festeggiati tantissimi può aiutare ad accettare la propria età,
sapendo di essere circondato da persone care, da attenzioni, da stima e
sentimenti di affetto. Forse è importante festeggiare, un pretesto come
tanti altri, per inventare un momento affrancato dai problemi, nei vari
momenti della vita, alcuni molto difficili. Forse un modo, non
dichiarato, per verificare a noi stessi la solidità dei legami
affettivi, parentali, amicali, ma anche un metaforico certificato di
esistenza in vita.
Nel lontano 1944 mio padre, all’anagrafe del
Municipio di Tripoli, dichiarò che il 16 novembre era il giorno della
mia nascita, mentendo. La verità però è un’altra. Sono nato in ospedale
alle ore 1,00 di venerdi17, secondo la testimonianza di mia madre e la
conferma-confessione di mio padre molto, ma molto tempo dopo. Avrebbe
dovuto dichiarare la mia nascita il 17 venerdì e non il 16 giovedì.
Erano soltanto 60 minuti in meno. Sufficienti per consentire a mio padre
di dichiarare come data anagrafica il giorno precedente della mia
nascita, alle ore 11,46, quindici minuti prima della mezzanotte, per
mettersi al sicuro e soprattutto per mettermi al sicuro dalla catastrofe
di non essere nato il 17 venerdì, giorno particolarmente sfortunato.
Con la complicità di mia madre che in tutto e per tutte condivideva le
sue decisioni. Insomma aveva detto, mio padre, per proteggere il mio
futuro, una piccola bugia per scaramanzia. Mi confessò che non se la era
sentito di dichiararmi di essere nato il 17 venerdì. Perché gli chiesi?
Era come se segnassi il tuo destino negativamente, mi rispose. Anche
perché, all’Ospedale di Tripoli, una infermiera, appena nato invece del
collirio, usò maldestramente la tintura di jodio con il rischio concreto
di accecarmi. Potete immaginare. Ebbi problemi, ma tutto si risolse
bene, per fortuna della mia vista. Mia madre disperata per ciò che stavo
passando, si affidò a Santa Lucia e fece un voto. Avrebbe mangiato la
cuccia per devozione tutta la vita e nel voto incluse anche me. Anch’io
avrei mangiato la cuccia il giorno dedicato alla Santa protettrice della
vista. Me lo fece promettere solennemente appena giunsi all’età della
ragione. Ed ho sempre rispettato la volontà di mia madre. Questo
incidente agli occhi che mi era capitato, io appena nato, per mio padre
era un brutto segno. Che male c’è, mi disse, se ti ho dichiarato un’ora
prima? Ho fatto torto a qualcuno? Certamente no. Il travaglio è stato
lungo. Un’ora più o un’ora in meno non cambia nulla - sostenne- e poi
sei il mio primogenito. Ascoltavo con rispettoso silenzio. Li ascolto
ancora, lui e mia madre, da settant’anni con un ricordo delicato e
riconoscente. E li ringrazio, come sempre faccio, per avermi messo al
mondo. Per avermi dato l’irripetibile possibilità di vivere la vita
assieme ad Aurelia, ai miei fratelli Mario e Jose, ai miei nipoti, alle
persone a me care, agli amici sinceri. Condividere la gioia di amare gli
altri, poiché noi siamo fatti soprattutto degli altri. Forse è bene
anche per una festa di compleanno non dimenticarlo.
Nicolò D'Alessandro - Palermo, 16 novembre 2014
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