Non
ho mai avuto alcuna considerazione per Giorgio Napolitano (definito a
suo tempo, da qualcuno, «coniglio bianco in campo bianco») e in questo
senso ho scritto più volte e in particolare in un articolo pubblicato su
Giudizio Universale nel giugno del 2006, quando fu eletto Presidente della Repubblica, poi rieditato in un libro di Chiarelettere del
2010. Ma questa volta l'anziano Presidente, da sempre cauto,
cautissimo, cosa a cui deve la propria longevità politica, pare aver
perso la testa. In un momento in cui l'Italia è nel pieno del più grave
scandalo della sua Storia, che pur è un sequel di scandali, colpita da
un fenomeno criminale-politico che è più pericoloso e inquietante della
mafia, perché la mafia è perlomeno un cancro individuato e, almeno
teoricamente, circoscrivibile, mentre qui siamo in presenza di una serie
di metastasi incontrollabili che attraversano l'intero Paese (in questo
senso va intesa la contestatissima affermazione di Grillo «era meglio
la mafia») Napolitano che fa? Non indica come prima emergenza del Paese
la corruzione politico-criminale, ma «l'antipolitica che in Italia è
ormai degenerata in una patologia eversiva», con un chiaro riferimento
al Movimento 5 Stelle, che di tutto può essere accusato tranne che di
corruzione. E' anzi l'unico partito che ha restituito 42 milioni che
pur, per legge, gli spettavano. Grillo ha replicato: «Napolitano stia
attento, rischia che lo denunciamo per vilipendio del Movimento». Ma non
è questo il punto. Napolitano ha violato il proprio dovere
costituzionale di imparzialità. Il Presidente della Repubblica, che
rappresenta tutti i cittadini, non può prendere parte contro un
movimento presente in Parlamento e che oltretutto, allo stato, è il
primo partito, il più votato con i suoi 8 milioni 688 mila 231 voti.
Napolitano dovrebbe essere semmai denunciato per 'alto tradimento'.
Ma
perché mai il movimento di Grillo sarebbe 'eversivo'? Perché «nel
biennio alle nostre spalle hanno fatto la loro comparsa metodi e atti
concreti di intimidazione fisica, di minaccia, di rifiuto di ogni regola
e autorità». Nessuno meglio di Napolitano può sapere, perché c'era, che
quando in Parlamento sedevano i comunisti le botte e le scazzottature,
con il capintesta Pajetta, erano all'ordine del giorno (naturalmente
Napolitano, che non è mai stato uomo di passioni, a quelle zuffe non
partecipava, come quando era ragazzo preferiva stare ai bordi del
campo).
Ma
l'affermazione più inquietante di Giorgio Napolitano è quando dice che
di questa situazione 'eversiva' portano «pesanti responsabilità anche
alcuni mass media e opinionisti senza scrupoli». Qui siamo in pieno
regime fascista o, peggio, stalinista quando ogni critica era
considerata «un'attività oggettivamente antipartito» e quindi meritevole
di purga, come Napolitano che di quegli orrori fu a conoscenza e, per
la sua parte, complice, non può non sapere.
Napolitano
afferma anche che «serve una scossa civile che spinga i cittadini a
reagire». Se ci sarà una 'scossa civile' si dirigerà proprio contro
quella politica in cui Napolitano è incistato da quando esiste. Questo
non è fare dell' 'antipolitica', ma volere un' 'altra' politica,
democraticamente. Ma se la politica persevererà nel derubare
sistematicamente i cittadini verrà il giorno in cui la gente, grazie
anche alle provocazioni di Napolitano, perderà la pazienza. E non sarà
una 'scossa'. Sarà rivolta. Né civile, né democratica, né indolore.
Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 13 dicembre 2014)
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